Fonte: http://roarmag.org/

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12 giugno 2016

 

L’Ascesa al Potere del Bullo: La Conquista della Turchia da Parte di Erdogan

di Giran Ozcan

Traduzione di Francesco D’Alessandro

 

Durante il suo regno Erdogan ha sconfitto e imbavagliato i suoi nemici politici e anche i suoi alleati, consolidando la sua stretta sul potere. Adesso vuole tutto il banco.

Una delle cose piu’ interessanti da osservare nella politica Turca degli ultimi dieci anni piu’ o meno e’ stata la capacita’ di una singola persona di riuscire a vincere tutte le sue battaglie per l’egemonia politica. Non esiste un singolo esempio di qualcuno che abbia avuto la sfacciataggine di opporsi all’autorita’ del Presidente Recep Tayyip Erdogan e poi sia riuscito ad evitare la liquidazione politica. E’ successo sempre cosi’, in un modo o nell’altro:  rimangiarsi le critiche o l’esilio nella selva politica/economica.

Erdogan e’ stato chiamato un Kabadayi ( parola Turca per “mascalzone” o “Bullo”) dai suoi oppositori. Sebbene la parola sia stata usata per caratterizzare il presidente Turco, Erdogan si e’ impadronito con successo di questa caratterizzazione e ne ha, senza dubbio, trattoi  suoi vantaggi.

L’ottenimento di punti politici, in modo artistico, dalla simpatia popolare per i Kabaday –sempre presenti nel folclore Turco, nel cinema e nei drammi odierni alla TV come Kurtlar Vadisi– gli ha fornito “delle qualita’ di leader” che i suoi avversari semplicemente non riescono a raggiungere.

Sebbene i tratti personali del Presidente Erdogan abbiano ricoperto un ruolo importante- sebbene non decisivo- nella sua ascesa egemonica, la sovranita’ sulla e l’appropriazione della produzione economica della nazione sono state sicuramente fonte di motivazione importante.  L’accumulazione sia del  potere politico che del capitale economico, piu’ spesso che non,  e’ correlata in maniera positiva. La storia di questa correlazione durante il regime di Erdogan richiede un’analisi piu’ ravvicinata.

Prima del 2002 il valore economico della Turchia era principalmente basato a Istanbul, nelle mani dei “Turchi Bianchi”- il termine usato popolarmente in Turchia per descrivere la popolazione urbana, elitista, secolare della Turchia Occidentale. I centri nevralgici di tutte le corporazioni piu’ grandi erano – e lo sono ancora- basate a Istanbul, la capitale economica della Turchia. Molti analisti e commentatori politici sarebbero persino d’accordo nel sostenere che le direzioni di queste corporazioni, insieme ai militari dominanti politicamente a quel tempo, potevano fruire di maggior capitale politico di qualsiasi altro partito politico nell’Assemblea Nazionale della Turchia a quel tempo.

 

L’apparizione dei Turchi Verdi

Fino al 1980 le economie di citta’ come Konya e Kayseri, la residenza dei “Turchi Verdi”,  un nuovo termine che descrive l’aspirante borghesia tra la popolazione rurale, religiosa, conservatrice dell’Anatolia Centrale, potevano essere considerate le periferie di Istanbul, che rimaneva il centro del potere economico e politico della nazione. Istanbul da sola elegge approssimativamente un sesto dei 550 deputati eletti al parlamento Turco.

Sebbene economicamente vibrante, la capitale “Verde” dell’Anatolia Centrale non riusciva ad utilizzare appieno la liberta’ proveniente dal libero mercato e quindi a mettere in pericolo la dominanza indisputabile di Istanbul sulla produzione economica. Politicamente ed economicamente la capitale “Bianca” limitava in maniera effettiva il potenziale “Verde” per l’espansione. Fu entro questo contesto che l’Islam politico sarebbe riapparso quale forza politica in Turchia; una forza che era stata eliminata completamente o, come minimo, confinata nelle catacombe dai giovani generali  laici che costruirono la Repubblica Turca a loro immagine e somiglianza.

