Articolo pubblicato su The Duran il 17 ottobre 2016

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18 10 2016

 

Gli Stati Uniti implorano “pietà” alla Russia, rinunciano ad Aleppo, e ammettono che i siriani vinceranno

di Alexander Mercouris

Traduzione di Christian

 

Le conferenze stampa di John Kerry e Boris Johnson che hanno seguito la riunione dei ministri degli Esteri occidentali a Londra confermano che le opzioni militari per salvare i combattenti jihadisti sono state abbandonate, e che le potenze occidentali hanno accettato che il governo siriano (con il sostegno russo) riconquisti Aleppo est.

Alla fine – come ci si poteva aspettare – l’Occidente  ha dovuto pubblicamente accettare la sconfitta nella città di Aleppo: con tranquillità, ma l’ha fatto.

Gli eventi più rilevanti delle ultime settimane possono essere riassunti rapidamente.

In seguito all’abbandono dell’opzione militare da parte degli Stati Uniti agli inizi di ottobre, dopo la dichiarazione russa di essere pronti ad abbattere gli aerei americani che avevano come obiettivo le basi siriane, è stato fatto un ultimo tentativo di mettere in difficoltà i russi in modo da convincere i siriani ad annullare l’offensiva sulla città di Aleppo.

Quest’ultima azione, fallita e, di fatto, improponibile, era rivolta ad isolare la Russia al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite (nel dettaglio qui [in inglese]), portando avanti, al contempo, minacce prive di fondamento [in inglese] di promuovere procedimenti per crimini di guerra nei confronti dei russi, nonché sanzioni nei confronti di singoli funzionari del governo russo (ulteriori sanzioni in ambiti specifici sono fuori discussione).

In una recente riunione del Consiglio di Sicurezza Nazionale degli Stati Uniti, alcuni funzionari politici avevano riferito anonimamente ai media che le opzioni militari sarebbero nuovamente state discusse [in inglese] e presentate al presidente Obama per una sua attenta valutazione. Una richiesta che era apparsa del tutto inutile dopo che Obama aveva pubblicamente respinto qualsiasi soluzione militare pochi giorni prima [in inglese]. Gli stessi funzionari statunitensi sono stati quindi costretti ad ammettere che era “estremamente improbabile” che Obama approvasse tale ipotesi e che presumibilmente “non avrebbe preso posizione al riguardo”.

Nel frattempo Boris Johnson, l’attuale bizzarro Segretario di Stato per gli Affari Esteri e del Commonwealth britannico, ha ventilato l’idea di una “no bombing zone” [in inglese]. È la prima volta che Johnson si pronuncia così apertamente sulla questione siriana, sebbene la maggior parte dei dettagli sulla sua posizione siano emersi in conversazioni confidenziali fatte ai media britannici.

L’idea alla base di questa “no bombing zone” era che gli Stati Uniti e le potenze occidentali avrebbero imposto unilateralmente un divieto di bombardamenti all’esercito regolare di Assad e ai russi su tutto il territorio siriano. Se quest’ultimi avessero disatteso quest’ordine, proseguendo con i raid contro le forze ribelli, Stati Uniti ed alleati occidentali avrebbero reagito effettuando attacchi contro le basi e le strutture militari siriane dove si supponeva che fosse assente personale militare russo.

È probabile che l’ideatore di questo piano, vista la sua stravaganza, sia stato lo stesso Johnson. La “no bombing zone” sembra essere più semplicemente una “no fly zone” senza il ricorso al bombardamento aereo. Tuttavia gli Stati Uniti non hanno mai imposto una “no fly zone” senza attacchi aerei preventivi. A tale riguardo può aiutarci il dettagliato parere su ciò che una no fly zonecomporti e sul perché un bombardamento aereo sia parte integrante di essa [in inglese] espresso da Hillary Clinton in persona.

L’esercito americano quindi non imporrebbe mai una “no fly zone” (o una “no bombing zone”) senza ricorrere prima a interventi aerei capaci di danneggiare significativamente le difese aeree siriane; poiché, al contrario, ciò significherebbe la messa a rischio non solo dei mezzi aerei ma anche dei piloti impegnati ad imporre il rispetto della “no fly zone” (o di una “no bombing zone).

In una situazione come questa, dove la difesa antiaerea presente in Siria non è solo quella dell’esercito regolare siriano ma principalmente quella russa – dotata quindi di una maggiore efficacia e potenza strategica – l’idea di imporre una “no bombing zone” senza attacchi preventivi per danneggiare queste difese è praticamente improponibile.

Solo un civile con una totale ignoranza di come i militari americani conducono le proprie operazioni militari può aver concepito un’idea come questa, ragion per cui è molto probabile che l’ideatore sia lo stesso Boris Johnson. In realtà una “no bombing zone” – per essere fatta rispettare – dovrebbe comportare attacchi effettuati dalle navi da guerra americane con missili da crociera a lungo raggio su obiettivi siriani. Navi che, per ragioni geografiche e politiche, dovrebbero essere posizionate nel Mediterraneo orientale. Alcuni dei sistemi di difesa aerea russi in Siria sono quasi certamente in grado di neutralizzare questi missili. Il sistema di difesa russo S-300MV Antey-2500, recentemente dispiegato in Siria, è stato concepito proprio per tale scopo.

