https://www.middleeastmonitor.com/ Saturday, 09 January 2016
Solo vuota retorica dietro le maschere delle macchinazioni coloniali in Siria, costruite su veri spargimenti di sangue e fame di Mohammad Hunaid
Non c'è niente di peggio che vedere un bambino morire di fame, ma oggi è quasi normale. I media coloniali internazionali e le loro controparti arabe non hanno vergogna quando si tratta della tragedia di una nazione che muore di fame. La civiltà moderna ha raggiunto un ulteriore livello di degrado selvaggio, nella misura in cui la morte non agita più nessuno finchè è lontana e testimoniata su uno schermo televisivo. La tragedia siriana si evolve ogni giorno, raggiungendo il punto di una crisi umanitaria aperta, segnata da due caratteristiche: la tragedia è nota a tutti e le sue immagini sono mostrate ogni giorno sulle televisioni e i siti di social networking di tutto il mondo; nonostante questa chiarezza e la bruttezza della sua tragedia, esse raggiungono solo il silenzio internazionale, arabo e musulmano. Vi è un fallimento completo ad agire e mettere fine ai massacri che dimostrano la brutalità globalizzata, la morte dei valori e il crollo di ogni morale, proposto dal mondo moderno attraverso i suoi punti di vendita culturali, letterari e artistici.
Che cosa è più pericoloso del morire di fame dei bambini nel Campo profughi di Yarmouk, o nell’assediata Madaya rurale vicino a Damasco, per mano dell'esercito del regime e di Hezbollah in Libano. L'assenza di una posizione araba o internazionale per fermare il bagno di sangue che sta annegando la Siria. Questo nonostante il fatto che la violenza rompe tutte le norme internazionali, le convenzioni e le leggi che vediamo essere citate e accolto ogni volta che incidenti illegali sono allineati con interessi coloniali. La fame è una delle armi più barbare della storia moderna; tutti gli eserciti invasori, a quanto pare, l’hanno utilizzata per vendicarsi di quei civili che non sono stati colpiti da missili e bombe. Nel caso della Siria, la gente muore di fame a causa di una complessa interazione di molti elementi di vendetta più quelli connessi con il clima o l'industrializzazione, come visto in luoghi come la Cina, Etiopia, Somalia e Sudan. Una conseguenza diretta del disastro umanitario in atto in Siria, è che ci sono gravi scosse nella coscienza collettiva araba, che è già instabile a seguito della primavera araba.
Il popolo della Siria ha sperimentato molto nel corso degli ultimi cinque anni dall'inizio delle proteste pacifiche contro il governo. Morte e distruzione sono piovute su di essi in forma di bombe a botte, armi chimiche, bombe a grappolo e la lista fin troppo familiare di armi a livello disponibili internazionale. La scala della distruzione è la prova di come il regime di Bashar Al-Assad ha reagito alle proteste pacifiche, trasformando la rivoluzione che chiedeva libertà in una brutale guerra civile in cui il governo di minoranza settaria sta uccidendo una nazione intera con l'aiuto di mercenari stranieri.
La comunità internazionale è complice di questi crimini da parte sua quasi in silenzio e la mancanza di azione nei confronti dei criminali di guerra e dei crimini contro l'umanità commessi contro uomini, donne e bambini da parte di coloro la cui identità è nota al mondo. Domani, chi sarà in grado di dire: Noi non sapevamo cosa stesse succedendo, come è stato sostenuto quando la gente si svegliò per l'orrore dei crimini nazisti? I reati sono in televisione in prima serata, ma nessuno sta facendo nulla per fermare i criminali. Relativamente piccoli crimini avvengono in Europa e leader mondiali si riuniscono in una manifestazione pubblica di condanna, ma girano le spalle alla Siria. In effetti, alcuni di loro aiutano i criminali. La lezione che dobbiamo imparare da ciò che sta accadendo in Siria è che la retorica internazionale sulla pace e la giustizia non ha senso; i poteri forti stanno semplicemente gestendo la brutalità con dichiarazioni e riunioni inutili.
E' diventato molto chiaro che il corpo arabo che è stato spostata dalle prime ondate rivoluzionarie nella primavera araba è stremato dalla controrivoluzione e pugnalato dallo stato profondo incorporato in tutta la regione. L'approccio si è spostato dal raggiungere la libertà e la giustizia per affrontare il caos a seppellire i morti. Nessuno può negare che le forze coloniali internazionali stanno usando le loro deleghe in Medio Oriente per trasformare le rivoluzioni e il desiderio del pubblico per il cambiamento e il progresso in veicoli per la distruzione e la devastazione al fine di presentare le dittature oppressive come l'unico modello accettabile di governo nel mondo arabo. L'Occidente sembra raccontare alle masse arabe "O si accetta la collusione con regimi tirannici, o si accetta la morte da barili esplosivi, armi chimiche e fame."
