http://www.nigrizia.it/ Giovedì 16 febbraio 2017
Fame e violenza, inferno per i civili di Bianca Saini
Le organizzazioni umanitarie che lavorano in Sud Sudan hanno presentato nei giorni scorsi un appello globale per far fronte “ai bisogni senza precedenti” del paese, devastato da una guerra civile che dura da più di tre anni. La crisi umanitaria sud sudanese è stata recentemente classificata come la più grave dell’Africa e la terza nel mondo, dopo quelle della Siria e dell’Afghanistan.
Per far fronte alle impellenti e crescenti necessità, sono stati chiesti alla comunità internazionale 1 miliardo e 600 milioni di dollari che saranno usati per interventi di stretta emergenza e per la protezione di 5 milioni e 800 mila persone, poco meno di 2 milioni dei quali sfollati, raccolti in campi sempre più gremiti e talvolta difficilmente raggiungibili. L’organizzazione dell’Onu per il coordinamento degli interventi umanitari (Ocha) ha sottolineato l’estrema urgenza del reperimento di fondi nelle prossime settimane per poter predisporre sul territorio riserve di cibo e altri materiali di stretta necessità prima della stagione delle piogge che renderà gran parte delle regioni settentrionali inaccessibili, per la mancanza di strade asfaltate e per le caratteristiche del suolo, che, imbevuto d’acqua, impedisce qualsiasi movimento dei mezzi pesanti. Finora i fondi ricevuti sono 4 milioni e 300 mila dollari; una goccia rispetto a quelli necessari, che si spera arriveranno nel corso dell’anno. Ma ormai i bisogni per interventi di emergenza nel mondo sono così vasti che gli appelli umanitari rimangono molto spesso finanziati solo parzialmente, mettendo a dura prova le operazioni umanitarie e a rischio la vita di milioni di persone. Nel caso del Sud Sudan, poi, i donatori devono superare il timore che il loro aiuto finisca nelle mani della soldataglia, invece che alleviare le sofferenze della popolazione civile. Fin dall’inizio, il conflitto è stato caratterizzato dalle razzie dei magazzini della organizzazioni impegnate nel soccorrere la popolazione civile. Nei primi mesi della guerra ha fatto scalpore una foto che mostrava una lunga fila di soldati governativi che portava sulle spalle lo zainetto azzurro che l’Unicef avrebbe dovuto distribuire agli scolari dei campi profughi dello stato di Unity. Nello scorso luglio a Juba i soldati governativi, alla guida di automezzi militari, hanno svuotato i magazzini del Programma alimentare mondiale e della Fao, razziando cibo e sementi destinati agli sfollati.
Popolazione allo stremo Anche quest’anno, particolare preoccupazione desta la situazione alimentare che sarà molto critica almeno fino alla fine di luglio, quando si avrà il primo raccolto. Ormai da mesi le organizzazioni competenti dell’Onu si appellano alla comunità internazionale perché venga scongiurata la morte per fame di decine di migliaia di persone. La popolazione è allo stremo soprattutto nelle regioni settentrionali (Stato di Unity, Bahar el Gazal Settentrionale e Occidentale) e nella regione meridionale dell’Equatoria. Le ultime tre stagioni agricole sono quasi del tutto fallite, soprattutto a causa della guerra che ha impedito il normale lavoro nei campi. L’insicurezza delle strade impedisce la distribuzione del poco prodotto e soprattutto l’importazione dai paesi confinanti, in particolare dall’Uganda, da cui proveniva gran parte del cibo necessario al paese. Quello che riesce ad arrivare sul mercato ha prezzi inaccessibili, per i costi di trasporto enormemente aumentati a causa della pericolosità delle strade e per un’inflazione fuori controllo. In questi giorni un dollaro a Juba vale 130 sterline sud sudanesi (Ssp); ne valeva più o meno 15 un anno e mezzo fa. Lo scorso novembre un chilo di sorgo costava 49 Ssp, quattro volte di più dell’anno precedente, dieci volte di più che nel novembre del 2013, prima dello scoppio della guerra civile.
Un milione e mezzo di profughi Gli scontri tra l’esercito governativo e i gruppi ribelli, moltiplicatisi nel corso del conflitto (se ne contano ormai almeno 7, più o meno alleati tra di loro), non sono mai veramente cessati, nonostante le numerose tregue e la firma di accordi di pace nell’agosto del 2015. Sono però ripresi su larga scala dopo gli scontri che hanno insanguinato la capitale, Juba, nel mese di luglio dello scorso anno e si sono diffusi alla regione dell’Equatoria, fino ad allora praticamente non interessata dalla guerra civile. Questo ha provocato un flusso costante, e sempre più numeroso, di profughi, che, secondo l’Unhcr, l’agenzia dell’Onu competente, sono ormai più di 1 milione e 500 mila, il 60% dei quali minorenni. Molti di loro raggiungono i campi in condizioni preoccupanti di malnutrizione, dopo aver affrontato viaggi lunghissimi e pericolosi a piedi, nella savana e nella foresta. La maggior parte, circa 700 mila, si trovano in Uganda, che ha un lungo confine con la regione dell’Equatoria. Solo nel 2016 sarebbero arrivate nei campi ugandesi circa 500 mila persone, con una media di 63.000 al mese dopo gli scontri dello scorso luglio. Il nuovo segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres, ha affermato in un suo rapporto confidenziale all’Onu, visto dall’Associated France Press (AFP), che la violenza contro i civili nel conflitto sud sudanese ha assunto proporzioni catastrofiche. Testimoni oculari, che hanno viaggiato nelle zone tra Juba e il confine ugandese negli ultimi giorni, raccontano di un territorio desolato, di villaggi deserti e distrutti, di bestiame abbandonato che vaga in cerca di cibo e di acqua. In molti si chiedono fino a quando questa situazione potrà durare. Nello stesso rapporto citato sopra, si dice che potrebbe durare parecchi anni, proprio a causa del proliferare delle milizie, più o meno autonome, allineate all’esercito governativo o a quello ribelle. Già ora si vede il pericolo di una frammentazione del territorio che potrebbe aumentare e consolidarsi con il passare del tempo. Purtroppo è davvero difficile immaginare una soluzione di breve termine alla disastrosa situazione in cui versa attualmente il paese. |