Fonte: Aurora sito

http://www.ariannaeditrice.it/

03/10/2016

 

Resa dei conti ad Aleppo

di Patrick Bahzad

Traduzione di Alessandro Lattanzio

 

Sono passati diversi giorni dall’offensiva siriano-russa ad Aleppo e siamo di nuovo qui, contemplando il noto livello di devastazione urbana e sofferenza umana, chiedendo che piega prenderanno gli eventi ora che si prenderanno la città che incarna la guerra civile siriana. Ora, ovviamente, non vi è alcun dubbio sulla distruzione orrenda che Aleppo ha subito, per mano dei vari attori coinvolti, ma questo è il destino delle città impigliate nei combattimenti urbani. L’indignazione sulle tattiche impiegate da EAS e alleati russi va attribuita solo a mancanza di comprensione della meccanica della guerra in questi teatri operativi, in combinazione con una attenta memoria corta. La storia è piena di esempi di “assedi”, conflitti settari e guerre civili che distruggono tessuto e popolo delle grandi città. Tuttavia, ciò che è attualmente in corso ad Aleppo, oltre un livello di violenze difficile da comprendere per la maggior parte degli occidentali, è tutt’altro che una sorpresa. I nostri lettori in particolare ricorderanno i numerosi articoli pubblicati qui negli ultimi mesi che sottolineavano l’elevata probabilità di ciò che accade. Ma a differenza di sei mesi fa, diversi fattori geopolitici e militari hanno sostanzialmente cambiato la situazione e gli ultimi combattimenti sembrano a dir poco una prova di forza per Aleppo, e forse per la Siria. Un consiglio però prima d’immergersi nell’argomento: è meglio ignorare storie, editoriali e altri pezzi che i nostri giornali e reti televisive pubblicano su Aleppo. In parte potrebbero essere considerati onesto, non tenendo conto delle contingenze nel combattere un nemico intrecciato nella popolazione civile di una grande area urbana. Ma il resto è di un’ipocrisia che sfida il senso di tali articoli. Qual è l’empatia per Aleppo quando non si è neanche disposti a parlare degli attacchi aerei sauditi sullo Yemen? Inoltre, può essere pericoloso piagnucolare di “crimini di guerra” e “atrocità” ora, quando la coalizione degli Stati Uniti in Iraq è in procinto di lanciare una grande offensiva contro il cosiddetto Stato islamico e la sua capitale. I jihadisti in Medio-Oriente e altrove ricorderanno la forte formulazione utilizzata per Aleppo una volta iniziato l’assalto a Mosul, e sicuramente cercheranno di puntare su distorsione e doppio standard dei media occidentali, se non di mostrare la stessa indignazione per le vittime che l’offensiva su Mosul causerà tra i civili. Non tirate pietre se vivete in una casa di vetro… In ogni caso, vedremo come la coalizione gestirà tale assedio. Speriamo che non diventi un mattatoio come Aleppo, ma in verità sarà impossibile evitare un “minimo” di danni collaterali, a meno che non si modifichi la situazione tanto che un’offensiva di terra sia del tutto inutile, portandoci al tema corrente. Guardando Aleppo e come le cose vanno nella situazione attuale, è necessario menzionare diversi fattori.

 

