https://www.ilcaffegeopolitico.org/ 25 ottobre 2017 7 novembre 2017
Oltre lo spettacolo del Congresso: una nuova era per la Cina di Elisabetta Esposito Martino consulente sinologa e ricercatrice
Il 18 ottobre ha aperto i battenti il XIX Congresso del Partito Comunista cinese, visto da molti come un evento epocale per il futuro del Regno di mezzo. L’evento e stato introdotto da un lungo discorso del Presidente Xi Jinping che, tra ambizioni geopolitiche e nuove strategie economiche, ha tratteggiato una Cina superpotenza mondiale guidata da un nuovo “pensiero” politico e sociale. In questa prima parte di un lungo speciale analizziamo i retroscena e le premesse che hanno portato alla kermesse di Pechino e all’irresistibile ascesa di Xi ai vertici dello Stato cinese
DOVE ERAVAMO RIMASTI Al termine del XVIII Congresso del Partito Comunista cinese (PCC), l’attenzione era concentrata sulla necessità di far ripartire le riforme, di fronte al timore di un hard landing economico, per riuscire a raggiungere, nel medio periodo (il 2020), l’obiettivo di una “moderata prosperità” e nel lungo periodo (il 2049, centenario della fondazione della RPC), lo status di Paese “sviluppato”, come vagheggiato nel sogno cinese. Dopo questo Congresso si profilava una sostanziale virata rispetto alla leadership uscente, quella di Hu Jintao, eletto nel 2002 dal XVI Congresso, che aveva ripristinato la centralità del ruolo svolto dal Grande Timoniere, artefice della rinascita cinese, nonostante gli innegabili (e non più taciuti) errori della rivoluzione culturale. L’acme di questa linea politica fu rappresentata nella grande kermesse con cui si celebrò il sessantesimo anniversario della Rivoluzione: Hu, in abiti di foggia maoista, aveva veicolato un nuovo nazionalismo, nel tentativo di compattare una nazione disgregata da una crescita economica troppo veloce, che aveva prodotto molte distorsioni e profonde tensioni sociali, cercando nuove opportunità per uno sviluppo sostenibile.
LA CRISI ECONOMICA E IL MODELLO CINESE Queste criticità economiche si incrociarono poi con la grave crisi del capitalismo occidentale, iniziata tra il 2007 ed il 2008, a seguito del processo di finanziarizzazione dell’economia, sospinta dalla deregulation neoliberista, in un mondo in cui si venivano globalizzando anche gli strumenti finanziari, sempre più strutturati e complessi, oggetto di spregiudicate e rovinose speculazioni. A questo si aggiungeva il problema della sovrapproduzione, dovuta alla rottura dell’equilibrio tra il potenziale produttivo e la capacità di consumo di una classe media e lavoratrice, depauperata e largamente disoccupata in America come in Europa, sferzata da una politica di bilancio restrittiva che avrebbe dovuto allentare la crescita del debito pubblico statuale. In questo assetto economico internazionale la Cina si proponeva con un nuovo modello macroeconomico, l’economia di mercato socialista, che non era stata travolta dalla crisi in atto, ma dalla quale era emersa una progettualità politica, riproposta nel 2011 in occasione dei 90 anni della fondazione del PCC.
L’ASCESA DELLA QUINTA GENERAZIONE In questo contesto viene nominato nel 2012 il nuovo Comitato permanente del Politburo, capeggiato da Xi Jinping, che costituiva la cd. quinta generazione: la prima, quella di Mao, comprendeva gli eroi della Lunga Marcia e della guerra antigiapponese, che avevano fondato la Repubblica popolare; la seconda, quella di Deng Xiaoping, rappresentava il gruppo di coloro che avevano voluto l’apertura della Cina al mondo esterno e il passaggio da un’economia rigidamente pianificata all’economia di mercato socialista; la terza, quella di Jiang Zemin, aveva preso il potere dopo l’epurazione di Zhao Ziyang in seguito alla strage di Tiananmen, virando verso obiettivi tesi a distogliere le masse dalle aspirazioni democratiche; la quarta, quella di Hu Jintao, apriva le porte a burocrati preparati e alla tecnocrazia. L’ascesa al potere di Xi Jinping veniva fortemente sostenuta dalle scelte politiche ed ideologiche di un partito comunista legittimato dai successi economici e dall’epopea della rinascita che si contrappone alla crisi che investe su tutti i piani i sistemi democratici occidentali.