Di tale comportamento ostile nei confronti dei paesi arabi che aspirano alla libertà deve essere ritenuto responsabile in larga misura l'estremismo e il terrorismo. Questo viene poi usato come pretesto per un intervento più coloniale da un lato e di maggiore legittimità per i dittatori, dall'altro. La primavera araba ha fornito alcune lezioni dolorose. Materie prime come "legittimità internazionale", "diritti umani e animali", "la tutela delle minoranze", e anche la stessa democrazia sono slogan vuoti, utili solo al mascheramento di macchinazioni coloniali costruite sullo spargimento di sangue nel mondo arabo e gli stomaci vuoti dei bambini siriani.
https://www.middleeastmonitor.com/ Saturday, 09 January 2016
Empty rhetoric over Syria masks colonial machinations built upon bloodshed and starvation By Mohammad Hunaid
There is nothing worse than seeing a child dying of hunger, but today it is almost normal. The international colonial media and its disgraceful Arab counterpart have no shame when it comes to the tragedy of a nation dying of hunger. Modern civilisation has reached yet another level of savagery, to the extent that death no longer stirs anyone as long as it is far away and witnessed on a television screen. The Syrian tragedy evolves daily, reaching the point of an open humanitarian crisis marked by two characteristics: the tragedy is known to everyone and its images are shown every day on the televisions and social networking sites; despite this clarity and its ugliness, the tragedy is also being met by international, Arab and Muslim silence. There is a near complete failure to take action and put an end to the massacres demonstrating globalised brutality, the death of values and the collapse of all morality as propounded by the modern world through its cultural, literary and artistic outlets. What is more dangerous than the starving to death of children in Yarmouk Refugee Camp, or besieged rural Madaya near Damascus, at the hands of the regime army and Lebanon’s Hezbollah is the absence of a firm Arab or international position to stop the blood bath that is drowning Syria. This is despite the fact that the violence breaks all international norms, conventions and laws which we see being cited and upheld whenever illegal incidents align with colonial interests. Starvation is one of the most barbaric weapons in modern history; all invading armies, it seems, have used it to take revenge on those civilians who were not hit by their missiles and bombs. In Syria’s case, people are starving as a result of a complex interaction of many revenge elements plus those associated with climate or industrialisation as seen in places like China, Ethiopia, Somalia and Sudan. One direct consequence of the humanitarian disaster unfolding in Syria is that there are serious tremors in the collective Arab consciousness, which is already unsettled as a result of the Arab Spring. The people of Syria have experienced much over the past five years since the start of the peaceful protests against the government. Death and destruction have rained down on them in the form of barrel bombs, chemical weapons, cluster bombs and the all-too-familiar list of internationally-available weapons. The scale of the destruction is evidence of how the regime of Bashar Al-Assad reacted to peaceful protests, transforming the revolution calling for freedom into a brutal civil war in which the ruling sectarian minority is killing an entire nation with the help of foreign mercenaries. The international community is complicit in these crimes by its near-silence and lack of action in the face of the war crimes and crimes against humanity being committed against men, women and children by criminals whose identity is known to the world. Tomorrow, who will be able to say, “We did not know what was happening”, as was claimed when people woke up to the horror of Nazi crimes? The crimes are on prime-time television but nobody is doing anything to stop the criminals. Relatively small crimes take place in Europe and world leaders gather in a public show of condemnation, but they turn their backs on Syria. Indeed, some of them help the criminals. The lesson we must learn from what is happening in Syria is that international rhetoric about peace and justice is meaningless; the powers that be are merely managing the brutality with statements and fruitless meetings. It has become very clear that the Arab body that was moved by the first revolutionary waves in the Arab Spring has grown exhausted by the counter-revolution and the daggers of the deep state embedded across the region. The approach has shifted from achieving freedom and justice to dealing with chaos and burying the dead. No one can deny that the international colonial forces are using their proxies in the Middle East to transform the revolutions and public desire for change and progress into vehicles for destruction and devastation in order to present the oppressive dictatorships as the only acceptable model of government in the Arab world. “Either you accept the collusion and tyrannical regimes,” the West appears to be telling the Arab masses, “or you accept death by explosive barrels, chemical weapons and starvation.” Such hostile behaviour towards the Arab nations aspiring for freedom has to be held responsible to a large degree for moves towards extremism and terrorism. This is then used as a pretext for more colonial intervention on one hand and more legitimacy for the dictators on the other. The Arab Spring has provided some painful lessons. Commodities such as “international legitimacy”, “human and animal rights”, “the protection of minorities” and even democracy itself are empty slogans masking colonial machinations built upon bloodshed in the Arab world and the empty stomachs of Syrian children. |