http://www.occhidellaguerra.it/ set 24, 2017
L’Algeria si trova ad un passo da un baratro economico devastante
È il paese più grande del mondo arabo, importante produttore di petrolio nonché vitale ‘laboratorio politico’ del Maghreb e dell’area mediterranea; il riferimento è all’Algeria, paese ricco di contraddizioni, il primo a subire nel proprio territorio la piaga dell’estremismo islamista, ma anche l’unico a non aver avuto considerevoli conseguenze dalle ‘primavere arabe’ che pure proprio tra le strade di Algeri hanno avuto un piccolo ma importante preambolo nel novembre 2010. Per queste e per altre ragioni, il paese nordafricano ha una grande importanza nel contesto mediorientale e del ‘mare nostrum’; pur se in secondo piano nelle cronache che hanno riguardato la regione negli ultimi anni, l’Algeria sta affrontando questioni molto delicate e decisive per il suo futuro e per la stabilità economica e politica dei prossimi anni. Proprio nella settimana appena trascorsa, il Parlamento uscito dalle elezioni di maggio ha approvato un nuovo ‘piano d’azione’con i crismi di un’urgenza che non lascia, almeno per il momento, trasparire nulla di positivo.
La necessità del nuovo piano d’azione: stampare subito più moneta per pagare gli stipendi Retta dal 1999 da Abdelaziz Bouteflika, sopravvissuto sia a quattro rielezioni che a numerosi problemi di salute che lo costringono a governare il paese da una sedia a rotelle e con forze fisiche sempre più carenti, l’Algeria ha un’economia non più propriamente socialista ma dove comunque il controllo statale appare importante e dove, con gli introiti delle esportazioni di combustibili fossili, si è cercato di finanziare un adeguato sistema di welfare, oltre che opere pubbliche ed infrastrutturali a volte realmente importanti (quali la nuova metropolitana di Algeri, gli oltre tremila nuovi chilometri di ferrovia e l’asse autostradale est – ovest) ed altre un po’ meno (come, per esempio, la grande moschea della capitale in corso di costruzione ad opera di imprese cinesi). Ma proprio l’eccessiva dipendenza dal petrolio e dagli idrocarburi, ha avviato il paese da alcuni anni ad una fase recessiva che preoccupa non soltanto da un punto di vista economico, ma anche sul fronte della tenuta sociale.
E’ in questo contesto che lo scorso 14 settembre il primo ministro, Ahmed Ouyahia, in Parlamento ha presentato il nuovo piano d’azione dalla durata pluriennale ma i cui primi effetti nelle intenzioni del governo dovrebbero essere immediati; nel suo discorso ai parlamentari, il capo dell’esecutivo algerino ha affermato senza messi termini che il paese sarebbe sull’orlo di un vero e proprio black out finanziario, un collasso che determinerebbe gravi danni all’economia ed alla società. Toni allarmistici, che Ahmed Ouyahia ha giustificato elencando alcuni dati decisamente poco confortevoli: crollo delle entrate, dimezzamento delle riserve negli ultimi due anni, bilanci che non riescono a chiudersi e difficoltà nel reperimento immediato di nuove risorse. Ma soprattutto, è stato il più grande spauracchio nella vita amministrativa di un paese a dare al piano del governo i crismi dell’urgenza: “Senza questo atto – ha dichiarato il primo ministro – rischiamo già a novembre di non poter pagare gli stipendi ai dipendenti ed ai funzionari”.
Il parlamento ha quindi approvato, esattamente una settimana dopo, il nuovo piano economico il cui punto vitale riguarda la norma che regola gli ‘investimenti non convenzionali’ da immettere sul mercato interno; in poche parole, si tratta di nuova moneta da stampare per poter pagare gli stipendi e coprire numerose falle di bilancio evitando per il momento il totale collasso delle istituzioni. Una misura drastica, non subito digerita dalle opposizioni sia laiche che islamiste in parlamento; secondo alcuni gruppi politici infatti, la situazione di emergenza prospettata dal governo è da attribuire solamente ad una scusa dell’esecutivo per forzare l’adozione di determinate misure, secondo altri invece il piano d’azione potrebbe mettere soltanto una falla su un sistema che invece andrebbe curato con provvedimenti in grado di agire a lungo termine. Le norme volute da Ahmed Ouyahia sono comunque state approvate: tra queste, oltre alla stampa di una maggiore quantità di moneta, anche il parziale blocco delle importazioni di determinati beni al fine di avvantaggiare la produzione locale.
In gioco la stabilità dell’Algeria Se da un lato la necessità di ricorrere a misure d’emergenza è molto più di un campanello d’allarme per il paese, dall’altro però è anche vero che il governo ha potuto e voluto muoversi all’interno dell’alveo di una sovranità monetaria e politica che l’Algeria rivendica da sempre da quando ha ottenuto l’indipendenza dalla Francia; l’operare direttamente sulla propria moneta e l’incidere con misure in un certo qual modo protezionistiche, potrebbe dare respiro nell’immediato e permettere la risoluzione di alcune delle più stringenti problematiche a partire dal pagamento degli stipendi. Pur tuttavia, la fragilità dell’economia algerina appare molto evidente: gli investimenti nelle infrastrutture non sono bastati, il calo dei prezzi del petrolio ha creato gravi buchi nel debito e nel saldo del commercio e, in generale, la mancata diversificazione del sistema economico impongono una seria preoccupazione circa il futuro dell’Algeria. La partita in questione è molto delicata: in ballo non c’è solo l’economia, ma anche la stabilità del paese.
C’è chi ha sostenuto, all’indomani delle cadute di Ben Alì e Mubarack rispettivamente in Tunisia ed Egitto, che in Algeria le istituzioni hanno retto all’urto delle primavere arabe soltanto perché i cittadini algerini hanno ancora ben in mente i ricordi della guerra civile degli anni 90 e quindi la salvaguardia della stabilità, ancora oggi, sarebbe in cima alle preoccupazioni della società civile; certo è però che, qualora il paese continui nella sua fase recessiva aggravando la situazione e dando di sé un’immagine di ‘grande malato’ del nord Africa, la stessa stabilità potrebbe essere compromessa e ciò costituirebbe un problema anche per l’intera area mediterranea.
In Algeria infatti il pericolo legato al terrorismo non è mai andato in archivio, tutt’altro sono diversi i gruppi ispirati alla jihad formati da algerini od attivi nello stesso paese africano; inoltre, la natura desertica di gran parte del suo vasto territorio, specie lì dove il Sahara algerino si spinge verso i delicati confini con Mali e Niger, lo rende soggetto all’influenza delle più importanti sigle islamiste del Sahel. In poche parole, l’Algeria abbraccia il Mediterraneo ma anche i punti più ‘caldi’ (e non solo per il clima) punti del Sahara e dell’Africa occidentale; il collasso economico sarebbe un disastro per la sua stabilità e, di riflesso, le conseguenze rischierebbero di incidere anche sui vicini. Al di là del piano d’azione varato dal governo, la sicurezza del Mediterraneo passa anche da una ripresa e da un risanamento dei più importanti comparti economici del più grande paese del mondo arabo.
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