LA CINA DI XI JINPING In questi cinque anni Xi Jinping ha combattuto aspramente contro quella che viene definita dagli intellettuali la “trappola di trasformazione”, una vasta area di poteri forti che tengono in ostaggio le riforme, bloccandone e distorcendone gli effetti, per stravolgerne lo spirito, insinuando nel popolo una vera avversione al cambiamento, considerato causa prima della diffusa corruzione. In realtà questi gruppi di interesse, proteggendo pochi privilegiati, contribuirebbero ad acuire le tensioni sociali, aumentando il divario nella distribuzione del reddito fino ad una vera e propria polarizzazione della ricchezza, in un Paese che solo cinquant’anni prima aveva elaborato una sorta di mitologia dell’uguaglianza. Le riforme economiche, che hanno consentito al valore del PIL di moltiplicarsi centodieci volte in soli 30 anni, vengono collegate alle riforme politiche ed amministrative, il cui target è “rischiare riforme imperfette, ma evitare crisi e immobilità”, onde rivedere la crescita in termini qualitativi, per ricostruire quella cornice di armonia cui, da cinquemila anni, anela tutta la civiltà cinese.
MODERNIZZARSI SENZA OCCIDENTALIZZARSI Il Presidente Xi ha difeso strenuamente in questi cinque anni il ruolo di potenza regionale giocato dalla Cina, non celando l’intento di raggiungere obiettivi più arditi, anche in modo molto assertivo. Da qui i conflitti per imporre la propria sovranità marittima, associati alle allettanti proposte racchiuse nelle nuove Vie della Seta per terra e per mare, aspetti poliedrici di un’ascesa che coniuga il potere militare con quello economico, coinvolgendo tutti i continenti del pianeta. Le salde radici nell’humus confuciano hanno saputo dare peculiari caratteristiche al modello di sviluppo cinese ed alla governance del nuovo Impero Celeste, che sembra far leva più sulla tradizione culturale che sui valori socialisti. In questo contesto ideologico si è assistito ad un irrigidimento sulla questione dei diritti umani, il cui acme è stato rappresentato dalla tragica fine del premio Nobel Liu Xiaobo. Anche le istanze democratiche sono state progressivamente soffocate, con pesanti conseguenze nei rapporti con Taiwan, avviluppata all’unica Cina, e con Hong Kong, che ha visto diminuire di giorno in giorno i diritti fondamentali e le libertà, che dovrebbero essere garantiti dalla Basic Law e che invece paiono sempre più assottigliarsi.
NUOVI ORIZZONTI Il XIX Congresso nazionale del Partito comunista cinese si è aperto con un lungo intervento del leader rivolto al mondo, alla nazione, ma soprattutto ai 2280 delegati, incaricati di eleggere il Comitato centrale. Per tradizione il discorso viene scritto secondo i principi del centralismo democratico, che vede la partecipazione della base con diffuse proposte, che vengono selezionate e raffinate dal vertice e consegnate al Presidente. Questa dettagliata e approfondita descrizione dell’operato del Governo costituisce il substrato su cui viene elaborata la futura strategia politica che dovrà tenere conto dei successi, per implementarli, e delle criticità, per correggerle, inserendo tutto in una sorta di vision quinquennale del Comitato Centrale uscente. L’inserimento del pensiero del leader (Xíjìnpíng s?xi?ng?????) nello Statuto del PCC costituisce un evento epocale, che darà sicuramente un nuovo indirizzo ideologico al Paese di Mezzo che sta oggi scegliendo nuove strade da percorrere per raggiungere i propri scopi. Da tutto ciò forse capiremo se i sogni son desideri oppure si stanno trasformando in realtà. Elisabetta Esposito Martino
Un chicco in più
Secondo le nuove regole (ancora non codificate) che postulano il limite di età di 68 anni, dei sette componenti del Comitato Permanente dell’Ufficio Politico del Comitato Centrale del PCC, cinque si sono ritirati, compreso Wang Qishan, l’uomo dell’anticorruzione, che era a capo della potentissima Commissione d’ispezione di disciplina del Partito. Oltre al Premier e a Li Keqiang, i nuovi membri del Politburo sono: Wang Yang, fautore del libero mercato, che sostiene la necessità di procedere speditamente sul cammino delle riforme sociali e politiche, senza dimenticare la necessità di attenuare l’impatto di tre decenni di rapido sviluppo; Zhao Leji, nuovo capo della vigilanza anticorruzione e portavoce di una delle due fazioni emergenti; Han Zheng, responsabile delle decisioni economiche e uomo chiave nell’hub finanziario di Shanghai, luogo deputato a strappare la leadership del businnes ad Hong Kong ; Li Zhanshu, capo dello staff del Leader, che ha svolto un ruolo fondamentale nell’elaborazione del “pensiero di Xi Jinping” e si è distinto per la campagna di riduzione della povertà in Cina e nelle relazioni con la Russia di Putin; infine Wang Huning, chiamato il Kissinger cinese, l’accademico che ha coniato la “Teoria delle Tre Rappresentatività” (? ? ? ?s?n gè dàibi?o ) di Jiang Zemin, il “Concetto Scientifico di Sviluppo” (?????, K?xué f?zh?n gu?n) di Hu Jintao, e ideato il Sogno cinese (? ? ? Zh?ngguó mèng) annunciato da Xi Jinping il 29 Novembre 2012, come viatico per raggiungere il traguardo di prima economia del mondo entro il 2049.
