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Venerdì 22 gennaio 2016
Dopo 5 anni si risveglia la rivolta
di Luciano Ardesi
Il popolo tunisino torna in strada a protestare contro istituzioni che fino ad ora hanno deluso le aspettative e minato la fiducia di coloro che, dopo la caduta del dittatore Ben Ali nel 2011, speravano davvero in un cambiamento.
La sollevazione popolare si riaccende là dove era partita cinque anni fa. A Kasserine, una città del centro della Tunisia, un giovane disoccupato di 28 anni, Ridah Yahyaoui, sabato scorso è morto folgorato domenica su un traliccio dell’elettricità dove era salito per protesta. Era stato escluso arbitrariamente dalla lista dei disoccupati del pubblico impiego, l’ultima speranza che gli era rimasta di trovare un lavoro in una regione dove la disoccupazione è oltre il 30% contro una media nazionale del 15.3%.
Questo fatto, insieme al ricordo del giovane ambulante Mohamed Bouazizi, che cinque anni prima si era dato fuoco a Sidi Bouzid, a meno di 100 km da Kasserine, per protestare contro le vessazioni dell’amministrazione, sono bastati per scatenare la rivolta nella località dove ci sono stati violenti scontri con le forze dell’ordine che tentavano di arginarla.
Il governo ha dimesso il vice-prefetto e ha decretato martedì lo stato d’emergenza notturno che però non ha posto fine alla protesta violenta, che si è anzi estesa alle altre località del centro-sud. Decine di feriti tra i manifestanti, mentre un poliziotto è deceduto mercoledì a Feriana, dopo che la sua macchina era stata rovesciata. Ieri situazione particolarmente tesa nell'agglomerato urbano di Tunisi, la cité Etadhamen. Qui nella notte 16 persone sono state arrestate perché ritenute responsabili di atti di vandalismo, e la Guardia nazionale fa sapere che gli scontri con persone incappucciate sono proseguiti fino alle 5 di mattina. Sempre a Tunisi scontri e saccheggi anche nei quartieri popolari di Sejoumi, Sidi Hassin, Mnihla e Intilaka, dove sono stati presi di mira negozi e una banca. Si è protestato anche a Tajerouine, che si trova nel governatorato del Kef, a Kairouan e Gafsa.
Speranze disattese
Nella capitale i giovani hanno ripreso lo slogan di cinque anni fa: “Lavoro, libertà, dignità”. Allora la fuga precipitosa del dittatore Ben Ali aveva riacceso le speranze nel paese, soprattutto tra i giovani. I governi che si sono succeduti sono accusati di non aver fatto nulla per far uscire le regioni del centro-sud del paese dalla crisi economica e sociale che le attanaglia da tantissimi anni ormai. C’è un sentimento diffuso di frustrazione e di malessere.
La corruzione continua ad essere una piaga, e i giovani che sono in cerca di lavoro nel pubblico impiego ci si confrontano ogni giorno. Questo fatto è ancora più insopportabile davanti allo spettacolo di una politica che appare lontana dalle preoccupazioni del paese e più impegnata a spartirsi le poltrone. Dopo un anno di fibrillazioni, il partito di maggioranza relativa, Nidaa Tunes, si è spaccato. Tra dicembre e gennaio ha perso oltre venti deputati e nel parlamento i fondamentalisti di Ennahda, con cui Nidaa Tunes è al governo, sono diventati il partito di maggioranza relativa.
Risposta necessaria
In questa situazione governare il paese diventa ancora più difficile. Dopo l’attentato del marzo scorso al museo Bardo di Tunisi, si era capito l’affanno nel rispondere alla minaccia terrorista, che è poi continuata. Oltre al terrorismo i governi del dopo Ben Ali avevano la crisi sociale come priorità. Vi hanno però fatto fronte con misure parziali, come si vede ora.
Subito dopo l’inizio della protesta il consiglio dei ministri ha varato alcune misure specifiche destinate alla promozione dell'occupazione e lo sviluppo dell'area di Kasserine. Tra queste l'assunzione di 6.400 disoccupati, lo stanziamento di 3 milioni di euro destinati al finanziamento di 500 progetti, la creazione di una commissione di inchiesta su presunti casi di funzionari corrotti, la concessione di terreni demaniali a privati, la creazione nella regione di nove società imprenditoriali con un capitale di 75.000 euro. Ma l'annuncio di questi provvedimenti non sembra avere raggiunto lo scopo di placare gli animi.
Il primo ministro Essid, rientrato precipitosamente da Davos, dove al Forum economico doveva infondere fiducia agli investitori stranieri, deve dare prova di una inversione di tendenza. Con il terrorismo che ha messo in crisi la principale fonte di valuta, il turismo, le risorse economiche sono limitate. I giovani tunisini scesi nelle strade questa settimana ne sono coscienti, chiedono però la fine delle discriminazioni, le promesse non bastano più. |
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22 gen 2016
I giovani tornano in piazza. Scatta il coprifuoco
“Lavoro o rivoluzione”. Questo lo slogan scandito da migliaia di manifestanti in diverse zone del Paese. Cinque anni dopo la “rivoluzione dei gelsomini”, le promesse sono rimaste lettera morta e si torna a manifestare per chiedere il lavoro. Il 62 per cento dei laureati è disoccupato
Ore 14.15 – scatta il coprifuoco.