I moderati… non poi così tanto, ad Aleppo est

Una delle ragioni che spiegano il fallimento dell’ultimo accordo di cessate il fuoco USA-Russia è il rifiuto da parte di ciò che resta dei ribelli moderati ad Aleppo di rompere coi gruppi radicali, prima di tutto “Jabhat al-Nusra” o qualsiasi altro nome gradisca essere chiamato in questi giorni. I due gruppi principali che controllavano i quartieri orientali, ovvero movimento “Nuradin al-Zinqi” e brigata “Suqur al-Sham“, di fatto aderiscono ad al-Qaida che li ha incaricai della responsabilità del comando operativo nella città. Il fatto che ciò vada a vantaggio del regime di Assad e degli alleati russi è secondario, nel breve termine, anche se da a Putin, Lavrov e Co. abbastanza munizioni per mostrare al mondo che i cosiddetti “moderati” sostenuti dagli Stati Uniti sono in realtà infiltrati o addirittura aperti collaboratori di al-Qaida. Vari articoli recenti sui rapporti disastrosi tra forze speciali statunitensi e loro allievi locali, testimoniano tale vecchio problema. Su Aleppo, non è stato sicuramente utile che Nusra vi abbia inviato centinaia di combattenti nel momento in cui i rifornimenti a nord della città venivano interrotti dal Blocco e i moderati disertavano in vista dell’attacco che non avvenne in quel punto. Probabilmente, i padroni turchi di “Zinqi” e “Suqur al-Sham” vollero richiamare i loro ascari dal valico di confine occidentale di Bab al-Hawa e inviarli nella zona cuscinetto a nord, attraverso Bab al-Salamah questa volta, per impedire qualsiasi tentativo dei curdi di congiungere i territori dell’enclave di Ifrin col resto del “Rojava”. Ciò che tali movimenti hanno fatto ai ribelli ad Aleppo è piuttosto semplice: gli ultimi moderati furono indeboliti ulteriormente, per numero ed influenza, mentre Nusra assumeva il comando nell’est della città facendo buon uso dei 200000 civili che vivono nella zona, per evitare di divenire un facile bersaglio dell’aviazione siriana o russa.

 

Rompere l’assedio, temporaneamente

A credito di Nusra, va detto che l’offensiva organizzata per rompere il cosiddetto “assedio” di qualche settimana fa, non avrebbe probabilmente mai avuto successo se non fosse stata per la sua competenza e determinazione. Dopo una serie di attacchi con autobombe nel sud-est della zona controllata dal governo, nei pressi del collegio dell’Artiglieria, una massiccia offensiva aveva luogo finalmente permettendo a un paio di dozzine di combattenti di arrivare nella zona in cui i ribelli sono circondati. Anche se tale operazione ha probabilmente migliorato il prestigio di Nusra tra i ribelli, è stata a dir poco una truffa, probabilmente quasi un disastro militare, tali furono le perdite subite dai ribelli. I media ignoranti hanno elogiato la vittoria dei ribelli per giorni e giorni, non rendendosi conto che l’unica cosa che ottennero fu un paio di camion arrugginiti che trasportavano verdura in scatola. In realtà, però, il costo dell’offensiva dei ribelli è stato di in centinaia di morti e il terreno conquistato è stato sempre bombardato dall’artiglieria siriana o da aerei da combattimento siriani e russi. Due settimane dopo il “buco” di Nusra sul blocco veniva di nuovo colmato, solo che questa volta la situazione dei ribelli è peggiore che mai. Avevano giocato la carta vincente inscenando l’offensiva a sorpresa, ma senza raggiungere una svolta. Non erano neppure riusciti a fare dell’avanzata uno stallo. Ora toccava agli Stati Uniti intervenire, ancora una volta, nel tentativo che gli obamiti descrivono “soluzione negoziata della crisi”, certamente un modo di vedere ciò che è avvenuto durante le discussioni tra John Kerry e Sergej Lavrov. I cinici tuttavia potrebbero sostenere che l’intero processo intrapreso dal governo degli Stati Uniti, in particolare dal dipartimento di Stato, era volto solo a guadagnare tempo, nella speranza che i ribelli nel nord della Siria accettassero i termini offerti o avessero abbastanza tempo per riorganizzarsi e ricominciare.

 

I negoziati come modo di prendere tempo… o evitare la sconfitta

Probabilmente fin troppo consapevole della gravità della situazione, il segretario di Stato John Kerry candidamente descrisse ciò che era in serbo ad Aleppo, se le trattative fallivano: “Qual è l’alternativa, permettere che 450000 persone siano massacrate? E quante altre migliaia? Che Aleppo sia completamente invasa? Che i russi ed Assad semplicemente bombardino indiscriminatamente per giorni, e noi restiamo a guardare? Questa è l’alternativa al tentativo di fare ciò, se gli USA non inviano truppe, e hanno deciso di non farlo e il presidente ha preso questa decisione“. Kerry lo disse due settimane fa e su tutte le stronzate belluine e irresponsabili pronunciate di recente dal portavoce del dipartimento di Stato, ha ragione. Non c’è alternativa per gli Stati Uniti se non venire a patti con la Russia e la Siria di Assad, a meno che non vogliano entrare in guerra con esse, come è stato molto eloquentemente spiegato dall’attuale CJCS, Generale Dunford, ai rimbambiti del comitato per le forze armate del Senato degli USA, il 22 settembre. Oggi, è chiaro a tutti che l’accordo di cessate il fuoco negoziato da Stati Uniti e Russia è morto e sepolto. Contrariamente alla comune credenza, che ne incolpa esclusivamente i russi, è una buona notizia per ogni attore favorevole a una soluzione militare al conflitto. A Riyadh, in particolare, dove probabilmente celebrano, a porte chiuse, la notizia di un altro fiasco della politica estera statunitense.

