Originale: London Review of Books http://znetitaly.altervista.org 27 febbraio 2016
Gli ultimi giorni per il Califfato? di Patrick Cockburn Traduzione di Maria Chiara Starace
La guerra in Siria e in Iraq ha prodotto due nuovi stati de facto negli scorsi 5 anni e ha messo in grado un terzo quasi-stato di espandere molto il suo territorio e il suo potere. I due nuovi stati, anche se non riconosciuti a livello internazionale, sono militarmente e politicamente più forti della maggior parte dei paesi membri dell’ONU. Uno è lo Stato Islamico che ha stabilito il suo califfato nella Siria orientale e nell’Iraq occidentale nell’estate del 2014 dopo aver preso Mosul e aver sconfitto l’esercito iracheno. Il secondo è il Rojava, come i Curdi siriani chiamano la zona di cui hanno ottenuto il controllo quando l’esercito siriano in gran parte si ritirò nel 2012 e che ora, grazie a una serie di vittorie sull’IS, si allunga attraverso la Siria settentrionale tra il Tigri e l’Eufrate. In Iraq, il Governo Regionale Curdo (KRG), già molto autonomo, ha tratto vantaggio della distruzione operata dall’IS dell’autorità di Baghdad nell’Iraq settentrionale per espandere il suo territorio del 40%, prendendo zone a lungo disputate tra l’IS e Baghdad, compresi i giacimenti petroliferi di Kirkuk e alcuni distretti misti curdo-arabi. La questione è: questi cambiamenti radicali nella geografia politica persisteranno in Medio Oriente – in che misura persisteranno quando l’attuale conflitto sarà finito? E’ probabile che lo Stato Islamico alla fine sarà distrutto, tale è la pressione da parte dei suoi nemici divisi ma numerosi, sebbene i suoi aderenti rimarranno una forza in Iraq, in Siria e nel resto del mondo islamico. I Curdi sono in una posizione più forte, dato che beneficiano del supporto degli Stai Uniti che esiste però soltanto perché essi forniscono circa 120.000 truppe di terra che, in collaborazione con la coalizione di forze aeree militari guidate dagli Stati Uniti, si sono dimostrate una efficace e politicamente accettabile contrapposizione all’IS. I Curdi temono che questo appoggio svanirà se e quando l’IS sarò sconfitta, ed essi saranno lasciati alla mercé di risorgenti governi centrali in Iraq e in Siria e anche in Turchia e in Arabia Saudita. ‘Non vogliamo essere usati come carne da cannone per prendere Raqqa,’ mi disse l’anno scorso un leader curdo siriano nel Rojava. Ho sentito la stessa cosa questo mese a circa 800 km a est, nel territori del KRG vicino ad Halabja sul confine iraniano, da Muhammad Haji Mahmud, un comandante Peshmerga veterano e segretario generale del Partito Socialista che nel 2014aveva guidato 1000 combattenti alla difesa di Kirkuk dall’IS. Suo figlio Atta è stato ucciso nella battaglia. Mi disse che si preoccupava che ‘una volta che Mosul verrà liberata e l’IS sarà sconfitta, i Curdi non avranno lo stesso valore a livello internazionale’. Senza questo appoggio, il KRG sarebbe incapace di tenersi i suoi territori disputati. L’ascesa degli stati curdi non è accolta bene da nessuno stato nella regione, sebbene alcuni – compresi i governi di Baghdad e di Damasco – abbiano scoperto che questo sviluppo potrebbe essere temporaneamente nel loro interesse e che in ogni caso essi sono troppo deboli per opporvisi. La Turchia era sconvolta quando ha scoperto che l’insurrezione siriana del 2011 che sperava avrebbe dato inizio a un’era di influenza turca che si sarebbe diffusa in tutto il Medio Oriente, aveva invece prodotto uno stato curdo che controlla metà del lato siriano del confine meridionale della Turchia lungo circa 885 km. Peggio ancora, il partito governante nel Rojava è il Partito dell’Unione Democratica (PYD) che in tutto, tranne che nel nome, è il ramo siriano del Partito dei Lavoratori del Kurdistan (PKK), contro il quale Ankara ha combattuto una guerra di guerriglia fin dal 1984. Il PYD nega questo collegamento, ma in ogni sede del PYD c’è sul muro