Fonte: Il Dubbio http://www.ariannaeditrice.it/ 24/02/2017
Ha vinto il Generale Custer: Sioux in fuga, l'oleodotto si farà di Luciano Lanna
Com’è cambiata l’America e com’è cambiato il mondo, ai tempi di Trump! Tanto che, con un presidente che sembra quasi una riproposizione postmoderna del Generale Custer, gli indiani sono tornati sul piede di guerra. Dopo la decisione di Donald Trump – tra l’altro, “chioma bionda” era chiamato anche il celebre militare a stelle e strisce sconfitto a Little Big Horn – di riprendere la costruzione degli oleodotti Dakota Access e Keystone XL, i Sioux, hanno annunciato la loro opposizione. “La tribù si muoverà per combatterla”, ha dichiarato il capo tribù Dave Archambault II. È, questo un altro fronte di opposizione che, unito a quello dei messicani e dei rifugiati, ridefinisce un’immagine dell’America paragonabile a un fortino assediato, tutto in difensiva dagli attacchi di presunte minoranze agguerrite e minacciose. Tutt’altra America, da quella di una quarantina d’anni fa, quando ritiratisi gli statunitensi anche dal Vietnam emergeva quella che sarà definita “l’altra frontiera”, quella che segnava la rivincita postuma dei messicani e dei latinos, dei neri e dei reduci dalle battaglie per i diritti civili ma, soprattutto, degli indiani. Era infatti l’America che solo qualche anno prima, nel 1972, aveva visto una star come Marlon Brando inviare, al suo posto, una donna indiana a ritirare l’Oscar per il film Il Padrino e che, l’anno successivo, aveva spinto i Sioux Oglala del South Dakota all’occupazione simbolica di Wounded Knee – il villaggio sorto del luogo del massacro del 1880 – per affermarvi di nuovo il loro diritto alla terra e per ottenere dal governo degli Stati Uniti il riconoscimento dei diritti civili fondamentali. E a metà degli anni Settanta, grazie anche ad alcuni indimenticabili film “dalla parte degli indiani” – Soldato blu, Corvo rosso non avrai il mio scalpo, Un uomo chiamato cavallo, Piccolo grande uomo – si rompeva con l’iconografia e la visione dei vecchi western, un po’ Wasp e un po’ razzisti, e si introduceva un’altra visione delle cose, in cui l’eroe non era più il generale George Armstrong Custer ma magari Toro Seduto o Geronimo… Una modificazione dell’immaginario che si diffuse ovunque, complici la nuova antropologia culturale, un revisionismo storiografico che apriva alle ragioni delle “ombre rosse” e al genocidio dei nativi americani ma, anche, attraverso una sensibilità politica fondata sui diritti dei popoli e delle minoranze in una percezione dell’America come “nuova frontiera”. Una sensibilità che prese piede, e molto, anche in Italia, dove il “risveglio pellerossa” trovò un fertile terreno nei fermenti e nei movimenti giovanili anche attraverso una formazione fumettistica dove da tempo imperversava Aquila della Notte, il nostrano Tex Willer “amico” degli indiani e, addirittura, capo dei Navajos. Di più: Elémire Zolla, autorevole accademico e professore all’università di Roma, si era messo da tempo alla ricerca delle tracce indiane nella letteratura americana. Per ritrovare quella che a lui apparve come la storia di una cultura oltraggiata e soffocata, esaurì presto le biblioteche in Italia alla ricerca di testimonianze raccolte dagli etnologi statunitensi. E quindi, in quello che definirà il “suo amabile ’68”, partì per gli Usa con il fine di immergersi nelle biblioteche di Harvard e Washington e prepararsi a un viaggio-permanenza nelle riserve dei Pueblos in New Mexico. Ne scaturirà la pubblicazione, nel ’69, del libro I letterati e lo sciamano, la prima storia dell’immagine del pellerossa dal Rinascimento al Novecento e la prima presentazione sistematica di cosa fosse la “cultura” degli indiani d’America che il discorso coloniale aveva tentato di cancellare e contrastare. Tradotto negli Stati Uniti nel ’73 e in Francia nel ’74, quel libro fu decisivo nella trasformazione di sensibilità di cui abbiamo parlato. Tanto che gli studi di Zolla saranno, anche in Italia, l’anticamera di una letteratura che diventerà di successo, soprattutto tra i giovani. A cominciare dal classico Alce Nero parla dell’antropologo John Neihardt (e tradotto da Rodolfo Wilcock) sino a Seppellite il mio cuore a Wounded Knee… Fatto sta che “Alce Nero” si impose subito come un classico, come un testo immancabile nella biblioteca personale di qualsiasi ragazzo che si interessava ai fenomeni del mondo e della politica, fosse il lettore di sinistra, di destra o cattolico, quel libro era un cult. Tanto che quando, nel ’77, esplode la nuova contestazione, l’area creativa vorrà chiamarsi col nome degli “indiani metropolitani” e nella pubblicistica del movimento fu più che insistente il ricorso alla metafora dell’indiano, che evocava immediatamente la vittima più evidente del sistema yankee, capitalista, occidentalista. E, proprio nel ’77, fu tutto un pubblicare di cose indiane, da parte di Adelphi, Rusconi, Feltrinelli, Rizzoli. È solo il febbraio ’77 e Feltrinelli ripubblica Sul sentiero di guerra. Scritti e testimonianze degli indiani d’America (a cura di Charles Hamilton) nella diffusissima Universale economica; naturali le ristampe di Alce Nero parla (Adelphi) e di Seppellite il mio cuore a Wounded Knee (Mondadori); Rizzoli, a luglio, stampa nella edizione economica Bur Il piccolo grande uomo di Thomas Berger, che nel 1971 era stato tradotto addirittura da Luciano Bianciardi ma pubblicato, allora, solo in edizione non economica, e anche questo fu un libro che, raccontava la storia di Jack Crabb, un bianco allevato dai Cheyenne, andò letteralmente a ruba; e, tra i tanti, alla fine dell’anno Adelphi pubblica anche Racconti indiani di Jaime de Angulo, un classico dell’antropologia sulla cultura dei pellerossa. Poi interverrà anche un cantautore come Faber, che nell’80, Fabrizio De André, il decimo suo decimo album, meglio conosciuto come L’indiano oppure L’album dell’indiano a motivo della copertina dove compare l’immagine di un nativo americano a cavallo e in cui c’è il celebre pezzo Fiume Sand Creek. Insomma, alla fine degli anni Settanta pensavamo proprio di essere al giro di boa: quasi a tutti riusciva naturale schierarsi dalla parte dei nativi americani, con tutto il non detto in termini di condanna unanime e trasversale dell’America isolazionista, wasp, chiusa, bianca e tendenzialmente razzista. Ecco quindi perché, anche da questo punto di osservazione – quello dell’immaginario – il rovesciamento avvenuto quarant’anni dopo, appare in tutta la sua evidenza. “Il 45° presidente degli Stati Uniti d’America – ha annotato nel migliore dei modi Pietrangelo Buttafuoco – decide adesso di profanare con gli oleodotti la terra dei Sioux ed ecco che, dettaglio, nessuno delle Trump-truppen italiote fiata. Alce Nero parla. E loro si girano…”. Chi l’avrebbe mai detto che nel 2017 sarebbe tornato di moda lo schierarsi col Generale Custer? |