Fu Necmettin Erbakan, leader del Refa Partisi (Partito dell’Assistenza) che apri’ una nuova via all’Islam politico quando ottenne diverse significative vittorie elettorali nella meta’ degli anni ’90.  All’incirca nello stesso periodo, un chierico Islamico chiamato Fethullah Gulen stava influenzando i titoli di testa dei mass media Turchi con sermoni in moschee di alto profilo in tutta la nazione  in cui egli proponeva un cambiamento profondo nella direzione di uno stato con caratteristiche Islamiche piu’ marcate. E’ ben documentato che queste due persone non si piacquero mai l’un l’altro.

Mentre Gulen si incontrava con i primi ministri laici come Tansu Ciller e Bulent Ecevit, non si incontro’ mai con Erbakan. Quella che sembrava un’alleanza naturale non si materializzo’ mai e eventualmente tutti e due gli uomini, indipendentemente l’un dall’altro, furono estraniati dalla politica importante della Turchia dall’ancora potente alleanza “Bianca”. Erbakan attraverso un “golpe post-moderno” nel 1997 che smantello’ la sua gia’ fragile coalizione di governo e Gulen in un auto-imposto esilio nel 1999.

Durante questo periodo Recep Tayyip Erdogan, Abdullah Gul,  Bulent Arinc e Abdulatif Sener furono gli studenti di Erbakan, fino a quando abbandonarono il partito per formare il loro proprio Partito della Giustizia e dello Sviluppo (AKP) nel 2001, con l’appoggio economico della nemesi di Erbakan, Fethullah Gulen e l’adolescente, comparativamente, borghesia dell’Anatolia Centrale. Meno di un anno dopo dalla data della fondazione, l’AKP vinse la maggioranza nelle elezioni generali del 2002. L’alleanza fu proficua e dopo quasi 90 anni di illegalita’, l’Islam politico si trovo’ alla guida della Repubblica Turca. Recep Tayyip Erdogan era il leader ovvio del movimento, ma non ne era senz’altro il messia- perlomeno non ancora.

Sebbene i “Turchi Bianchi” sapessero bene di aver subito un colpo mortale, l’Akp fece del suo meglio per minimizzare la situazione. I ricordi della vittoria su Erbakan e dell’esilio di Gulen erano ancora troppo vividi, e cosi’ l’AKP ammorbidi’ la transizione internalizzando i valori dei “Bianchi”: l’entrata nell’Unione Europea rimase una priorita’, vennero preparati dei pacchetti di riforme per le minoranze, le relazioni con l’Occidente vennero rinforzate e le liberta’ civili vennero, fino a un certo punto, migliorate. L’AKP “Verde” in sostanza, agi’ come avrebbe fatto un buon governo “Bianco”. La posta in gioco era alta, la vecchia elite annusava costantemente intorno per trovare debolezze nel nuovo governo non laico. E l’AKP, lo si deve ammettere, si comporto’ molto bene per se’ stesso, riuscendo anche a convertire certi settori della fazione “Bianca”- sia privati che militari- al suo lato.

 

La Fusione dell’AKP con lo Stato

Il primo termine del governo dell’AKP passo’ in un’atmosfera in cui la burocrazia dello stato e il movimento Islamista si misuravano a vicenda. La crisi piu’ grossa per l’AKP in quel periodo avvenne nel 2008, quando un caso venne portato davanti alla corte costituzionale per cercare di limitare le attivita’ anti-laiche del partito. L’AKP sfioro’ la chiusura perche’ la quota dei giudici che votarono a favore della chiusura manco’ di un solo voto.

Nel 2007 sia le elezioni politiche che il referendum costituzionale furono delle grosse vittorie per l’AKP, ma fu solo dopo la sentenza della Corte Costituzionale che la battaglia per il potere tra l’establishment dei Bianchi “Kemalisti” e l’AKP si concluse. Dopo di questo e con l’aiuto di migliaia di seguaci di Gulen posizionati dentro la burocrazia statale, l’alleanza “Verde” inizio’ il processo di consolidamento del suo potere politico.