una fotografia del leader del PKK, Abdullah Ocalan che è in una prigione turca dal 1999. Nell’anno in cui l’IS è stata definitivamente sconfitta nell’assedio della città curdo siriana di Kobani, il Rojava si è esteso territorialmente in ogni direzione, mentre i suoi capi ripetutamente ignorano le minacce turche di azioni militari contro di loro. Il giugno scorso, le Unità di protezione del popolo curdo siriano, hanno preso Tal Abyad, un importante valico di frontiera sul confine turco vicino a Raqqa, permettendo al PYD di collegare due delle sue tre principali enclave, intorno alle città di Kobani e Qamishli; sta ora cercando di raggiungere la terza enclave, ancora più a ovest: Afrin. Questi rapidi successi sono possibili soltanto perché le forze curde stanno operando sotto un gruppo di protezione guidato dagli Stati Uniti che moltiplica ampiamente la loro forza di fuoco. Ero proprio a est di Tal Abyad poco prima dell’attacco finale e i velivoli della coalizione rombavano continuamente in cielo. Sia in Siria che in Iraq, i Curdi identificano degli obiettivi, lanciano attacchi aerei e agiscono come forza di sbaragliamento. Dove l’IS resiste e combatte, patisce pesanti perdite. Nell’assedio di Kobani, durato quattro mesi e mezzo, sono stati uccisi 2200 combattenti dell’IS, la maggior parte dei quali a causa di attacchi aerei statunitensi. Ankara ha avvertito parecchie volte che se i Curdi si sposteranno a ovest verso Afrin, l’esercito turco interverrà. In particolare, ha stabilito che le YPG non devono attraversare l’Eufrate: questa era una ‘linea rossa’ per la Turchia. Quando, però in dicembre le YPG ha inviato le loro milizia arabe delegata, cioè le Forze Democratiche Siriane (SDF), al di là dell’Eufrate, presso la diga di Tishrin, i turchi non hanno fatto nulla, in parte perché l’avanzata era appoggiata in punti diversi da attacchi aerei sia americani che russi, contro obiettivi dell’IS. Le obiezioni turche sono diventate sempre più frenetiche dall’inizio dell’anno, perché le YPG e l’esercito siriano, sebbene la loro attiva collaborazione sia non provata, hanno dato il via a quello che equivale a un movimento a tenaglia sulle più importanti vie di approvvigionamento dell’IS e dell’opposizione all’IS che corrono lungo uno stretto corridoio tra il confine turco e Aleppo, che una volta era la città più grande della Siria. Il 2 febbraio, l’esercito siriano, appoggiato dagli attacchi aerei russi, ha interrotto il principale collegamento stradale verso Aleppo, e una settimana dopo le SFD hanno ripreso la base aerea di Menagh al Fronte al-Nusra, affiliato di al-Qaida, che la Turchia è stata accusata di avere segretamente appoggiato in passato. Il 14 febbraio, l’artiglieria turca ha cominciato a sparare contro le forze che avevano preso la base e ha chiesto che la evacuassero. Il complesso insieme di milizie, eserciti e gruppi etnici che lottano per controllare questa area piccola ma cruciale a nord di Aleppo, rende i combattimenti che si svolgono lì confusi, anche in base agli standard siriani. Ma se l’opposizione sarà tagliata fuori dalla Turchia per molto tempo, sarà gravemente e forse fatalmente indebolita. Gli stati sunniti, in particolare Turchia, Arabia Saudita e Qatar, avranno fallito nella loro campagna per il rovesciamento di Bashar al-Assad. La Turchia si troverà di fronte alla prospettiva di un piccolo stato ostile gestito dal PKK, lungo il suo lato occidentale, rendendole più difficile ribellione di basso livello ma che dura da tempo, condotta dal PKK, tra i suoi 17 milioni di persone che fanno parte della minoranza curda. Si dice che Erdo?an volesse che la Turchia intervenisse in Siria fino dal maggio dello scorso anno, ma che finora sia stato trattenuto dai comandanti del suo esercito. Sostenevano che la Turchia sarebbe entrata in una guerra molto complicata in cui dagli Stati Uniti, dalla Russia, dall’Iran, dall’esercito siriano, dal PYD e dall’IS, mentre