 

I perfidi Saud

Non dimentichiamo che i sauditi erano l’ultimo attore regionale ad approvare il cessate il fuoco, dopo i turchi, illustrando perfettamente quanto si oppongano alla rinnovata offensiva diplomatica di Kerry. Molto è stato detto sul disprezzo dei russi per le regole della diplomazia internazionale, ma se cercate una potenza regionale veramente imprudente e che non ha che disprezzo per qualsiasi vita al di fuori dei suoi confini, non andate oltre l’Arabia Saudita. I politici a Riyadh vogliono rimuovere Assad con ogni mezzo, per non sbagliarsi. Tradizionalmente i sauditi sono disposti a spandere mucchi di soldi in tale impresa, traducendosi in olio versato sul fuoco siriano… Per i sauditi, l’ultimo tentativo di cessate il fuoco, mediato da potenze aliene come Stati Uniti e Russia, è del tutto inaccettabile. Erano e sono ancora disposti a combattere fino all’ultimo siriano per ottenere ciò che desiderano così tanto: uno Stato siriano svuotato, qualcosa di simile alla Libia, dove chiunque combatta chiunque altro, giusto per assicurarsi che i loro nemici iraniani perdano un importante alleato nella regione. Il fatto è che il cessate il fuoco di Kerry-Lavrov avrebbe tenuto Assad al potere, almeno per un periodo transitorio. In altre parole, il cessate il fuoco è stato un grande “no” ai sauditi. Che molti tra donne e bambini siriani possano morire per causa dell’intransigenza saudita non interessa nessuno a Riyadh. Dopo tutto, l’aperto disprezzo dei sauditi per la vita umana nello Yemen è una prova sufficiente della visione generale del regno sul diritto internazionale. Gli obiettivi di Riyadh in Siria sono chiari e invariati. Vogliono cacciare Assad e faranno di tutto per trascinare gli Stati Uniti a mandare i militari in campo. La gente di DC lo sa benissimo: Riyadh ha ancora qualche asso nella manica e così come non si preoccupa dei civili siriani, non si cura oltre dei militari statunitensi uccisi in una nuova avventura siriana. Questa è la via saudita, il loro marchio di fabbrica da decenni, e non cambierà di certo presto.

 

L’assedio di Aleppo est

La realtà sul terreno, per le strade di Aleppo, è ovviamente lontana anni luce da tali considerazioni, ma è il risultato dell’equilibrio militare e diplomatico che continua a mutare in questi cinque anni di conflitto. Attualmente, dopo la tanto decantata offensiva dei ribelli, fallita, ad agosto e settembre, si è di fronte a una potenziale svolta. Tutto questo poteva accadere a febbraio o marzo del 2016, ma una combinazione di fattori, dalla “guerra fredda” della Turchia contro la Russia alle condizioni climatiche della primavera mediorientale, l’impedirono. Ma ora è cambiato. Per prima cosa, il sultano Erdogan sembra aver fatto i conti con lo Zar Putin. Non sappiamo l’esatta natura dell’accordo tra Turchia e Russia, ma è abbastanza sicuro supporre che i turchi hanno accettato di fermare, o almeno ridurre in modo significativo, il sostegno ai gruppi ribelli nel nord della Siria, in cambio di una normalizzazione delle loro relazioni con Mosca e un “laisser faire” russo sui rapporti dell’esercito turco con il separatismo curdo. Si aggiungano nel mix le prossime elezioni presidenziali degli Stati Uniti e si avrà un quadro completamente diverso. Il regime di Assad e l’esercito russo probabilmente considerano che ora hanno 5-6 mesi per raggiungere la situazione finale ideale. Per Aleppo ciò significa spazzare via la ribellione, o cacciarla nelle braccia di Nusra e di altri gruppi jihadisti, trasformandoli così in attori inaccettabili per Stati Uniti ed alleati. Dal punto di vista del regime, il problema principale è convincere i civili di Aleppo est a “lasciare” i quartieri. Ora i mezzi utilizzati per tale obiettivo non sono molto eleganti, ma quando si combatte in un’area urbana non ci sono molte opzioni dal punto di vista militare. È possibile combattere con i civili presenti, e averli vittime a livelli non ancora visti, oppure si può fare tutto ciò che serve per spingerli ad andarsene. Per i ribelli naturalmente, l’equazione è opposta. Devono mantenere il maggior numero di donne e bambini nelle aree che controllano, in modo da evitare pesanti attacchi aerei e d’artiglieria, o sfruttare le vittime civili in campagne pubblicitarie ben orchestrate. Da un lato si parlerà di civili deliberatamente colpiti dal regime, mentre dall’altro si accuseranno i ribelli di nascondersi dietro “scudi umani”. Tale è la natura del combattimento urbano. Si tratta di una delle forme più letali e terribili di guerra, ma non è impossibile vincerla, cosa che numerosi commentatori occidentali sembrano aver dimenticato quando parlano di Aleppo.

