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22 luglio 2016

 

Salvate noi non i Pokemon

di Luca Miele

 

L’ultima stazione dell’orrore che ha inghiottito la Siria si chiama Manbij, città nella provincia settentrionale siriana di Aleppo, occupata dagli uomini del Deash e circondata dalle milizie curde. Trentacinque mila bambini vi sono rinchiusi, stretti in una gigantesca trappola. E rischiano di morire di fame. La Coalizione internazionale si prepara a intervenire. Con tanto di ultimatum, scritto in volantini lanciati sulla zona, ai miliziani jihadisti: «Via da Manbij entro 48 ore».

 

La strage è continua. L’orrore quotidiano. «Nell’ultimo mese e mezzo e con l’intensificarsi della violenza sono morte circa 2.300 persone», dice la rappresentante dell’Unicef in Siria, Hana Singer. «Venti bambini sono morti negli ultimi sette giorni ». Le Nazioni Unite chiedono una tregua, una finestra di 48 ore agli aiuti umanitari di arrivare ad Aleppo e in altre zone colpite dalla guerra. Per Jan Egeland, consigliere per gli aiuti umanitari dell’inviato Onu Staffan de Mistura, è l’unico modo per salvare vite dove le persone rischiano di morire di fame». I rifornimenti di aiuti sono bloccati dallo scorso 7 luglio, quando i combattimenti hanno tagliato la cosiddetta Castello Road. «Ci sarebbero 200mila-300mila persone che non possono essere raggiunte», ha spiegato ancora il rappresentante Onu.

 

E gli attivisti siriani ricorrono persino ai Pokemon Go pur di attirare l’attenzione del mondo sulla tragedia siriana. «Sono di Kfarzita, venite a salvarmi!» si legge nel cartello fatto da un bambino siriano. «Io sono di Kfarnabbude, salvatemi», si legge in un’altra fotografia. Si tratta di località della regione nord-occidentale di Idlib da mesi martellata giornalmente dai bombardamenti. Le fotografie sono state messe online dall’ufficio media delle Forze rivoluzionarie siriane, che non ha voluto rivelare chi abbia organizzato la campagna. Nel Paese si continua a morire, giorno dopo giorno. Secondo fonti delle organizzazioni siriane per la difesa dei diritti umani, 43 civili (fra cui 11 bambini) sono stati uccisi durante i bombardamenti – condotti in massima parte dell’aviazione siriana – su diverse zone controllate dalle milizie ribelli. Fonti di Mosca hanno poi fatto sapere che i jet russi hanno colpito due punti di comando del Daesh a est di Palmira e nella provincia di Homs. L’altro fronte caldo, l’Iraq. Nel Paese martoriato, la stabilizzazione rimane l’obiettivo (o il miraggio) perseguito dai quaranta Paesi riuniti a Washington nella Conferenza dei donatori. Aprire i cordoni della borsa per la ricostruzione. All’impegno partecipa anche l’Italia.

 

 

«L’Italia – ha detto il ministro degli esteri Paolo Gentiloni a margine del summit della coalizione anti Daesh di Washington – si muove puntando a vincere non solo sul terreno ma anche a lasciare stabilità nei paesi che vengono liberati dalla minaccia terroristica ». I nuovi aiuti: «Trenta milioni di euro di donazione per il periodo 20162018 e 400 milioni di euro di crediti per lo stesso triennio». «Con 500 militari alla diga di Mosul, a ottobre l’Italia resterà il secondo contingente più alto dopo gli Usa nella coalizione globale contro il Deash», ha detto il ministro della Difesa, Roberta Pinotti.

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