i suoi soli alleati sarebbero l’Arabia Saudita e le monarchie del Golfo. Entrare nella guerra siriana sarebbe certamente un rischio terribile per la Turchia che, malgrado le sue denunce tuonanti di ‘terrorismo’ nei confronti del PYD e delle YPG, si è in gran parte limitato a piccoli atti di rappresaglia talvolta vendicativa. A Ersin Umut Güler, un attore curdo turco e regista curdo di Istanbul, è stato rifiutato il permesso di riportare in patria per la sepoltura il corpo di suo fratello Azia, ucciso mentre combatteva contro l’IS in Siria. Prima di calpestare una mina di terra, Aziz era stato con le YPG, ma era cittadino turco e apparteneva a un partito socialista radicale turco, non al PKK. ‘Sembra una cosa venuta fuori dalla tragedia greca Antigone,’ ha detto Ersin. Suo padre era andato in Siria e si rifiutava di tornare senza il corpo, ma le autorità non si intenerivano. La replica turca all’ascesa del Rojava è di toni bellicosi, ma in pratica è ambivalente. Un giorno un ministro minaccia un’invasione di terra su larga scala e il giorno dopo un altro funzionario o dichiara che questa è condizionata alla partecipazione degli Stati Uniti, il che è improbabile. La Turchia ha incolpato le YPG per un’autobomba ad Ankara che il 17 febbraio ha ucciso 28 persone, il che deve aumentare le possibilità di intervento, ma nel passato recente le azioni turche sono state non concatenate e controproducenti. Quando, il 24 novembre, un aereo turco F-16 ha abbattuto un caccia russo in quello che sembra essere stato un attacco accuratamente pianificato, la prevedibile conseguenza è stata che la Russia ha inviato sofisticati aerei da caccia e sistemi di missili antiaerei per stabilire la supremazia aerea sulla Siria del Nord. Questo significa che se la Turchia dovesse lanciare un’invasione di terra, dovrebbe farlo senza copertura aerea e le sue truppe sarebbero esposte ai bombardamenti degli aerei russi e siriani. Molti leader politici curdi sostengono che un’azione militare turca è improbabile: il mese scorso a Herbil, Fuad Hussein, il capo del personale del presidente del KRG, mi ha detto che ‘se la Turchia voleva intervenire, l’avrebbe fatto prima di abbattere il caccia russo’ anche se questo presume, naturalmente, che la Turchia sappia come agire a favore dei suoi migliori interessi. Sosteneva che il conflitto sarebbe deciso da due fattori: chi vince sul campo di battaglia e la cooperazione tra Stati Uniti e Russia. ‘Se la crisi deve essere risolta,’ ha detto, ‘sarà risolta da un accordo tra le superpotenze’ – e in Medio Oriente almeno la Russia ha riguadagnato lo status di superpotenza. Una nuova alleanza “sciolta” tra Stati Uniti e Russia, sebbene interrotta da periodi di rivalità in stile Guerra Fredda, il 12 febbraio hanno prodotto un accordo a Monaco per aiuti da essere distribuiti alle piccole e grandi città siriane assediate e una ‘cessazione delle ostilità’ cui seguirà un cessate il fuoco più formale. Una riduzione della crisi sarà difficile da dirigere, ma il fatto che gli Stati Uniti e la Russia siano co-presidenti di una task force che la supervisiona, dimostra la misura in cui i due paesi stiano dislocando i poteri locali e regionali come decisori in Siria. Per i Curdi nel Rojava e nel territorio del KRG, questo è un momento difficile: se la guerra finisce, il loro potere guadagnato di recente potrebbe scivolare via rapidamente. Sono, dopotutto, soltanto piccoli stati – le KRG hanno una popolazione di circa 6 milioni e il Rojava di 2,2 milioni – circondate da stati molto più grandi – e le loro economie sono soltanto relitti galleggianti. Il Rojava è bene organizzato ma è bloccato da tutti i lati e non è in grado di vendere molto del suo petrolio. Il 70% degli edifici di Kobani sono stati ridotti in polvere dai bombardamenti degli Stati Uniti. La gente è scappata da città come Hasaka che sono vicine alla linea del fronte. I problemi economici del KRG