I russi sostengono che il loro sistema si trova in Siria con lo scopo di proteggere la base navale di Tartus. Le unità di difesa russe che stazionano lungo la costa siriana sono in grado di intercettare i missili da crociera lanciati da navi da guerra degli Stati Uniti dal Mediterraneo orientale. Questo dato mette di fatto in questione la capacità militare delle navi da guerra americane di far rispettare una possibile “no bombing zone”. Oltre a questo, si pone un ulteriore problema per gli Stati Uniti. I russi hanno avvertito che, in caso di attacchi missilistici contro la Siria e dell’eventuale uccisione di loro personale militare, reagirebbero con attacchi contro obiettivi militari con personale statunitense presenti nel territorio siriano.

Voci insistenti sostengono che i russi abbiano in realtà già colpito obiettivi americani. Ciò è forse accaduto dopo l’attacco aereo degli Stati Uniti contro l’esercito siriano nei pressi di Deir Ezzor. In quell’occasione si dice che siano stati uccisi tre consiglieri militari russi di stanza con le truppe siriane. Si suppone che i russi abbiano reagito con un attacco missilistico su una struttura di comando jihadista dove era presente personale militare occidentale – e in particolare statunitense – che ha comportato la morte di un numero imprecisato di uomini. Anche se questo non fosse mai accaduto – e non c’è mai stata alcuna conferma al riguardo – qualcuno sta volutamente diffondendo indiscrezioni su di esso. È molto probabilmente che dietro a ciò vi siano i russi stessi con l’intenzione di mettere in chiaro, in questo modo, che, se necessario, essi sono preparati ad una risposta militare. Non è concepibile che la leadership politica e militare degli Stati Uniti metta in pericolo le vite dei propri uomini in Siria, soprattutto in una situazione come questa che potrebbe facilmente degenerare in un confronto militare in piena regola con i russi.

In un modo o nell’altro, la “no bombing zone” deve affrontare gli stessi, insormontabili, problemi di una “no fly zone”. Ciò è stato confermato anche in un editoriale [in inglese] del quotidiano The London Times. Ciò che rende quel tipo di soluzione poco praticabile è che si rischia un confronto diretto con l’esercito russo in Siria. Rischio che la leadership politica e militare occidentale non è disposta a correre. Tutto questo è diventato del tutto evidente nella riunione dei ministri degli Esteri occidentali che si è tenuta recentemente a Londra, convocata da Boris Johnson subito dopo il meeting del segretario di Stato degli Stati Uniti John Kerry con Sergej Lavrov, Ministro degli Affari Esteri della Federazione Russa, tenutosi a Losanna.

A Losanna Kerry ha trovato Lavrov irremovibile sulla ormai ben nota posizione russa: non è possibile un cessate il fuoco unilaterale – vale a dire solo da parte dell’esercito siriano – e unico presupposto percorribile per un cessate il fuoco rimane la separazione dei combattenti siriani di opposizione dai gruppi di Jabhat al-Nusra, separazione che gli Stati Uniti hanno più volte promesso di operare senza mai attuarla concretamente. Di fronte a tutto questo, scartate le opzioni militari, ai ministri degli Esteri occidentali a Londra non è stato lasciato nient’altro che accettare l’inevitabile, e cioè che il governo siriano stia per riconquistare la parte orientale della città di Aleppo. Tutto ciò è emerso in tutta evidenza in una successiva conferenza stampa [in inglese], alla quale significativamente hanno partecipato solo Kerry e Johnson. Sia Kerry che Johnson hanno ammesso che in Europa non c’è alcuna volontà di intraprendere azioni militari in Siria. Ecco quello che Kerry ha affermato:

“Non ho visto un grande desiderio da parte dei governi europei di andare in guerra. Non vedo i Parlamenti dei Paesi europei pronti a dichiarare guerra. Non vedo molti paesi scegliere questa possibilità quale soluzione migliore. Quindi stiamo perseguendo la via diplomatica, perché quello è lo strumento che abbiamo, e stiamo cercando di trovare una via d’uscita. È facile in queste circostanze chiedersi: dov’è l’azione? Ma di quale azione stiamo parlando? Ho a che fare con molte persone che hanno difficoltà nel definire cosa intendono per azione quando si deve arrivare a compierla”.

Ed ecco quello che Boris Johnson ha detto in proposito:

“E al giornalista laggiù, ascolti, in linea di principio nessuna ipotesi è fuori discussione. Ma non c’è alcun dubbio che queste opzioni militari siano estremamente complesse e c’è, per usare un eufemismo, una mancanza di volontà politica nella maggior parte delle capitali europee e certamente in Occidente per quel tipo di soluzione. Così abbiamo dovuto lavorare con lo strumento che avevamo a disposizione, la via diplomatica…”.

