Al-Hayat 15/11/2016
Mosse rischiose nella mappa del conflitto in Siria di Ghazi Dahman editorialista e analista politico del giornale Al-Hayat Traduzione e sintesi di Federico Seibusi.
Il conflitto in Siria si caratterizza per una pericolosità e un dinamismo particolari a cui si aggiungono le strategie rischiose adottate dalla Russia. Per questo motivo, il combattimento slitta con facilità sorprendente da un livello locale a uno regionale e internazionale; e il prolungamento delle ostilità, in assenza di meccanismi regolatori, implica che vi sarà inevitabilmente una collisione fra le parti in azione. Le fazioni internazionali e regionali in conflitto hanno utilizzato delle strategie “esclusive” e non hanno considerato la possibilità di interagire o di accordarsi. La Russia ha intensificato l’utilizzo di questo tipo di strategia attraverso l’aggressione e la sua insistenza nella la lotta al terrorismo, appoggiando un governo legittimo. D’altra parte, la strategia degli Stati Uniti ha avuto una propensione per la negoziazione politica senza imporre una “linea rossa” e così facendo, l’amministrazione Obama si è mostrata come un intermediario neutrale, minacciando di ritirarsi dai negoziati di fronte a ogni tipo di intransigenza russa. Questa metodologia di conduzione del conflitto da parte delle grandi potenze le rende responsabili dello stadio di gravità raggiunto dal conflitto. La Russia stessa si trova coinvolta nella distruzione di Aleppo, ma malgrado riconosca che la decisione abbia esteso i rischi nel conflitto; un suo eventuale ritiro, dati tutti gli investimenti logistici e la guerra di propaganda fatta, avrebbe un effetto contrario sull’immagine della nuova Russia che Putin vuole delineare, oltre al declino del progetto di rinascita della Russia come attore primario sul panorama internazionale. Inoltre, questa mossa pone gli Stati Uniti in una impasse strategica soffocante, poiché, insieme alla caduta del suo prestigio, la vittoria cruciale della Russia alimenterebbe l’aggressività del Cremlino sul fronte nel mar Baltico, nel mar Nero e in Ucraina. Ma soprattutto, ciò rafforzerebbe il desiderio russo di estendere la sua influenza verso l’Asia e l’America Latina, dove il Cremlino ha già espresso la volontà di ravvivare la sua presenza in quelle zone. Se dovesse prospettarsi questa situazione, gli Stati Uniti vedrebbero nell’azione russa una minaccia concreta alla propria sicurezza nazionale, in termini di territorio e basi militari. Dunque non ci sarebbe margine per un negoziato statunitense, poiché si tratterebbe di una minaccia per l’esistenza stessa degli Stati Uniti. Sembra che la Casa Bianca si sia resa conto in ritardo che il salvataggio di Aleppo è divenuto una questione difficile, che richiede una ricerca di nuove soluzioni. Perciò, il ministro degli Esteri John Kerry ha affermato che la guerra in Siria non finirà con la caduta di Aleppo, ma non sembra che Washington possa avere delle alternative che portino la Russia a riesaminare la situazione. Uno dei principi cardine nel teatro siriano è rappresentato dal mantenimento degli interessi attraverso un intervento diretto nel campo di battaglia. La Russia e la Turchia hanno adottato questa visione e il loro intervento diretto ha confermato che il costo è più remunerativo e meno rischioso del supporto a degli alleati. D’altronde, se la Russia non fosse intervenuta, la caduta del regime di Assad avrebbe significato la perdita di importanti vantaggi strategici. Da parte sua, se la Turchia fosse rimasta esitante su un confine divenuto de facto curdo, sarebbe rimasta al di fuori degli interessi in Medio Oriente. In questo contesto, la nuova presidenza statunitense sarà libera dalle molte catene che l’amministrazione Obama ha imposto a sé stessa e dalle false percezioni che le hanno legato le mani; mentre Putin è divenuto un eroe poiché non ha posto limiti alla sua condotta. Infine, la situazione di fermento, di cui le istituzioni militari e di sicurezza degli Stati Uniti sono state testimoni a causa di critiche verso la politica di Obama nei rapporti con la Russia, ha provato che la futura presidenza sarà costretta ad adottare nuovi provvedimenti.
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