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29-04-2017

 

L'Islam in Cina

di Francesca Rosati 

 

«L'Islam in Cina» di Francesca Rosati è la prima completa trattazione della storia dell’Islam in Cina stampata in Italia. L'opera ripercorre con attenzione le tappe della diffusione della religione islamica dalla dinastia Tang (618-960) fino ai nostri giorni, illustrando come tale religione, grazie alla vicinanza della Cina con l’Asia centrale, abbia progressivamente occupato un ruolo specifico nel contesto culturale e sociale cinese, ben attenta a non provocare, se non raramente, reazioni espulsive da parte dello Stato, che difficilmente ha percepito l’Islam come una minaccia alla stabilità e unità, prima imperiale e ora statale. Ne pubblichiamo qui un estratto per gentile concessione dell'autrice.

 

Nel numero di novembre del 1906 del “Giornale patriottico dell’Islam” (“Zhengjiao aiguobao”), fu riportato l’incontro tra il famoso Wang Kuan ahong (uno degli insegnanti di Ma Debao) e un Grande imam arabo. Questi gli chiese: «Voi musulmani cinesi v’intendete di computazione e matematica?», «No» disse Wang; e quello di nuovo: «Avete vostre imprese industriali e commerciali?», «No, neanche questo» replicò Wang. L’imam imbarazzato e inquieto concluse: «È chiaro dunque che l’Islam in Cina è più arretrato rispetto alle altre religioni».

Il lento e travagliato passaggio dalla dinastia Qing all’inizio dell’era repubblicana marcò uno iato culturale tra il non essere più sudditi e il non essere ancora cittadini. L’assenza di una sovranità politica definita e stabile spinse gli intellettuali a un riesame del concetto di ‘cinesità’. Anche per gli Hui definire la propria ‘musulmanità’ nella nuova Cina divenne imperativo. Nel periodo tra il trentennio della campagna di ‘autorafforzamento’ (1861-1895) e la proclamazione della repubblica (1911) il paese aveva mutato quasi completamente le sue infrastrutture economiche, dalle comunicazioni ai trasporti, all’apparato industriale. Il sistema confuciano degli esami imperiali – per il quale si richiedeva agli aspiranti burocrati di eccellere, tra l’altro, in materie come la poesia e la calligrafia – era chiaramente inadeguato a far fronte al processo di modernizzazione tecnologico ed economico necessario per il paese, oppresso dall’imperialismo straniero. La Cina non era più il centro del mondo, ma una nazione tra le nazioni: mettersi al passo con la modernità era una questione di sopravvivenza. Dopo l’intervento come alleata dell’Intesa nel primo conflitto mondiale, la Cina si aspettava che la comunità internazionale abrogasse i Trattati ineguali. Così non fu e la Conferenza di pace di Versailles, tenutasi a Parigi nel 1919, tolse ancora più diritti territoriali al paese. 

Il 4 maggio dello stesso anno, gli studenti dell’Università di Pechino si mobilitarono contro la decisione di attribuire le basi tedesche nello Shandong al Giappone. Il movimento studentesco che scaturì dalla protesta marcò ufficialmente l’entrata della Cina nella modernità e implicò un radicale cambiamento politico e sociale del paese. Dal punto di vista culturale si entrò in una fase di rinascita letteraria e intellettuale passata alla storia come il Movimento della nuova cultura, Xin Wenhua Yundong. Grazie all’abolizione del sistema degli esami sancita da Yuan Shikai nel 1905, alla riforma del sistema scolastico attuata nel 1912 e al provvedimento ministeriale sull’obbligatorietà dell’insegnamento della lingua parlata ‘nazionale’ (guoyu) del 1920, il fiorire della stampa non governativa divenne uno degli strumenti più efficaci di coesione nazionale e cambiamento.

I musulmani, come i loro connazionali Han, erano esposti alle idee e agli umori rivoluzionari in circolazione che furono all’origine di un profondo rinnovamento culturale, identificato da molti studiosi come il Movimento delle nuova cultura dell’Islam cinese (Zhongguo Yisilanjiao Xin Wenhua Yundong). Questo movimento culturale fu caratterizzato dalla creazione di scuole e associazioni islamiche, da un incremento delle traduzioni dei testi sacri e della produzione storiografica sull’Islam cinese, ma fu soprattutto marcato dalla nascita di numerose riviste. Se per gli Han la riforma del sistema scolastico rendeva necessaria una riformulazione dell’etica sociale, ora che il curriculum confuciano era stato accantonato, le élites musulmane, fresche dei loro viaggi in Medio Oriente e partecipi dei grandi cambiamenti storici che attraversavano il mondo islamico sotto gli influssi del movimento della Rinascita an-Nahdah si impegnarono in attività di ‘rievangelizzazone’ dei loro fratelli musulmani cinesi, per istradarli al processo di modernizzazione nazionale.