Il famoso giornalista Turco Hasan Cemal ha descritto questo processo come “l’Ankararizzazione” dell’AKP. L’Islam politico si stava prendendo la sua rivincita sulla Repubblica: Fethullah Gulen, che non crede nelle politiche parlamentari, stava deliberatamente posizionando i suoi seguaci nella burocrazia per “cambiare il sistema dal di dentro”, e la borghesia dell’Anatolia Centrale fu finalmente capace di esprimere il suo  potenziale completo economico. Cosi’ il secondo termine dell’AKP puo’ essere definito come lo stadio in cui il partito divenne lo stato e lo stato divenne il partito.

L’AKP, sempre piu’ sicuro di se’ stesso, piu’ tardi dichiaro’ guerra all’establishment militare attraverso i “processi Ergenekon”, in cui molti generali in servizio, che erano stati accusati di complottare per rovesciare il governo, furono poi arrestati. Allo stesso momento i “Turchi Bianchi” furono minacciati di stare in fila e forse il piu’ importante “Turco Bianco” e mogul dei mass media –Aydin Dogan- fu multato per milioni di dollari nel 2009 per evasione delle tasse. Sebbene ci vollero quasi dieci anni, la conquista dello stato da parte dell’AKP fu completata e non rimasero altre minacce esterne per invertire il processo.

L’AKP adesso aveva il potere assoluto. Un aggiustamento grammaticale a questa quota abusata non potrebbe essere piu’ appropriato qui: “il potere corrompe: il potere assoluto corrompe in maniera assoluta”. E’ importante specificare che non si tratta solamente di Erdogan che era stato corrotto da questo potere assoluto- lo erano tutti. Con i “Turchi Bianchi” sottomessi e i militari castrati, le risorse politiche, economiche e burocratiche caddero alla merce’ dei quadri dell’AKP, una vista che faceva venire l’acquolina in bocca a coloro che per tanto tempo erano stati bistrattati da quelle stesse istituzioni che adesso erano in grado si saccheggiare.

Ma si trattava di una maledizione cammuffata.

 

La Rottura tra l’AKP e il Movimento di Gulen

Fu proprio la vista del saccheggio che avrebbe portato la coalizione imbattuta verso  battaglie interne senza sosta fino alla morte, in cui l’ultimo uomo in piedi avrebbe preso tutto il bottino per se’ stesso. Le crepe inizialmente cominciarono ad apparire sulle colonne dei quotidiani. I giornalisti che scrivevano in giornali pro-Gulen cominciariono a sterzare via dalle loro politiche editoriali e dall’amore incondizionale per il governo dell’AKP. Il modo simile I giornalisti delle pubblicazioni filogovernative non riempirono piu’ le colonne con sonetti sulla santita’ di Fethullah Gulen.

Poi, il 7 Febbraio 2012, si scateno’ l’inferno. Il Procuratore Speciale, Sadrettin Sarikaya, ordino’ al capo dell’Organizzazione Nazionale di Intelligenza (MIT) di deporre riguardo a incontri che aveva avuto – quale inviato speciale del governo – con leaders del PKK a Oslo, come parte di cio’ che viene chiamato comunemente “Il Processo di Pace di Oslo”.

Il Primo Ministro Turco a quel tempo, Recep Tayyip Erdogan, avrebbe piu’ tardi definito quel momento come “il giorno in cui verificammo la vera faccia della struttura parallela”, usando il termine usato dai filogovernativi per descrivere e definire il movimento di Gulen. Quel giorno costitui’ un’enorme pietra miliare. Fino ad allora l’AKP nella sua totalita’ aveva governato il paesi in sintonia.  Tuttavia, proprio come una reazione chimica a senso unico, gli eventi del 7 Febbraio assestarono una batosta irreversibile a quello che dal di fuori sembrava un legame indistruttibile. Il movimento Gulen fu il primo a subire le purghe del governo e fu privato del bottino.

