Fonte: l'Opinione Pubblica http://www.ariannaeditrice.it/ 27/07/2016
I terroristi dell’Isis non sono pazzi: sono wahabiti di Michele Orsini
Per il rapporto emanato la settimana scorsa dall’Europol, Ufficio europeo di polizia contro la criminalità organizzata e il terrorismo, molti dei foreign fighters schieratisi col terrorismo islamista (Isis e Al-Qaeda su tutti) soffrirebbero di qualche patologia mentale: in particolare tra i lupi solitari la percentuale salirebbe al 35% di quelli attivi tra il 2000 e il 2015. Il documento suggerisce di non sottovalutare il fatto che “nei casi dove l’attentatore ha un disordine mentale l’ideologia può avere un effetto aggravante”. Nei giorni immediatamente successivi all’uscita del testo si sono verificati due attacchi terroristici compiuti da persone con problemi mentali: il massacro di Monaco di Baviera, compiuto da un 18enne, tedesco “di seconda generazioe”, poi l’attentato suicida di Ansbach, sempre in Baviera, messo in atto da un 27enne siriano cui erano stata rifiutate diverse richieste d’asilo. Non è facile dire quanto Ali Sonboly, l’autore della strage di Monaco, fosse ideologizzato: la scelta dell’anniversario dell’eccidio di Utoya potrebbe indicare ua sua adesione al manifesto di Anders Breivik, ma si potrebbe trattare anche solo di una malsana ammirazione per il modo in cui è stato eseguito. Un altro esempio da imitare sembra essere stato per lui Tim Kretschmer che nel 2009, all’età di 17 anni, uccise 15 persone e ne ferì 11 a colpi di pistola nella sua ex scuola di Winneden, vicino a Stoccarda, prima di suicidarsi: come lui aveva lamentato di essere vittima di bullismo. L’islamismo qui non c’entra nulla, anzi l’eventuale componente ideologica sarebbe di segno opposto: Breivik è ferocemente antislamico. Nel cellulare di Mohamed Delel, l’attentatore di Ansbach, gli investigatori hanno trovato un video in cui giurava fedeltà all’Isis che, difatti, ha rivendicato l’attentato. Non è necessario che ci siano stati contatti precdenti con una centrale operativa poiché, come spiega Filippo Bovo in un recente articolo, l’Isis “offre gratuitamente il proprio logo ad una galassia d’organizzazioni terroristiche sparse per tutto il globo. Il vantaggio è reciproco: quest’ultime possono firmare e rivendicare i loro attentati con un nome altisonante e di grido, certamente molto più d’effetto in termini mediatici rispetto ad una sigla qualunque, mentre l’ISIS vedendosi attribuire azioni terroristiche in ogni parte del mondo appare all’opinione pubblica come un’entità presente in ogni parte del mondo e sempre più potente” (http://www.opinione-pubblica.com/da-dacca-alleuropa-ecco-come-funziona-lisis-il-franchising-del-terrore/). Il grosso vantaggio di questa strategia sono i bassi costi, il peggior rischio è nell’impreparazione degli attentatori, che stavolta si è difatti palesata chiaramente. La strategia dell’Isis tiene di certo in conto di poter attrarre anche soggetti fragili, problematici, magari con ideazioni suicidarie cui poter offrire un senso, ma non si pensi di trovarne anche ai vertici dell’organizzazione. Dopotutto se per il succitato rapporto Europol un terzo circa dei terroristi sono malati di mente, significa semplicemente che la maggioranza non lo sono. Alessandro Orsini, direttore del ‘Centro per lo Studio del Terrorismo’ dell’Università di Roma Tor Vergata, nel suo recente libro dal polemico titolo ‘Isis. I terroristi più fortunati del mondo e tutto ciò che è stato fatto per favorirli’ spiega come i maggiori esperti mondiali “si sgolano da anni per chiarire che i terroristi non sono pazzi”; i loro comportamenti sono invece caratterizzati da razionalità ed intenzionalità, motivati dall’odio verso qualcuno da cui si sentono, a torto o a ragione, attaccati. La spiegazione dei fenomeni Al-Qaeda e Isis non è di tipo psichiatrico, ma è nella loro ideologia, ovvero il ‘wahabismo’, una versione della religione islamica interna al campo sunnita ma che detesta e considera ‘infedeli’ da uccidere tutti tranne loro stessi, quindi anche gli altri musulmani. La divisione tra un ‘Islam moderato’ e un ‘Islam radicale’ non ha troppo senso, si deve piuttosto distinguere tra l’Islam, senza ulteriori specifiche, e l’Islam wahabita: dal primo non c’è motivo di sentirsi minacciati, anzi ci si può perfino alleare contro il secondo. E’ urgente riconoscere il proprio nemico: chi non sa individuare qual è il nemico, non lo potrà mai sconfiggere. |