Indian Punchline

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18 febbraio 2016

 

Un chiaro messaggio a Erdogan

di MK Bhadrakumar

Traduzione di Alessandro Lattanzio

 

L’agenzia di stampa iraniana FARS, vicina al Corpo delle Guardie rivoluzionarie islamiche (IRGC), ha pubblicato un articolo sul quadro generale dei drammatici ultimi sviluppi nel settentrione della Siria, al confine con la Turchia. È il primo chiaro resoconto sui combattimenti nella regione che fornisce una chiara visione dello schieramento di forze; la Turchia e i gruppi estremisti ad essa allineati da un lato che disperatamente cercano di conservare le roccaforti nella provincia di Aleppo contro gli attacchi concertati delle forze governative siriane e delle milizie curdo-siriane. Il resoconto chiarisce che gli attacchi aerei russi ai gruppi estremisti sono un fattore decisivo nei combattimenti. Gli aviogetti russi bombardano gli estremisti senza sosta e gli attacchi terrestri se ne avvantaggiano. Inoltre, la Turchia ha tutt’altro che rinunciato inviando ancora rinforzi e rifornimenti. (Questo è anche confermato da altri media). Il fuoco d’artiglieria da oltre frontiera mira alle forze curde. Secondo l’articolo della FARS, vi sono crescenti segnali che un incursione militare turca in Siria sia prevista, ma appare inverosimile, tanto più che situazione della sicurezza interna della Turchia peggiora. Sembra che il momento decisivo sia una qualsiasi mossa curda per catturare la città di Azaz al confine con la Turchia che, secondo i media russi, è il punto di transito fondamentale per i rifornimenti dalla Turchia alle roccaforti degli estremisti in Siria. Il primo ministro turco Ahmed Davutoglu aveva detto apertamente: “Non lasceremo che Azaz cada“. Ma fu tre giorni fa. Nel frattempo, la crisi della sicurezza interna ricorderà alla leadership turca che, quando la casa è in fiamme, le avventure militari all’estero è meglio evitarle. In effetti, il massiccio attentato del 16 febbraio, nel cuore di Ankara dove si trovano il Primo ministro, il Parlamento e il Comando Generale dell’esercito, potrebbe rivelarsi un punto di svolta. Si è trattato dell’attacco a un convoglio di autobus militari facendo 28 vittime. In precedenza, l’esercito turco avrebbe preso la leadership civile ritenendola responsabile di tale mortale violazione della sicurezza.

I primi commenti del presidente Recep Erdogan sembrano accusare i curdi i quali, secondo lui, agirebbero da “pedine” di forze estere. (Ma poi la Turchia sostiene al solito che il governo siriano ha stipulato un accordo faustiano con i curdi). È interessante notare, però, che il Ministero degli Esteri russo ha rilasciato un’eccezionalmente forte dichiarazione di condanna dell’attentato di Ankara. La durezza (“barbaro crimine”) e l’accento sulla “necessità di unire tutti i Paesi nella lotta al terrorismo internazionale” suggerirebbero che per Mosca certi gruppi estremisti in Siria e in Iraq potrebbero esserne responsabili. Tuttavia, la ‘notizia flash’ su un secondo attentato la mattina del 18 febbraio a un altro convoglio militare turco, questa volta nella città sudorientale di Diyarbakir (focolaio del nazionalismo curdo, così come base dei combattenti estremisti in Siria), sottolinea che Erdogan è con le spalle al muro. Evidentemente, qualcuno gli incendia la casa, con ogni probabilità per impantanarlo nel tentativo di spegnere le fiamme. I due attentati delle ultime 24 ore sono un duro monito a Erdogan che la Turchia non ha semplicemente la capacità di combattere due guerre contemporaneamente. Quindi, in ultima analisi, cosa può fare Erdogan in Siria? Certamente, l’esercito turco non farà un’incursione in Siria da solo, senza un”exit strategy’, e la partecipazione di Arabia Saudita o Emirati Arabi Uniti sarà scarsa. La Turchia sperava in un pieno intervento occidentale con essa a svolgere un ruolo fondamentale. La migliore speranza per la Turchia era la NATO intervenire direttamente. D’altra parte, la Turchia è esasperata dagli Stati Uniti che si rifiutano di considerare la milizia curda-siriana “terroristica”. Presso la Casa Bianca, nella conversazione telefonica tra il premier Davutoglu e il vicepresidente statunitense Joe Biden, gli statunitensi hanno usato volutamente l’espressione “forze curdo-siriane”, che non potrebbe essere casuale.

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