Seconda parte Mentre si chiudeva la prima sessione plenaria del XIX Congresso del PCC si apriva, per la Cina e per il mondo, un nuovo capitolo di storia. Il rieletto Presidente Xi Jinping, nuovo Grande Timoniere di Pechino, ha infatti fatto diverse promesse importanti che mirano a far entrare il socialismo con caratteristiche cinesi in una nuova era.
LE PRIORITÀ E LE CRITICITÀ DEL SECONDO MANDATO Xi Jinping ha conquistato nell’ambito dell’establishment cinese e, innegabilmente, anche tra la popolazione un consenso molto diffuso che gli ha permesso di concludere il primo plenum, con cui tradizionalmente si chiude il Congresso del Partito Comunista cinese, con una vittoria su tutti i fronti, con la quale potrà procedere speditamente sulla strada delle riforme, già tracciata nel corso del primo mandato, cui abbiamo accennato nel primo articolo di questo speciale. Il pensiero di Xi Jinping, definito “Presidente di tutto”, che è stato inserito accanto a quello di Mao nello Statuto del partito, farà della Cina, entro il 2049, una nazione potente, prospera, moderna, democratica, socialista, armoniosa e bella per quella rinascita che consentirà al Paese di tornare ad essere il centro del mondo, come indicato nel nome stesso di Cina in cinese: Zhong Guo, il Paese del Centro. Ma che cosa intende il neoeletto segretario del Partito con questi aggettivi? Riuscirà davvero a far risorgere la Cina culturalmente e moralmente, non perdendo di vista l’ambiente, l’economia e l’ideologia? Quali criticità si profilano all’orizzonte?
UNA NAZIONE POTENTE Il cammino avviato con la fondazione della Repubblica popolare, che ha permesso alla Cina di uscire dal cortile di casa e diventare a tutti gli effetti una nazione potente, è ormai quasi al traguardo e viene annunciata una nuova era in cui il Paese di Mezzo rivestirà sempre di più un ruolo da protagonista nello scacchiere internazionale. E come un novello imperatore celeste, garante dell’armonia tra cielo e terra, Xi Jinping si pone di fronte alle sfide del nuovo millennio per modulare una nuova estetica del potere con caratteristiche cinesi. La nuova leadership dovrà a questo punto fare i conti con la tecnocrazia, che in Occidente muove le leve dell’egemonia, attraverso tutti i cluster che producono tecnologia per ogni uso, anche militare. Amazon, Apple, Facebook, Google e Microsoft, pur potendo condizionare pesantemente i Governi e controllare i singoli, hanno però prosperato all’interno di società democratiche, in cui la libertà e la privacy vengono tutelate e garantite. In questo contesto è stato possibile declinare il capitale con la scienza e l’innovazione per offrire modelli che, con i loro simboli (la Silicon Valley), hanno creato, oltre ad un immenso potere finanziario ed economico, una leadership culturale ed un rinnovato soft power. Saprà la Cina fare di meglio?
LE VIE DELLA SETA DIGITALE DEL XXI SECOLO Il nuovo mandato di Xi accelererà il raggiungimento degli obiettivi prefissati con i piani di sviluppo che porteranno alla costruzione di una superpotenza scientifica e tecnologica di qualità, intensificando la cooperazione in settori di frontiera per la costruzione di città intelligenti, nuovi caravanserragli delle Vie della Seta digitali del XXI secolo. Secondo quanto previsto dall’OBOR, i centri, attraversati dalle carovane che collegavano l’Oriente e l’Occidente, saranno destinatari di investimenti infrastrutturali per miliardi e di programmi di interventi dedicati alla trasformazione digitale ed informatica. La Cina lancia così la sua sfida al primato del Nord America per quanto attiene ai fondi stanziati per le smart city (118,5 miliardi di dollari nel 2016, 244,5 miliardi nel 2021). Secondo quanto diffuso dal Ministero cinese dell’Industria e dell’Informazione tecnologica, il programma di investimenti digitali in questo campo raggiungerà la cifra di 610 miliardi di dollari nel 2020 (circa 4.000 miliardi di yuan).