L’importanza di questa rottura non puo’ essere esagerata. I dieci anni precedenti che portarono al 7 Febbraio furono piu’ che abbastanza sia per i seguaci di Fethullah Gulen che per gli appartenenti all’AKP di infiltrare i servizi giudiziari e di sicurezza dall’alto in basso. Se il 7 Febbraio fu una pietra miliare, il periodo precedente e’ stato sicuramente equivalente a un combattimento in gabbia a mani nude.

Nell’estate del 2013 milioni di persone in tutta la Turchia scesero nelle piazze per fermare la sterzata del governo verso l’Islamismo, chiedere le dimissioni di Erdogan e promuovere le liberta’ civili in cio’ che divenne noto come la Rivolta di Gezi. La risposta delle autorita’ fu immediata, violenta e senza compromessi. Diversi manifestanti furono uccisi e centinaia feriti. Uno dei critici piu’ vocali della repressione violenta orchestrata da Erdogan fu proprio Gulen.

Durante il corso dei mesi seguenti, mentre Erdogan e il governo dell’AKP si affrettavano a scaricare e ostracizzare qualsiasi burocrate filo-Gulen o simpatizzante, il movimento Gulen comincio’ a rilasciare documenti segreti, tremendamente incriminatori, di registrazioni segrete di Erdogan e di diversi altri ministri dell’AKP. Erdogan e i suoi ministri denunciarono le registrazioni come parte di una “cospirazione”, ma non ne falsificarono mai il contenuto.

Alla fine fu Fethullah Gulen che ingenuamente strafece la sua mossa, forse pensando che i suoi agenti nella burocrazia potessero almeno garantire un duello paritario. Erdogan, d’altra parte, ritorno’ alla sua personalita’ di Kobadayi e supero’ luragano.  La coalizione che aveva digerito tutti gli avversari che contavano stava adesso rivolgendosi su se’ stessa- e Fethullah Gulen doveva essere la prima vittima.

 

La Fusione di Erdogan con lo Stato

Questo lascio’ Abdullah Gul e Bulent Arinc, cofondatori dell’AKP insieme a Erdogan, come le voci piu’ influenti che avevano ancora una possibilita’ di fronteggiare Erdogan. Al momento dello scontro tra l’AKP e il movimento Gulen, Abdullah Gul occupava il ruolo largamente simbolico di Presidente della Repubblica Turca e Bulent Arinc era il vice primo ministro. Essi erano gli unici membri dell’esecutivo Turco a potersi permettere l’audacia di mostrarsi in disaccordo, in maniera minimale, con l’egemonia di Erdogan.

Oggi tutti e due questi individui hanno avuto cio’ che si meritavano. Nel 2014, Erdogan che aveva dichiarato che non si sarebbe ripresentato alle elezioni di Marzo, si presento’ di nuovo nelle liste e divento’ il primo presidente eletto della Repubblica Turca. Il presidente uscente, Abdullah Gul, si e’, da allora, ritirato dalla politica. Bulent Arinc, che non aveva potuto candidarsi nelle ultime elezioni generali per via di un limite di 3 termini scritto nello statuto interno dell’AKP, non ricevette neppure una posizione simbolica nell’amministrazione. Egli adesso critica apertamente Erdogan in qualsiasi momento ne abbia la possibilita’.

Erdogan adesso sta volando da solo. La cacciata, mal travestita, del suo primo ministro recente, Ahmet Davutoglu- presentata al pubblico come una “dimissione volontaria”, ma intesa da tutti come il consolidamento del regno solitario di Erdogan- e’ solo l’ultimo esempio del Presidente che manda i suoi critici, non importa quanto moderati, in esilio nella selva politica. Non sarebbe esagerato definire il terzo e quarto termine del governo dell’AKP come i termini durante i quali Recep Tayyip Erdogan divenne lo stato e lo stato divenne Recep Tayyip Erdogan.