sono gravi e probabilmente insolubili a meno che non ci sia un inaspettato aumento dei prezzi del petrolio. Tre anni fa si autopubblicizzava come ‘la nuova Dubai’ un cuore commerciale ed stato petrolifero con entrate sufficienti a renderlo indipendente dal Baghdad. Quando il boom del petrolio raggiunse un picco nel 2013, gli hotel lussuosi costruiti da poco a Erbil, erano zeppi di delegazioni e di uomini di affari impegnati nel commercio estero. Oggi gli hotel e i centri commerciali sono vuoti e il Kurdistan iracheno è pieno di alberghi e condomini costruiti a metà. La fine del boom delle KRG è stato uno shock devastante per la popolazione, una gran parte della quale sta cercando di emigrare in Europa occidentale. Ci sono frequenti preghiere di commemorazione nelle moschee per coloro che sono affogati nell’attraversare l’Egeo dalla Turchia alle isole greche. Le rendite statali del petrolio sono ora di circa 400 milioni di dollari al mese; le spese sono di 1,1 miliardo, e quindi pochi degli impiegati governativi vengono pagati. Disperato, il governo ha preso denaro dalle banche. ‘Mia madre è andata nella sua banca dove pensava che avesse 20.000 dollari,’ mi ha detto Nazdar Ibrahim, un economista dell’Università Salahddin a Erbil. ‘Le hanno detto: “Non abbiamo i suoi soldi perché il governo lo ha preso.” Nessuno ora mette denaro nelle banche e questo sta distruggendo il sistema bancario. Il KRG si è pubblicizzato come ‘un Iraq diverso’, e, per certi aspetti è così: è molto più sicuro vivere lì che a Baghdad o a Basra. Anchese Mosul non è lontano, ci sono stati pochi attacchi con bombe o rapimenti nel Kurdistan iracheno, in confronto ad altri luoghi del paese. Ma il KRG è uno stato petrolifero che dipende totalmente dalle entrate del petrolio. La regione non produce quasi niente altro: perfino le verdure nei mercati vengono importate dalla Turchia e dall’Iran e i prezzi sono alti. Nazdar Ibrahim mi ha detto che i vestiti che lei potrebbe comprare in Turchia a 10 dollari, nel suo paese costano il triplo; vivere nel Kurdistan iracheno, ha fatto capire, è costoso quanto vivere in Norvegia o in Svizzera. Il Presidente del KRG, Massoud Barzani, ha dichiarato che vuole indire un referendum sull’indipendenza curda, ma questa non è una scelta attraente in un momento di rovina economica generale. Asos Hardi, direttore di un giornale a Sulaymaniyah, dice che le proteste si stanno diffondendo e che, in ogni caso, ‘anche al culmine del boom c’era rabbia popolare per il clientelismo e la corruzione.’ Lo stato curdo iracheno – lungi dal diventare più indipendente – viene ora costretto a guardare a potenze esterne, compresa Baghdad, per salvarlo da un ulteriore crollo economico. Stanno accadendo cose analoghe in altri luoghi della regione : persone che sono state portate fuori di nascosto da Mosul, dicono che il califfato sta cedendo sotto la pressione militare ed economica. I suoi nemici hanno catturato Sinjar, Ramadi e Tikrit in Iraq e le YPG e l’esercito siriano lo stanno respingendo verso la Siria e si stanno stringendo intorno a Raqqa. Le forze di terra che attaccano l’IS, cioè le YPG, l’esercito siriano, le forze armate irachene e i Peshmerga, sono tutti a corto di uomini (nella lotta per Ramadi la forza militare di assalto irachena ammontava soltanto a 500 uomini), ma possono fare ricorso a devastanti attacchi aerei su qualsiasi posizione dell’IS. Da quando è stata sconfitta a Kobane, l’IS ha evitato battaglie con un piano prestabilito e non ha combattuto fino all’ultimo uomo per difendere qualsiasi delle sue città, sebbene abbia valutato di farlo a Raqqa e a Mosul. Il Pentagono, il governo iracheno esagerano la portata delle loro vittorie sull’IS che però sta avendo pesanti perdite ed è isolato dal mondo esterno con la perdita del suo ultimo collegamento con la Turchia. L’infrastruttura amministrativa ed economica del califfato sta cominciando a rompersi sotto lo stress