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01 gennaio 2016

                     

In Turchia farei come Hitler

di Checchino Antonini

 

Dichiarazione choc del sanguinario presidente turco: la Germania di Hitler sarebbe un esempio di presidenzialismo efficace. Centinaia di morti e feriti negli assedi dell’esercito alle città curde

 

Per Recep Tayyip Erdogan, presidente della Turchia, membro della Nato, quello di Adolf Hitler è stato un esempio lampante di sistema presidenziale efficace. Corrotto, violentissimo, genocida: il capo dello stato turco aggiunge una perla alla sua collana di sconcezze secondo quanto riporta il Guardian, citando a sua volta i media turchi. Dunque è alla Germania degli anni 30 che Erdogan, capo dell’Akp, un partito islamico, pensa quando chiede maggiori poteri per il suo esecutivo. Ed è a quella Germania a cui si ispira, probabilmente, quando deve gestire i rapporti con una delle numerosissime minoranze etniche di quello stato, quella curda è la più consistente, pari al 18% della popolazione complessiva (altri gruppi etnici includono greci, armeni, abcasi, albanesi, arabi, assiri, bosniaci, circassi, georgiani, hem?in, lazi, bulgari, rom).

Tornando da un viaggio in Arabia Saudita, con cui condivide lo stesso spregio per i diritti umani e la medesima ambiguità nei confronti dell’Isis, oltre che la solida alleanza con Nato e Ue, ai cronisti che gli chiedevano se fosse possibile un sistema presidenziale mantenendo la struttura unitaria dello stato, Erdogan ha risposto con nettezza: «Ci sono già esempi nel mondo. Lo si può vedere quando si guarda la Germania di Hitler». «Ci sono stati molti esempi in vari altri paesi», ha detto ai giornalisti, secondo una registrazione trasmessa dall’agenzia di stampa Dogan e riportata dalla Reuters.

Un funzionario turco ha cercato di chiarire la frase di Erdogan. «Ci sono esempi di sistemi presidenziali buoni e meno buoni, e la cosa importante è di mettere controlli ed equilibri in atto», ha detto. «La Germania nazista, mancando accordi istituzionali appropriati, era ovviamente uno degli esempi più vergognosi della storia».

Erdogan vuole cambiare la Costituzione per trasformare il ruolo cerimoniale del presidente in quello di un direttore generale, una versione turca del sistema di Usa, Francia e Russia.

Il Partito Giustizia e Sviluppo (AKP), da lui fondato, ha messo la nuova costituzione al centro della sua agenda dopo aver vinto di nuovo la maggioranza nelle elezioni parlamentari di novembre. Akp ha anche un accordo con i repubblicani popolari, il principale partito di opposizione (CHP) per rilanciare gli sforzi per forgiare una nuova costituzione.

La costituzione, redatta dopo il feroce golpe militare del 1980, conserva l’impronta dei militari fascistoidi. Tutti sono d’accordo nel cambiarla ma non certo nella direzione cercata da Erdogan. La sua riforma mette seriamente a rischio la fragile democrazia dello stato turco.

 

Intanto, Il Partito democratico dei popoli – Hdp -  ha rilasciato un rapporto preliminare  sui civili che hanno perso la vita nei recenti coprifuochi, dalla dubbia costituzionalità, e assedi di città e paesi nel Kurdistan del nord (Turchia sudorientale). I recenti coprifuochi imposti nella Turchia orientale non hanno fondamento legale e costituzionale. Ufficialmente ispirati da esigenze di ordine pubblico, i coprifuochi hanno portato a terrorizzare l’opinione pubblica, all’uccisione di civili da parte delle forze di sicurezza, alla distruzione di siti del patrimonio culturale e alla distruzione delle città. Il primo è stato imposto il 16 agosto a Varto, e dura ancora in tre distretti di Cizre, Silopi e Sur. Da allora decine di quartieri in 20 distretti in 7 città sono stati posti sotto coprifuoco. Questo ha comportato 56 distinte dichiarazioni di coprifuoco e complessivamente 253 giorni. Molti di questi blocchi sono continuati in pratica anche dopo la dichiarazione della fine del coprifuoco. Durante questi recenti assedi in 5 distretti 56 persone hanno perso la loro vita. In altri 15 diversi distretti,113 cittadini hanno perso la vita mentre centinaia di altri sono rimasti feriti e sono diventati disabili in modo permanente. 61 bambini e 36 donne complessivamente hanno perso la vita. 114 persone sono state uccise nelle stragi ad Ankara,Suruç e Zergele.  Centinaia di case e di luoghi di lavoro sono stati bruciati e distrutti dalle forze di sicurezza e da altre forze dello stato come “Esedullah”. Le stesse forze hanno terrorizzato la gente scrivendo frasi razziste e sessiste sulle mura dei quartieri e sulle lavagne nelle scuole.

Racconta ancora Ayhan Bilgen, portavoce a Kars del Partito democratico dei popoli HDP, che il patrimonio storico e culturale delle regioni curde è a rischio di distruzione.Il castello di Diyarbak?r, che si trova nella lista del Patrimonio Mondiale dell’UNESCO è sottoposto alla minaccia di gravi danni.Siti storici e religiosi come la moschea Kur?unlu a Sur e la moschea Seyyidhan sono stati rovinati. Scuole,ospedali e gli edifici delle municipalità a Silopi e Cizre sono stati trasformati in sedi militari. La gente sta trascorrendo la maggior parte del tempo in scantinati a causa dei carri armati nelle vie e del fuoco dell’artiglieria nei quartieri. La popolazione sta soffrendo della mancanza di acqua, cibo ed elettricità. La gente è stata deprivata dei loro più elementari diritti poichè le farmacie e le fornerie sono chiuse. L’accesso ai servizi sanitari è impedito dall’assedio. La popolazione di alcuni quartieri è stata costretta con la forza ad andarsene, ed il livello di distruzione in questi quartieri è cosi esteso che non è possibile prevedere quando la popolazione sarà in grado di tornare. La verità su questi avvenimenti non è stata riportata nei media. Le notizie che appaiono subiscono distorsioni per adattarsi alla propaganda del governo. Le condizioni per le quali osservatori indipendenti e obbiettivi possono operare non vengono garantite.

«Non sorprende – conclude il portavoce – che un blocco il cui intento è quello di oscurare il futuro della Turchia e del Medio Oriente per decenni, prenda di mira HDP, che contro essi sta alzando la voce e perseguendo una lotta per la democrazia.

 

 

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