Il perseguimento dell’egemonia di un uomo solo, e’ comunque lungi dall’essere completa. Sebbene la costituzione attuale non abbia, in maniera opinabile, neanche il valore della carta su cui sta scritta, Erdogan- che, come presidente, ha chiaramente detto che egli non rispetta le decisioni della Corte Suprema-  sta spingendo per una nuova costituzione che gli garantirebbe il sistema presidenziale che brama e che ha gia’ disegnato in modo teorico.

Attualmente la Turchia e’ governata da un uomo che ha sconfitto tutti i suoi rivali politici come pure i suoi vecchi alleati. Nel corso di questo processo lui e la sua famiglia si sono intascati milioni- se non miliardi- di dollari. E’ lui che decide quali giornali possono essere pubblicati e quali no, quali giornalisti possono scrivere e quelli che non ne sono autorizzati, quali canali televisivi possono trasmettere e quali no- e, piu’ preoccupante di tutto, quali problemi possono essere risolti e quali non devono neppure essere presi in considerazione.

 

Il Movimento Curdo quale Ostacolo Finale

Durante il decennio scorso, il governo di Erdogan e’ stato caratterizzato da un pragmatismo Machiavellico che gli ha fatto guadagnare molti ammiratori e altrettant nemici. Egli ha fatto accordi con i suoi oppositori, quando questo  ha facilitato la promozione della sua agenda politica, e con la stessa facilita’ ha voltato le spalle ad alleati del passato quando questi non gli servivano piu’. Senza correre nessun rischio Erdogan ha fatto si’ che i suoi avversari fossero privati di tutto il potere politico quando e se fossero diventati troppo forti.

Questo e’ successo con i liberali “Turchi Bianchi”, i pezzi grossi militari, il Cemant di Gulen e il movimento Curdo. Durante tutto il governo dell’AKP, ci sono state numerose opportunita’ di concludere pacificamente il lungo conflitto tra il PKK e lo stato Turco. Ma, mentre faceva finta di promuovere la pace, l’AKP ritirava l’assenso ogni qual volta i costi politici diventavano troppo alti. Progressi importanti verso la pace e promesse colorate furono fatte nelle vicinanze delle elezioni e dei referendum, solo per scordarsene e per scartarle appena il partito avesse incassato il voto dei Curdi.

La crisi di Kobane nel 2014 e il rifiuto del governo Turco di venire in aiuto alla citta’ Curda sotto l’assedio di ISIS costitui’ un punto di non ritorno cruciale quando molti Curdi in Turchia persero finalmente la loro fiducia nelle promesse dell’AKP per la pace. Questa gente confermo’ di aver ragione dopo le elezioni del Giugno 2015 in cui l’HDP –un partito di sinistra con le sue radici nel movimento di liberazione Curdo – ottenne una vittoria elettorale oltrepassando la soglia elettorale del dieci percento, vietando cosi’ all’AKP la maggioranza assoluta in parlamento. Come risposta Erdogan si levo’ la maschera del politico a favore della pace e lancio’ una guerra senza limiti contro il movimento Curdo nel sud-est del paese.

Da questo punto di vista, la guerra orchestrata dall’AKP nella regione Curda corrisponde perfettamente al pattern di salita al potere di Erdogan. Adesso che i Curdi non sono piu’ necessari per facilitare le vittorie elettorali dell’AKP, il il movimento Curdo sembra piu’ forte che mai, c’e’ un solo modo per Erdogan per fronteggiare questo problema: tentare di distruggere il movimento (Curdo Ndt) una volta per tutte.

 


Giran Ozcan e’ laureato in sociologia all’Universita’ di Warwick, Gran Bretagna, ed e’ editore del Kurdish Question.


Da Z Net- Lo Spirito Della Resistenza E’ Vivo

www.znetitaly.com

Fonte: http://roarmag.org/essays/erdogan-rise-to-power-turkey/

 

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