http://www.asianews.it 24/02/2016
Lettera aperta al re saudita Salman sul destino del Libano di Fady Noun
Presentiamo qui una lettera aperta al re Salman dell’Arabia saudita, scritta dal vice-direttore dell’Orient-Le Jour, il giornale più stimato in Libano. Per comprenderne di più il valore, occorre ricordare quanto avvenuto nei giorni scorsi. Arabia saudita, Bahrain ed Emirati hanno messo in guardia i loro cittadini dal viaggiare in Libano, da sempre meta del loro turismo. La decisione è stata presa ieri da Riyadh e poi seguita dagli altri Paesi per motivi di “sicurezza”. Tale mossa segue la dichiarazione dei giorni scorsi da parte dei sauditi di ritirare la concessione di 4 miliardi di dollari a sostegno delle forze armate libanesi. Intanto si vocifera che i Paesi sunniti del Golfo espelleranno tutti i libanesi che lavorano presso di loro. Si tratta di circa 400mila espatriati, in maggioranza in Arabia saudita. Un’altra voce (o timore) è che gli stessi Paesi ritirino dalle banche libanesi i loro depositi, portando il Libano al disastro economico e sociale. Tutta questa serie di azioni contro il Paese dei cedri viene attuata in risposta alle mosse del ministro degli esteri di Beirut, Jebran Bassil (del Movimento patriotico libero, alleato di Hezbollah), che in due recenti incontri dei ministri degli esteri arabi si è rifiutato di votare una risoluzione dei sauditi che condannava l’Iran, grande nemico di Riyadh. Nella lettera, Fady Noun chiede al re saudita di comprendere la speciale funzione del Libano in Medio oriente e di incontrare il Mufti e il patriarca maronita, che possano spiegargli come proprio il Paese dei cedri può essere di aiuto a tutto il Medio oriente per un dialogo con la modernità e all’islam diviso per una riconciliazione.
Ci sono così tante cose da dire, ma andiamo alle cose più immediate, una lettera aperta al re Salman: “Maestà, pur rispettandola, lei compie degli errori. Quei tre miliardi di dollari che lei si riprende, non le appartengono. Essi sono nostri. Sua maestà il re Abdullah ce ne ha fatto dono, come il presidente Michel Sleiman ha detto, lo attesta e ne è testimone. Noi crediamo che un regalo non va ripreso e non domanderemo ancora una volta ciò che è già nostro. Le è parso bene di riprenderselo, ma crediamo che questo sia un venir meno all’intenzione del donatore e all’amicizia sigillata fra i nostri popoli. Lei è stato offeso, ma l’onore di una persona sta nel passar sopra all’offesa. Sarebbe questa la sua vera corona, la sua “keffiah” regale. In più, abbiamo un’arma che nessuno ci può rapire o venderci: il nostro sangue. Senza ai tre miliardi, sarà messo ancor più a disposizione, e questo è tutto. E tutte le strategie vi diranno che un esercito conquista la vittoria anzitutto con il suo morale”. Ciò detto, andiamo a ciò che è più urgente. Ciò che è urgente oggi è la divisione del mondo islamico. E senza falsa modestia, non esitiamo a dire che la risposta a tale divisione si trova (anche) in Libano. La Chiesa maronita ha legato al Libano un’apertura alla vera modernità che era il suo tesoro e che è oggi tesoro comune. Questa apertura, lungo tutto il percorso della genesi di ciò che è divenuto lo Stato libanese, ha permesso ai libanesi di giocare un ruolo di raccoglitore che li onora. I maroniti hanno giocato tale ruolo unificatore sul piano ecclesiale. Così non vi sono maroniti cattolici e ortodossi. Essi l’hanno poi trasposto sul piano nazionale e hanno permesso l’emergere del Libano come Paese arabo indipendente. Questo partenariato è ciò che noi abbiamo di più prezioso. Qualche giorno fa il patriarca ci ha invitato a perseguire tale missione “a edificare ponti e legami fra le comunità”. La crisi regionale è dunque un’occasione nella Chiesa e per la Chiesa, nel Libano e per il Libano di agire nello spirito che è il suo, non per esacerbare il sentimento di appartenenza identitaria delle diverse comunità, ma per avvicinare, riconciliare. Al di là di tutti gli epifenomeni, occorre riflettere sul tempo in cui si iscrivono le due teocrazia che sono l’Iran e l’Arabia saudita, riflettere sulla gnosi escatologica nascosta che ispira la Repubblica islamica e al ritorno ai fondamenti della dottrina wahhabita elaborata all’inizio del XX secolo. Occorre riconoscere che l’una e l’altra sono due forme di un ritorno del “rimosso spirituale", o trascendentale, che si è compiuto in quell’Occidente, che era stato offerto loro come avvenire, e di cui, a ragione, ne hanno fatto a meno e non lo vogliono. Bisogna riconoscere che si è davanti a un fenomeno di civiltà che interpella tutti, compreso l’Occidente. L’Occidente ateo, della morte di Dio, della conquista coloniale, delle conquiste imperiali, dello scambio ineguale, del razzismo dichiarato o educato e del relativismo etico. Un relativismo che il filosofo americano Eric Voegelin, che ha riflettuto sui millenarismi, descrive come “una auto-divinizzazione della società”. In questi giorni difficili, come ci manca questa riflessione vigorosa sui rapporti fra civiltà, che ci permetterebbe di giocare il nostro ruolo di mediatori culturali, di “broker” della pace e della verità. Come ci manca oggi di pensare il XX secolo senza esitazioni. Come ci manca questa riflessione in profondità sull’islam per comprendere ciò che ha reso possibile quella aberrazione culturale e politica che viene chiamata “Stato islamico”. Ma dove sono i fondi consacrati alla ricerca fondamentale? Dove sono i Michel Hayeck (1928-2005) e i Youakim Moubarak(1924-1995) di oggi? Dove sono i Mohamad Hussein Fadlallah e i Mohammed Mahdi Chamseddine di oggi? L’odio ha ricoperto ogni cosa. Invece di incaricare il primo ministro a recarsi in Arabia saudita, mandiamo il Mufti e il patriarca, inviamo uno degli eredi di questi padri fondatori dell’unità profonda dei libanesi, di questa unità profonda che fa diga – cosciente o meno – al diluvio della violenza che spesso il discorso politico nasconde. Facendo ciò, faremo un servizio proprio al Libano e in particolare a questa Chiesa maronita, scuola di equità, che non domanda agli altri se non ciò che ha cominciato a fare ed applicare in essa stessa. |