Falso l’annuncio di 5.000 nuovi posti di lavoro a Kasserine
Ritrattato l’annuncio di 5.000 nuovi posti di lavoro nella provincia centro-occidentale di Kasserine, fatto dal governo per placare le proteste che scuotono il Paese da giorni. Si è trattato di una “comunicazione errata”, ha detto il ministro delle Finanze, Slim Shaker. Non si tratterebbe di nuovi posti di lavoro, ma di una sorta di programmi di tirocinio.
E intanto in tutta la Tunisia è stato imposto il coprifuoco notturno, già in vigore da martedì a Kasserine, teatro degli scontri più violenti. Le proteste da Kassarine, iniziate dopo la morte del giovane Ridha Yahyaoui, si sono diffuse in altre zone della Tunisia ed è stata dura la risposta delle forze dell’ordine.
Ai sit-in e alle manifestazioni pacifiche, si sono affiancati anche atti di vandalismo. E oggi il ministro dell’Interno, Hadi Majdoub, ha parlato di “terroristi” che si infiltrano nelle manifestazioni. Nena News
Roma, 22 gennaio 2016, Nena News – Le proteste tornano a scuotere la Tunisia quando sono trascorsi cinque anni dalla “rivoluzione dei gelsomini” che ha portata alla fine del regime dell’ex presidente Ben Ali, ma non alla soluzione dei pressanti problemi economici, e non solo, del Paese che ha ispirato le cosiddette primavere arabe.
Da quattro giorni migliaia di persone, in prevalenza giovani, sono scese nelle piazze di diverse città tunisine per chiedere lavoro. La promessa di una sicurezza economica che pensavano andasse a braccetto con le conquiste democratiche, peraltro incompiute, è stata disattesa. Per alcuni, tradita da una classe dirigente che non ha saputo rinnovarsi del tutto e non ha messo in campo le riforme necessarie alla ripresa economica, in un Paese dove il tasso di disoccupazione è al 15 per cento e aumenta tra i giovani. Secondo l’OECD (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo economico), oltre un terzo dei giovani tunisini e il 62 per cento dei laureati sono senza lavoro.
Le manifestazioni, però, non sono sate sempre pacifiche. In alcuni casi i manifestanti si sono scagliati contro le sedi delle istituzioni e si sono scontrati le forze di sicurezza che hanno usato gas lacrimogeno e cannoni ad acqua per disperdere la folla. Ieri un poliziotto è rimasto ucciso a nella cittadina di Feriana, quando i manifestanti hanno capovolto l’automobile in cui si trovava. Una quarantina i dimostranti feriti, secondo l’agenzia AP, mentre sono 59, per il ministero dell’Interno, gli agenti feriti.
Nella capitale Tunisi centinaia di persone hanno marciato per le principali strade della città, ma è nella provincia, più povera ed emarginata, che è esplosa la rabbia. Manifestazioni e scontri si sono verificati a Feriana, Jamdouba, Beja, Sidi Bouzid, Guebeli, Kef. I manifestanti scandivano lo slogan ‘lavoro o un’altra rivoluzione’, hanno riportato i media.
È la città di Kassarine quella dove la protesta è più forte, e secondo i media è qui che ha avuto inizio lo scorso fine settimana, quando un giovane, conosciuto come Ridha Yahyaoui, è morto folgorato su un palo della luce dove si era arrampicato per contestare l’esclusione dalla lista dei nuovi reclutati nel dipartimento regionale dell’istruzione. Si è scoperto che lista era stata manomessa ed è stato rimosso il vice-prefetto della città, ma non è bastato a placare gli animi.
Inoltre, davanti agli uffici della società elettrica e del gas quindici persone hanno iniziato il 4 gennaio un sit-in e uno sciopero della fame. Sono giovani laureati che lavorano come guardie per la compagnia elettrica, con un salario basso, e da quasi tre settimane si nutrono di acqua e zucchero.
Kasserine è una delle aree più povere della Tunisia, in cui vivono circa 80mila persone, ed è vicina a Sidi Bouzid, la città dove Mohamed Bouazizi si diede fuoco nel 2010 dopo che gli era stato confiscato il banco con cui campava la famiglia. Fu a scintilla che accese la rivolta tunisina.
La rabbia scatenata dalla mancanza di lavoro si unisce alla delusione di molti giovani che hanno partecipato alla rivolta, costata la vita a tanti di loro. Intervistati dal sito Middle East Eye, molti manifestanti hanno detto di essere “stufi del governo”, del fatto che vecchi volti del regime esercitino ancora potere in Tunisia, del divario sempre più marcato tra ricchi e poveri e di non credere più alle promesse fatte loro negli ultimi cinque anni che hanno visto la Tunisia transitare dal regime autoritario di Ben Ali all’essere considerata l’unico successo delle primavere arabe.
Per placare le proteste, il governo ha promesso 5.000 nuovi posti di lavoro, investimenti e case popolari. “Un’operazione cosmetica”, ha commentato Tareq Toukabri, attivista e membro del Movimento della Nuova Generazione. La Tunisia versa in una grave crisi economica, ha un alto debito pubblico e deve fare i conti anche con la minaccia dell’estremismo di stampo jihadista, che ha già colpito il Paese, in particolare il suo vitale settore turistico, e preme ai suoi confini. Nena News
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