 

Opzioni per gli USA?

Non c’è bisogno di andare oltre il New York Times per avere un’idea dell’abissale ignoranza quando si parla di questioni militari. L’articolo di Max Fisher del 28 settembre “Il bombardamento brutale della Russia su Aleppo può essere calcolato”, ne è un esempio perfetto. Un disprezzo per i fatti, un equivoco profondo sull’equilibrio di potere in Medio-Oriente in generale, e in Siria in particolare, e un grave travisamento delle tattiche russe… Così tanto per una critica spassionata! È vero, il blocco cerca di far uscire i civili dalle aree chiave di Aleppo orientale. Chi non lo farebbe? I ribelli controllano una zona che ospita 150-200000 persone. Il governo controlla Aleppo ovest, d’altra parte, con circa 1000000 abitanti, un dato di fatto spesso dimenticato da chi urla all'”assedio di Aleppo” di Assad. Tuttavia, cercare di prendere un ambiente urbano con 200000 non combattenti presenti è un affare complicato per qualsiasi forza armata, come vedremo probabilmente quando toccherà a Mosul. Con ogni probabilità, EAS ed alleati continueranno l’offensiva finché saranno certi che i nemici non potranno evitare l’esodo dei civili dalle aree chiave che vanno prese per controllare tutta Aleppo. A quel punto, offriranno una sorta di tregua, aprendo “corridoi umanitari” in modo che i civili possano lasciare la città. Chiunque non accetterà l’offerta del Blocco, probabilmente ne subirà le conseguenze…

 

Le città come ultimo campo di battaglia

Si può discutere quanto ciò sia immorale e confinante con i “crimini di guerra”. Forse sì, forse no. Difficile dimostrarlo in ogni caso. La verità è che non fa differenza alla fine. Le città sono campi di battaglia con regole proprie. Sicuramente non è impossibile vincere, come recentemente sottolineato da un libro francese ben documentato sull’argomento (“L’ultime champ de bataille – Combattre et vaincre en ville“). Per il Blocco (Russia + 6 altri), la prospettiva è piuttosto buona. Gli Stati Uniti sono ostacolati dall’elezione del presidente della repubblica. I sauditi e gli altri golfini se disposti, non possono ancora inviare le armi necessarie ai ribelli affinché resistano molto più a lungo, se la Turchia rispetta l’accordo con la Russia. A Sud, Damasco ha avuto la meglio grazie a un accordo mediato dai russi con la Giordania. Ad est, il governo iracheno ha anche raggiunto un “modus vivendi” con Assad e Putin da tempo. Ciò che resta del tritacarne siriano non è molto: poche aree fuori legge nel nord del Libano, non altro. In questo contesto, per quanto brutale l’offensiva del Blocco su Aleppo est possa sembrare, darà certamente ad Assad ed alleati la migliore opportunità in mesi, forse anni, d’infliggere un colpo devastante e forse decisivo in tale guerra.

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