CINA BELLA CON LA GREEN ECONOMY A febbraio del 2016 anche il Ministero dell’Ambiente cinese ha avviato tutta una serie di programmi fortemente innovativi, per implementare la green economy, attraverso la costruzione di città ecosostenibili in tutto il Paese, che si aggiungeranno a circa l’80% delle città cinesi i cui piani di sviluppo ricalcano quanto previsto per le città intelligenti. Il Governo ha predisposto non solo strumenti finanziari, i green bond, ma, durante il Congresso, ha anche annunciato la creazione di una Commissione centrale per la gestione di tutto il “capitale di risorse naturali”, per rendere compatibile con le esigenze ecologiche il panorama urbano del nuovo millennio, accelerando l’integrazione tra Internet, i meta dati e l’intelligenza artificiale con l’economia reale, elaborando raffinati strumenti per il risparmio energetico e per la diminuzione dell’inquinamento. Il Governo di Xi dovrà cavalcare l’onda resa anomala dalla politica americana, che ha abbandonato l’impegno ecologico, e farsi portabandiera della lotta contro il global warming.
LA LEGITTIMAZIONE DELLA PROSPERITÀ Molte di queste sfide rischiano di mettere a repentaglio l’armonia vagheggiata da Xi, ma la situazione più difficile da affrontare riguarda certamente la ripartizione della ricchezza tra i cittadini cinesi. Il pensiero di Xi Jinping non ritorna comunque sulle strade dell’uguaglianza eretta a sistema, come ai tempi di Mao, ma prende atto delle disparità, acquisite nell’immaginario del cinese medio dalla tradizione confuciana, cercando di assicurare a tutti un certo livello di agiatezza, garantita per ora non solo da un PIL che, nel terzo trimestre del 2017 è cresciuto del 6,8%, ma soprattutto da un costante miglioramento delle condizioni di vita. Questo benessere di cui oggi gode una grossa fetta dell’immensa popolazione cinese funge da garante della legittimità del Governo che, in fondo, ha saputo assicurare una agiatezza che, non dimentichiamolo, era impensabile all’indomani della fine della rivoluzione culturale, che aveva lasciato un Paese, già afflitto negli ultimi secoli da una profonda crisi, distrutto economicamente e snaturato culturalmente.
CONSENSO E MANDATO CELESTE Il consenso di cui gode il PCC trova la sua matrice nell’antichissima tradizione cinese del Mandato del Cielo ( ?? ti?n mìng) utilizzato per legittimare le dinastie imperiali, che poteva essere revocato, qualora il cielo mandasse segni inequivocabili (carestie, inondazioni, terremoti..) della perdita del mandato stesso. La ribellione che fosse sorta dalle conseguenze di ogni genere di calamità, cui un sovrano non fosse stato capace di far fronte, coronata da successo, era considerata una prova che il «Mandato del Cielo» era passato ad altri, in grado di riportare l’Impero di Mezzo in armonia. Questa concezione, utilizzata da Mao per legittimare la rivoluzione comunista, permette ancora oggi al partito una guida indiscussa, quasi in simbiosi col popolo, ed al suo apparato la gestione di una vera e propria rinascita, come proclamato da Xi Jinping, che permetta alla popolazione cinese di godere, all’interno, di un livello di vita sempre migliore e, all’esterno, di affermarsi tra i grandi del mondo.
UNA CINA DEMOCRATICA E SOCIALISTA Questa leadership deve quindi prestare la massima attenzione alla possibilità che si creino eccessive disparità a fronte della tendenza, crescente, alla polarizzazione della ricchezza che porta inevitabilmente con sé malcontenti sociali e squilibri che potrebbero facilmente far perdere al Partito il consenso di cui ora gode. Inoltre, l’innalzamento del livello di vita e di istruzione, i viaggi e gli studi all’estero, la globalizzazione nel suo insieme possono creare più vasti spazi per alcune rivendicazioni. E se è vero che il sistema democratico è lontano dalle idee confuciane e socialiste di cui è intriso il popolo cinese, è anche possibile che i cittadini, una volta acquisito un certo benessere, siano intercettati dalle tante ansie di libertà trasportate sulle ali della globalizzazione che, prima o poi, potrebbero volare più in alto del grande Firewall digitale messo a punto dal Partito in questi anni. Ed è questa la sfida più ardua per la Repubblica Popolare cinese. Elisabetta Esposito Martino
Un chicco in più L’Ufficio nazionale di statistica della RPC ha pubblicato gli ultimi dati: anche nel terzo trimestre di quest’anno, la crescita cinese si è attestata a + 6,8% su base annua, in lieve rallentamento rispetto al +6,9% del secondo trimestre ed ha raggiunto quota 59.328 miliardi di yuan (oltre 7.500 miliardi di euro), leggermente in calo soprattutto per i provvedimenti ambientali che hanno frenato parte della produzione, ma coerente con le previsioni. (Dati del Fondo Monetario Internazionale). |