Tra i fattori che stimolarono la riforma dell’educazione sino-islamica vi fu anche l’attività dei gruppi missionari cristiani. Le missioni cristiane moderne penetrarono in Cina alla fine del XIX secolo attraverso le città portuali di Canton, Shanghai, Fuzhou, Xiamen e Ningbo, aperte alla presenza occidentale in seguito alla stipulazione dei Trattati ineguali. A partire dalla campagna di autorafforzamento, la produzione letteraria cristiana indirizzata all’evangelizzazione dell’impero di mezzo e distribuita attraverso riviste e opuscoli stampati con moderne stampanti a caratteri mobili, incoraggiò l’emergere di giornali e periodici, rappresentando al contempo un’antagonista e un modello formidabile. Oltre alla stampa, la diffusione di scuole cristiane sul territorio cinese (sin dal 1912, gli ordini protestanti fondarono 3708 scuole elementari e 5537 tra istituti medi e superiori, e così fecero i cattolici) stimolò la ‘deconfucianizzazione’ del neonato sistema educativo statale, spronando a cercare nuove soluzioni didattiche. 

Le popolazioni Hui erano meno alfabetizzate e più lontane dai contesti urbani, dove attecchiva maggiormente il proselitismo occidentale. Tra loro i missionari si fecero strada offrendo assistenza medica, costruendo orfanotrofi, scuole, e diffondendo opuscoli tradotti in cinese o più raramente, in arabo. Su impulso delle Conferenze missionarie del Cairo (1906) e di Edimburgo (1910), che posero l’accento sull’urgenza di studiare le specifiche culture del mondo musulmano per meglio assicurare il successo del messaggio cristiano, nacque una produzione letteraria ‘alta’ sullo stato dell’arte dell’evangelizzazione degli Hui. Essa fu molto prolifica soprattutto tra i gruppi protestanti e divenne insieme fonte di indignazione e di ispirazione per le nascenti élites intellettuali musulmane cinesi. I due più illustri rappresentanti del proselitismo protestante in Cina, Samuel Zwemer (1867-1960), ‘l’apostolo dell’Islam’, e suo genero Claude Pickens jr. (1900-1985) diedero impulso a una rete di missionari operante nel Nordovest del paese, dove il messaggio evangelico era pressoché assente. In seguito, il materiale pseudo etnografico raccolto, fu pubblicato su riviste trimestrali come “The Moslem World” e “Friends of Moslems” e costituisce tutt’oggi una fonte preziosa in lingua inglese di informazioni sulla cultura sino-islamica di inizio Novecento. 

Tuttavia, l’attività missionaria cristiana non determinò conversioni su larga scala tra gli Hui del Nordovest. I toni di alcune pubblicazioni sulla superiorità della legge di Cristo rispetto all’Islam nocquero all’impresa evangelizzatrice. In seguito all’ondata antireligiosa scatenata dal Movimento anticristiano degli anni Venti (1922-1927) – in parte innescata da opere come The Christian occupation of China (1922), e dai toni della Conferenza della Federazione degli studenti cristiani tenutasi all’Università Qinghua di Pechino nel ’22 – cattolici e protestanti furono pesantemente attaccati. Proprio per sedare le tensioni tra clero e locali e per riorganizzare le diocesi sparse per il paese, nell’agosto dello stesso anno papa Pio XI istituì la Delegazione apostolica della Cina,
guidata dall’arcivescovo Celso Costantini. Sempre nel ’22, il Vaticano divise il ‘vicariato del Gansu’ (fondato nel 1878, comprendeva le attuali province del Gansu, Qinghai, Ningxia e Xinjiang) nei rami occidentale e orientale. Gestiti rispettivamente dalla Societas Verbi Divini e dai Cappuccini tedeschi, negli anni Trenta i vicariati aprirono settantadue scuole tra primarie e superiori nelle province del Gansu e del Qinghai. Sulla scia delle proteste anticristiane, la loro presenza fu oggetto di ripetuti attacchi e sotto le pressioni del governo locale, alcune furono costrette a chiudere.

L’ondata antireligiosa si rifletté anche sui musulmani, come dimostrano alcuni articoli anti islamici usciti su riviste cinesi dell’epoca. La presenza cristiana, gli slanci xenofobi di certa intellighenzia cinese e i sentimenti anticolonialisti e antioccidentali provenienti da esperienze di studio in India, in Turchia e in Egitto, stimolarono la nascita di una ‘contro-letteratura’ musulmana, portavoce di nuove concezioni dell’identità e della cultura Hui, orientate in senso nazionale e globale. Il dibattito intellettuale che scaturì dalle pagine della stampa musulmana di questo periodo rappresentò lo sforzo di creare un terreno comune e, secondo alcuni, contribuì alla formazione di una ‘comunità immaginata’ sino-musulmana che oltrepassava le barriere geografiche e confessionali.


*Francesca Rosati si è laureata nel 2002 presso la Facoltà di Studi Orientali di Sapienza Università di Roma, discutendo una tesi sulla storia e l’architettura islamica nella Cina imperiale. Nel 2009 ha completato un master in Etnologia presso l’Università Cheng-chi di Taiwan, con uno studio sulle scuole coraniche femminili della città di Linxia (Gansu meridionale), dove conduce ricerche sul campo da più di dieci anni. Attualmente è impegnata in un dottorato presso il Centro di Ricerca sulla Cina Moderna e Contemporanea dell’École des Hautes Études en Sciences Sociales di Parigi e l’Istituto di Studi di Area per l’Asia e il Medio Oriente dell’Università di Leiden, che porta avanti viaggiando tra Roma, Parigi, Linxia e Leiden.

 

 

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