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24 luglio 2016

 

Inferno in Libia

di Fulvio Vassallo Paleologo

 

La conta dei cadaveri di migranti arenati sulla spiagge libiche è senza fine. Intanto la Francia si schiera contro l'Onu e i media evitano approfondimenti sull'ennesimo fallimento dell'interventismo occidentale. Decine di cadaveri sulla spiaggia di Sabratha in Libia mentre la Francia si schiera contro le Nazioni Unite. Intanto, continua la battaglia di Sirte.

 

Dopo le tante tragedie dell’immigrazione, che vengono dimenticate in tempo reale da un’opinione pubblica sempre più indifferente e assuefatta, gli arresti dei presunti scafisti sembrano chiudere il cerchio delle responsabilità. Nel migliore dei casi resta qualche briciolo di compassione per le storie individuali più tragiche che i giornalisti cercano a tutti i costi. Intanto altri sedici migranti sono morti asfissiati e bruciati nel vano motore di un barcone.

Rimane sullo sfondo lo scenario libico, caratterizzato da ricorrenti stragi nelle acque davanti alle coste di Sabratha o di Tripoli. Decine di cadaveri si arenano sulla battigia dopo che i gommoni, probabilmente intercettati dalle tante “guardie costiere libiche”, sono affondati a poche centinaia di metri dalla costa.

Vite umane spezzate in mare

La conta dei cadaveri di migranti arenati sulla spiagge libiche è senza fine. Secondo le ultime notizie sarebbero diverse decine. Vite umane spezzate in mare. Adesso dovrebbero essere sotto gli occhi di tutti. Ma tanti gireranno lo sguardo altrove. Meglio non parlare troppo di Libia anche per le possibili ricadute sulla campagna elettorale statunitense (se ne parla, tra l’altro, in questo articolo del vanguardngr.com).

Di sicuro resta del tutto nascosto all’opinione pubblica in Europa la situazione di conflitto armato che spacca la Libia in tre parti almeno, dopo gli sconsiderati interventi di alcuni paesi europei, come la Francia, che si sono messi a combattere persino a fianco degli avversari del governo nominato e sorretto dalle Nazioni Unite, il governo di Serraj, che da Tripoli non riesce a controllare neanche l’intera Tripolitania.

Vie d’accesso sbarrate in Libia

Se i tanti esperti che pontificano in questi giorni su tutti i media, individuando cause sempre più remote del terrorismo che sta dilagando anche in Europa, se ne volessero occupare, il laboratorio libico potrebbe offrire l’ennesima conferma dell’insensatezza dell’interventismo dei paesi occidentali. Sarebbe facile accertare il totale fallimento di quella che definiscono ancora “guerra all’immigrazione illegale”. Una guerra che sbarra soltanto le vie di accesso, rendendo più pericolose e spesso mortali le traversate, ma che non arresta l’ingresso dei migranti in Europa, nè riesce a smantellare le reti di trafficanti sempre più estese in Africa e in Asia proprio per effetto della mancanza di canali legali di ingresso.

 

L’unica risposta che è stata data dall’Unione Europea, oltre all’accordo illegale con la Turchia di Erdogan. Una missione militare che adesso dovrebbe essere impiegata in funzione antiterrorismo, restando però in acque internazionali. Mentre nel Mediterraneo centrale si è ridotta la presenza delle navi dell’operazione Triton di Frontex.

Anche in questo caso i politici e i militari che già hanno fallito da anni promettendo pace e sicurezza continuano ad alimentare instabilità e insicurezza, moltiplicano gli scenari di guerra e le stragi dei migranti, ma ottengono crescenti consensi elettorali.

Una partita decisiva si gioca sul fronte dell’informazione, ormai quasi del tutto “embedded“. Le poche voci di dissenso sono esposte a forti pressioni. Se si vorranno affrontare le grandi questioni della convivenza possibile e trovare soluzioni politiche ai conflitti, contrastando davvero la minaccia terroristica, ciascuno dovrà diventare riproduttore di informazioni e fare circolare il maggior numero possibile di notizie che possano smentire le tante menzogne che le agenzie istituzionali continuano a diffondere (qui il Reportage fotografico sulla battaglia di Sirte, a cura di Aidan Lewis, Independent).

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