Kerry ha chiaramente espresso in un passaggio riportato da The Duran (vedi qui e qui [in inglese]) ciò che ha reso per l’Occidente impraticabile l’opzione militare in Siria, notizia questa che i media occidentali hanno ignorato [in inglese]:

“…quando una grande potenza è coinvolta in una lotta come questa, come la Russia ha scelto di esserlo intervenendo in Siria e dispiegando i suoi missili per contrastare qualsiasi azione militare, cresce il rischio di un confronto diretto…”.

Eliminata la soluzione militare e fallite tutte le pressioni sui russi, non c’è nulla di più che l’Occidente può fare. Che la situazione sia questa è stato ammesso in modo chiaro anche da Boris Johnson. Tutto quello che il Segretario britannico poteva farsi venire in mente per salvare i combattenti jihadisti ad Aleppo è stato quello di invocare pietà ai russi:

“Ora, sta a loro (NB: i russi NdA) cogliere l’opportunità di mostrare grandezza e di dare prova di leadership…sta proprio a loro in questo momento ascoltare e mostrare pietà – mostrare pietà per quelle persone in quella città [Aleppo], dare inizio ad un cessate il fuoco, andate ai negoziati di Ginevra e porre fine a questo massacro”.

Quando un ministro degli esteri occidentale – anche uno improponibile come Boris Johnson [in inglese] – è ridotto a implorare i russi, allora è ovvio che i giochi sono finiti e che la “grande battaglia di Aleppo” è persa. Kerry ha ammesso quasi la stessa cosa. I suoi commenti mettono in chiaro che gli Stati Uniti ora accettano che il governo siriano stia per riconquistare la parte orientale della martoriata città siriana, e che i combattenti jihadisti presenti siano oramai condannati. Tutto quello che ha potuto dire è che questa non sarà la fine della guerra:

“Ora, alcuni si chiedono cosa succederà se dovesse cadere Aleppo. Ebbene, i russi dovrebbero capire, così come Assad, che questo non porrà fine alla guerra. Questa guerra non può finire senza una soluzione politica. Quindi, anche se Aleppo dovesse cadere, anche se dovessero distruggerla completamente, come stanno già facendo, ciò non cambierà l’equazione fondamentale in questa guerra, perché gli altri paesi continueranno a sostenere l’opposizione, e continueranno a creare più terroristi, e la vera vittima alla fine sarà la Siria così come i territori mediorientali”.

Proprio alcuni funzionari statunitensi (tra i quali molto probabilmente anche lo stesso Kerry) hanno parlato anonimamente ai media la scorsa settimana confermando che l’obiettivo degli Stati Uniti è il proseguimento della guerra anche dopo che il governo siriano avrà ripreso il controllo sulla parte orientale di Aleppo. Ecco come Reuters riporta l’informazione in un dispaccio [in inglese] datato venerdì 14 ottobre 2016:

“L’obiettivo finale di qualsiasi nuova azione potrebbe essere quella di sostenere i ribelli moderati, cosicché essi possano resistere a ciò che è ora ampiamente considerata come l’inevitabile loro sconfitta nella parte orientale di Aleppo grazie alle forze russo-iraniane che sostengono il presidente siriano Bashar al-Assad”.

Gli Stati Uniti e i loro alleati hanno sicuramente i mezzi per prolungare la guerra in Siria anche dopo che il governo siriano avrà ripreso il controllo sulla parte orientale della città di Aleppo. Come io e Mark Sleboda abbiamo già avuto modo di dichiarare, è proprio con lo scopo di creare una zona sicurezza per i jihadisti nel nord-est della Siria [in inglese] – e quindi di prolungare la guerra – che l’esercito turco, con appoggio degli Stati Uniti, ha invaso i territori nord-orientali del paese nel mese di agosto [in inglese].

Qualunque entità jihadista verrà alla fine creata nella zona di sicurezza controllata dai turchi nel nord-est del Paese, essa non potrà in nessun caso essere rivendicata come governo ufficiale della Siria. Questo rimarrà in ogni caso quel governo capace di tenere sotto controllo le grandi città, prima di tutto Aleppo e Damasco, e la regione densamente popolata della Siria occidentale dove esse si trovano e dove vive la grande maggioranza dei siriani.

È ora evidente che nel prossimo futuro il governo della Siria sarà il governo del presidente Bashar Al-Assad, che è ed è sempre stato riconosciuto dalle Nazioni Unite come il legittimo governo del Paese. La riconquista della parte orientale della città di Aleppo assicurerà a questo governo un futuro, ponendo il progetto di “regime change” in Siria fuori questione.

 


Originale: http://theduran.com/us-gives-up-on-aleppo-pleads-russia-mercy-admits-syrians-will-win/

 

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