dei bombardamenti e del blocco. Questa è l’impressione data dalle persone che lasciarono Mosul all’inizio di febbraio e che trovarono rifugio nel Rojava. Il loro viaggio non fu facile, dato che l’IS proibisce alle persone di abbandonare il califfato – non vuole un esodo di massa. Coloro che sono usciti, riferiscono che l’IS sta diventando più violenta nel far rispettare gli ordini e i regolamenti religiosi. Ahmad un commerciante di 35 anni del distretto al-Zuhour di Mosul, dove è proprietario di un piccolo negozio, ha riferito che “se qualcuno viene preso con la barba rasata, gli si danno 30 frustate, mentre l’anno scorso l’avrebbero arrestato soltanto per poche ore.’ Il trattamento delle donne in particolare è peggiorato: l’IS insiste che le donne portino il velo, i calzini, i guanti e vestiti sciolti o larghi, e se una donna non obbedisce, l’uomo che sta con lei sarà frustato.’ Ahmad ha anche detto che le condizioni di vita si sono deteriorate bruscamente e che le azioni dei funzionari dell’IS sono diventate più arbitrarie: ‘Prendono il cibo senza pagarlo e hanno confiscato gran parte delle mie scorte col pretesto di appoggiare i miliziani dello Stato Islamico. Tutto costa caro e i negozi sono mezzi-vuoti. Un anno fa i mercati erano affollati, ma non nei dieci mesi passati perché tanta gente è scappata, e coloro che sono rimasti sono disoccupati. Non c’è stata la rete elettrica per sette mesi e tutti dipendono da generatori privati che funzionano con combustibile raffinato localmente che si trova dappertutto, ma è così costoso e di qualità così scarsa che funziona soltanto per i generatori e no per le automobili – e i generatori spesso si rompono. C’è carenza di acqua potabile. ‘Ogni 10 giorni abbiamo l’acqua per due ore,’ ha detto Ahmad. ‘L’acqua del rubinetto non è pulita, ma la dobbiamo bere.’ Non c’è una rete per i telefoni cellulari e Internet è disponibile soltanto negli Internet Café che sono strettamente controllati dalle autorità delle sedizioni. Ci sono segnali di criminalità crescente e di corruzione, anche se questa potrebbe essere principalmente la prova che l’IS ha un disperato bisogno di soldi. Quando Ahmad decise di scappare, contattò uno dei molti contrabbandieri che operano nella zona tra Mosul e la frontiera siriana. Mi ha detto che il costo di ogni individuo fatto passare di nascosto nel Rojava è tra i 400 e i 500 dollari. ‘Molti dei contrabbandieri? Sono uomini dell’IS, mi ha detto, ma non sapeva se i capi dell’organizzazione sapevano cosa accadeva. Certamente sanno che ci sono crescenti lamentele riguardo alle condizioni di vita perché hanno citato un hadit, cioè un detto del Profeta, contro tali lagnanze. Coloro che violano l’hadit vengono arrestati e mandati a farsi rieducare. La conclusione di Ahmad: “I dittatori diventano molto violenti quando sentono che la loro fine è vicina.” Quanto è precisa la previsione che il califfato stia entrando nei suoi ultimi giorni? Si sta certamente indebolendo, ma questo accade in gran parte perché la guerra si è internazionalizzata fin dal 2014 per l’intervento militare russo e statunitense. I poteri locali e regionali contano meno che in passato. Gli eserciti iracheno e siriano, le YPG e i peshmerga possono ottenere vittorie sull’IS grazie allo stretto e massiccio supporto aereo. Possono sconfiggerlo in battaglia e possono probabilmente prendere impadronirsi delle città che ancora governa, ma nessuno di loro sarà pienamente in grado di raggiungere i propri obiettivi bellici senza il prolungato appoggio di una grande potenza. Una volta che il califfato finirà, i governi centrali di Baghdad e Damasco potrebbero diventare di nuovo più forti. I Curdi si chiedo se allora rischieranno di perdere tutti i guadagni che hanno ottenuto nella guerra contro lo Stato Islamico.
Da: Z Net – Lo spirito della resistenza è vivo www.znetitaly.org Fonte: https://zcomm.org/znetarticle/end-times-for-the-caliphate |