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22 gennaio 2016

 

Rivoluzione della Dignità

 

“Il processo rivoluzionario tunisino, celebrato internazionalmente come eccezione regionale, si è concentrato in questi anni principalmente sulla transizione politica, eludendo completamente la rimessa in discussione dei diritti socio-economici e il modello di sviluppo, rivendicazioni centrali delle rivolte del dicembre 2010-gennaio 2011 – dice Debora Del Pistoia, rappresentante in Tunisia di COSPE, sentita in occasione degli eventi che hanno colpito la Tunisia negli ultimi giorni-,  senza dimenticare l’impunità sistemica e la volontà politica di non affrontare con determinazione le responsabilità delle violenze del vecchio regime, i cui protagonisti – aggiunge –  vengono oggi rilegittimati mediatamente e politicamente, e i processi per la giustizia e la verità per le vittime e i feriti della rivoluzione”. Ma cosa sta succedendo in Tunisia a cinque anni dalla Rivoluzione?

“A pochi giorni dal quinto anniversario della cacciata di ben Ali – racconta Debora – in Tunisia torna a spirare il vento della Rivoluzione della Dignità. A ricordare quei giorni sono le proteste tuttora in corso che da sabato 16 dicembre si protraggono a Kasserine fino ad essersi estese alla vicina provincia di Sidi Bouzid, due delle aree più povere dell’intera nazione, ma anche a Siliana, Kairouan, Jendouba, Sfax, Gafsa e in movimenti di solidarietà nelle strade di Tunisi”.

La miccia che ha fatto esplodere la tensione è stato il suicidio da parte di Ridha Yahyaoui, giovane laureato disoccupato che, appresa la propria esclusione da una lista d’attesa per un posto nel settore pubblico, ha deciso per protesta di arrampicarsi su un traliccio di fronte alla sede del Governatorato, rimanendo folgorato e perdendo così la vita. La morte del ragazzo e le proteste che ne sono seguite hanno rotto il disincanto su una democrazia ancora troppo giovane per dirsi stabile. Da allora si è accesa la rabbia dei manifestanti, rivolta in particolare contro la dilagante corruzione della pubblica amministrazione tunisina, rivendicando il diritto al lavoro e ad uno sviluppo equo che le regioni dell’interno del paese richiedono da anni.  

“Questo malcontento  - racconta ancora la nostra cooperante – già manifestatosi a più riprese dopo la rivoluzione è esasperato dalla grave involuzione sul fronte delle libertà e dei diritti repressi in nome della lotta al terrorismo e in una situazione di fortissima crisi economica che investe il paese e che emerge dai drammatici dati sulla disoccupazione. A farne le spese sono soprattutto le donne e i giovani, che rappresentano le fasce più vulnerabili della popolazione”.

Le proteste nascono in una regione profondamente colpita da elevati tassi di povertà e dagli indici di sviluppo umano più bassi del paese (0,16 su una media nazionale di 0,76): la disoccupazione si attesta al 30% circa, a fronte del 15,3% nazionale, ma che arriva a toccare la soglia del 40% per i giovani e le giovani (nel paese i laureati rappresentano circa un terzo dei senza lavoro). Kasserine è anche l’unica regione ad aver depositato un ricorso come “regione vittima” di fronte all’Istanza Verità e Dignità, organismo responsabile di portare avanti il processo di giustizia transitoria, per aver subito una marginalizzazione organizzata e sistemica nel periodo 1955-2013. 

Non stupisce dunque che a pochi chilometri dalla città di Kasserine, alle pendici del monte Chaambi, si trovi l’epicentro del terrorismo tunisino, che insieme alla migrazione rischia di divenire un rifugio di quanti sono stati delusi dalle mancate promesse della neonata democrazia tunisina.

Di fronte alle rivendicazioni sociali di questi giorni il governo vara una serie di misure d’urgenza per la regione di Kasserine, che prevedono tra le altre cose, 5000 nuove offerte di lavoro per i giovani, il finanziamento di 500 mini progetti di sviluppo e la privatizzazione delle terre collettive  e la loro redistribuzione. “Provvedimento surreale – dice Debora – e che non sembra va placare le rivolte, ma che anzi ha invitato le regioni limitrofe a rivendicare misure simili, e che ricorda la risposta paternalista dello stesso Ben Ali nel 2010. La creazione dei nuovi posti di lavoro viene smentita il giorno successivo dal Ministro delle Finanze il giorno successivo, che si scusa per l’errore di comunicazione. La redistribuzione delle terre collettive sembra invece più reale ma si tratta di una misura particolarmente criticata perché rischia di creare il conflitti sociali enormi per dei terreni che rappresentano un bene comune e la cui situazione demaniale non è mai stata ridefinita”.

La situazione resta in continua evoluzione, anche dopo l’annuncio  del coprifuoco su tutto il territorio nazionale dalle 20.00 alle 05.00 di mattina. In alcune località i manifestanti continuano i sit in nelle sedi dei governatorati per richiedere l’apertura delle inchieste di corruzione locale legate agli appalti pubblici e alle liste della funzione pubblica, costituendo anche comitati autorganizzati per la protezione delle istituzioni pubbliche, come avveniva proprio nei giorni della rivoluzione, anche a seguito di alcuni episodi di saccheggio e vandalismo.

“Come ipotizzato da tempo – conclude Debora Del Pistoia – la Tunisia rischia di esplodere nei prossimi giorni se il governo continua ad ignorare le rivendicazioni di “libertà, dignità e lavoro”, di programmi di sviluppo seri e sostenibili, di riforme fiscali capaci di ridurre le diseguaglianze sociali e regionali della Tunisia marginalizzata. E a rispondere con soluzioni emergenziali e repressive e tentativi di sabotaggio politico e mediatico degli eventi, utilizzando la strategia della paura e lo spauracchio del terrorismo”. 

 


Con una presenza e un impegno dal 2012 nelle regioni periferiche di Kasserine, Sidi Bouzid e Jendouba a sostegno di esperienze di economia sociale e solidale sviluppate da giovani e promozione dell’accesso ai diritti,COSPE da tempo denuncia la deriva controrivoluzionaria e liberticida del processo rivoluzionario tunisino.

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