http://www.repubblica.it

19 settembre 2017

 

Suu-Kyi rompe il silenzio: "Desolata, garantire il rientro dei profughi Rohingya"

di Raimondo Bultrini

 

Messaggio alla nazione della Nobel sotto la pressione internazionale. Condanna le violazioni in Myanmar ma aggiunge: "Non temo la scrutinio internazionale sulla gestione della crisi". Ma Amnesty international: "Lei pratica la politica degli struzzi"

 

"Sono profondamente addolorata e preoccupata” per il "gran numero di musulmani che fuggono in Bangladesh", e "condanno tutte le violazioni dei diritti umani che potrebbero aver esacerbato la crisi". La Nobel della Pace e leader birmana Aug San Suu Kyi ha parlato per la prima volta pubblicamente con un discorso scritto trasmesso “live” dalla nuova capitale Nayipydaw sulla rete MRTV dei militari, all’indomani delle accuse delle Nazioni Unite al suo governo di non aver evitato le persecuzioni contro l’enia islamica Rohingya nello stato dell’Arakan, o Rakhine. Un discorso che non ha affatto convinto Amnesty international: "Lei pratica la politica degli struzzi".

Rivolgendosi direttamente ai diplomatici stranieri invitati a verificare di persona la situazione, ha detto di continuare a credere fermamente nei principi costitutivi dell’Assemblea delle Nazioni, e ha anche promesso un’indagine per "conoscere non solo i motivi di quanti sono fuggiti, ma anche di coloro che sono rimasti", una "gran parte – ha detto – della popolazione musulmana dell’Arakan". "Non intendiamo prendercela con altri – ha aggiunto – o negare responsabilità". Sulla base delle leggi vigenti intende punire "ogni eventuale responsabile di abusi che potrebbero aver esacerbato la crisi" con oltre 400mila esuli nelle sole ultime settimane, per un totale di oltre 800mila da meno di un anno a questa parte.

Suu Kyi si è anche detta pronta a riaccogliere quanti hanno diritto di cittadinanza, precisando però che si baserà sui parametri "stabiliti nel 1993", ovvero durante il regime dei militari, principali responsabili di quella che il segretario generale delle Nazioni Unite ha definito senza mezzi termini una "pulizia etnica".

Praticamente la de facto leader del governo  ha promesso "un’accelerazione – appena possibile - del processo di verifica dello status di esuli e di eventuali aventi diritto a risiedere nel territorio dell’Unione". Ma durante i 37 minuti del suo intervento non si è discostata molta dalla linea ufficiale tenuta finora, ripetendo che tutti i problemi non sono nati dagli eccessi dell’esercito che controlla tre ministeri chiave del suo governo, ma dagli attacchi dell’ottobre 2016 e dell’agosto scorso contro i posti di polizia nelle aree di confine tra Myanmar e Bangladesh da parte di gruppi terroristici come il "Rohingya salvation army", o esercito di salvezza.

"La nostra è una democrazia giovane e fragile" – si è giustificata -  dopo "oltre mezzo secolo di regime autoritario", e ha ricordato i numerosi conflitti in corso non solo nell’Arakan ma anche "nell’est del Paese", riferendosi alle guerre di indipendenza in corso nello Stato Kachin e Shan.

E’ stato chiaro dai vari passaggi che la Lady – sotto attacco da gruppi dei diritti umani suoi ex sostenitori e perfino da altri Nobel della Pace - si aspetta di prendere tempo chiedendo la comprensione della comunità internazionale e dei suoi concittadini per le difficoltà dei suoi tentativi di "riportare pace, stabilità e promuovere lo sviluppo" durante questa transizione democratica cominciata "meno di 18 mesi fa" con le elezioni del 2015.

Sui dettagli della tragica crisi umanitaria che dal 2012 ha visto a più riprese masse di profughi fuggire dalle aree di conflitto o relegate nei miseri campi provvisori di Sittwe, la leader birmana ha ricordato che il suo esecutivo aveva iniziato un piano per migliorare le condizioni di vita delle popolazioni arakanesi – a maggioranza buddhista - con nuove strade in luoghi accessibili solo via barca, elettrificazione, progetti di crescita e zone economiche speciali per dare lavoro, educazione e assistenza sanitaria a tutte le popolazioni locali "a prescindere da razza, religione e ideologia".

Una palese contraddizione con la realtà  che aveva esacerbato gli animi delle famiglie per le continue discriminazioni contro la comunità Rohingya, di fatto non riconosciuta legalmente e senza accesso ai servizi disponibili per la comunità buddhista.

Suu Kyi ha associato l’annuncio del suo piano di sviluppo e pace fatto proprio davanti all’Assemblea delle Nazioni unite esattamente un anno fa, all’inizio delle ostilità, datate al 9 ottobre del 2016, quando vennero attaccati tre avamposti della polizia, con un seguito "l’11 ottobre e il 12 novembre" che ha provocato "morti, distruzioni, e la fuga di molte persone in Bangladesh". "Il nostro governo – ha assicurato – ha fatto del tutto per riportare pace, stabilita e ristabilire armonia.  Anche prima di questo nuovo conflitto – ha detto – avevamo invitato Kofi Annan – ex segretario Onu – a predisporre un rapporto per trovare una soluzione ai problemi. Ma, nonostante tutti gli sforzi, non abbiamo potuto evitare il conflitto, e dopo molti mesi di quasi pace, il 25 agosto, altri 13 posti di polizia sono stati attaccati, e di conseguenza il governo ha individuato nell’"esercito di salvezza e nei suoi supporter i responsabili degli atti di terrorismo".

La Lady ha promesso una indagine severa per stabilire se ci sono state violazioni e da parte di chi, anche se "tutto dovrà essere basato su prove evidenti" prima di "intraprendere ogni azione" a prescindere dalla "razza, dalla religione o posizione politica di quanti risulteranno coinvolti nelle violazioni delle nostre leggi e di quelle  internazionali sui diritti umani".

Ha poi spiegato che "tra quanti hanno dovuto lasciare le zone del conflitto, molti non sono musulmani", ma anche "genti di altre minoranze etniche e religiose" compresi gli hindu, "dei quali gran parte del mondo non sa niente". 

Per tutti i profughi c’è anche un piano del governo di assistenza umanitaria e reinsediamento che a suo dire è pronto già dal 27 agosto e "i cui dettagli saranno presto resi noti", compreso un addestramento delle forze di sicurezza che sta già avvenendo – ha detto - in collaborazione con l’Unione europa e le stesse Nazioni Unite. 

Senza contare – ha aggiunto - le “raccomandazioni” in 88 punti presentate al governo dalla commissione di inchiesta di Kofi Annan "che verranno rese note a breve, ma ad ognuna sarà data priorita nel più breve tempo possibile”, ha garantito.

Suu Kyi ha fatto notare la coincidenza tra la consegna del piano di Annan il 25 agosto e la ripresa nello stesso giorno degli attacchi, sostenendo che in ogni caso "dal 5 settembre non ci sono stati più incidenti con  l’esercito" e che "nonostante tutto un gran numero di musulmani ha continuato a fuggire attraverso il confine con il Bangladesh. Vogliamo sapere il perché di questo esodo – ha detto – e sentire quanti sono fuggiti ma anche quelli che non si sono uniti all’esodo e sono rimasti. Pochi sanno che sono la grande maggioranza...".

"Tutti i conflitti – ha spiegato - nascono da odio e paura, e solo rimuovendone le origini possiamo superarli, senza perderci d’animo nella certezza che una soluzione puo’ essere trovata". Ma Suu Kyi si è esplicitamente rifiutata di entrare nei dettagli delle "accuse e controaccuse", "perché il mio compito – ha detto – è quello di promuovere pace e armonia".

La leader ha poi offerto ai diplomatici presenti la possibilità di visitare i luoghi degli incidenti e "a parlare con i musulmani che si sono integrati con successo nella comunità (buddhista, ndr), e se siete interessati potrete chiedere direttamente a loro perché hanno deciso di restare anche in tempi di disordini e caos tutto attorno". Le stesse autorità del Bangladesh, che ospita l’oceano di profughi, sono state invitate in Myanmar a verificare la situazione, così come nei giorni scorsi erano già state autorizzati

secondo Suu Kyi – gli stessi media a verificare da soli la realtà sul terreno.

Peccato che, come dimostrano i video e gli articoli dei reporter autorizzati, i loro spostamenti fossero stati limitati a una sola area e sotto stretta sorveglianza dei militari.

http://www.straitstimes.com

sep 19, 2017

 

Aung San Suu Kyi 'not dealing with core issue' in first public remarks on Rohingya crisis

By Tan Hui Yee

 

In a long awaited speech before international diplomats, Myanmar's de facto leader Aung San Suu Kyi on Tuesday (Sept 19) morning spoke of her government's attempts to develop the troubled Rakhine state and stressed that the majority of villages occupied by Muslims there remained intact despite widespread reports of arson and assault.

 

She said her government was prepared to begin verifying the 400,000 refugees who had fled into Bangladesh, in preparation for their repatriation. And she asked diplomats to engage with Myanmar in a "positive" and "constructive" way.

 

But in her first public comments on the Rohingya crisis, she did not touch on the allegations of military atrocities against Myanmar's Rohingya Muslim minority that were set off most recently after the Aug 25 attacks by Rohingya insurgents on police posts and an army base.

 

"The real subtext is that she can't do anything about this, and she is not going to do anything about this," independent analyst Kim Jolliffe told The Straits Times.

The Rohingya population in Myanmar, who number about one million, are seen by mainstream Myanmar society as illegal immigrants who crossed over during colonial times from present-day Bangladesh.

 

While public sentiment about the Rohingya within Myanmar - who are referred to as "Bengalis" - was not particularly positive before the insurgent attacks, it has now hardened amid fears of terrorism and what it sees as the foreign media's bias towards the Rohingyas.

 

There is little that Ms Suu Kyi can directly do. Despite its parliamentary majority, Ms Suu Kyi's National League for Democracy party has no say over military matters as well as key portfolios that run the country's civil service. But international critics have condemned the Nobel peace prize winner for staying silent on the treatment of the Rohingya.

 

On Tuesday, she invited the diplomats present to visit Rakhine state to find out why the Muslims who had remained in Rakhine state chose to stay.

 

"Hate and fear are the main scourges of our world," she said in the speech in Naypyitaw.

"We don't want Myanmar to be a nation divided by religious beliefs or ethnicity... we all have the right to our diverse identities."

 

She also said anyone responsible for abuses in troubled Rakhine state would face the law. The United Nations has accused the army of carrying out ethnic cleansing in the troubled Rahkine state, charges rejected earlier by Ms Suu Kyi and the army.

 

Commenting on Ms Suu Kyi's speech, Mr Phil Robertson, the deputy director of Human Rights Watch's Asia division, told The Straits Times: "She recognises now the importance of trying to recoup her position in the international community … She's trying to use engagement, without dealing with the core issue."

 

 

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Text: Myanmar's Suu Kyi breaks silence over Rohingya exodus

Text: Myanmar's Suu Kyi condemns all rights violations, appeals to global community over Rohingya crisis

Video: myanmar-does-not-fear

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