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22 agosto 2016

 

Escalation neocon: hanno fretta di fare il Kurdistan

di Maurizio Blondet

 

Buttata la maschera, l’America minaccia  militarmente Siria e Russia; ammette di avere sul territorio siriano truppe e commandos  

americane che combattono contro il governo di Damasco a favore dei separatisti curdi; crea un “no fly-zone” di fatto sulla particella di territorio siriano che ha promesso ai curdi di rendere indipendente.  Il generale Stephen Townsend, comandante delle forze Usa in Irak e Siria,  ha dichiarato: “Abbiamo informato i russi     di cosa siamo pronti a  fare —-ci difenderemo se minacciati”.

 

 

L’antefatto sono i combattimenti in corso nel nord, ad Hasakah,    tra le truppe siriane e la  milizia curda dell’YPG, spalleggiata da  centinaia di  commandos americani.  Qui è una specie di situazione analoga a quella di Aleppo, ma rovesciata:   l’esercito siriano   occupa la città, ma è circondato dalle milizie curde.    Lo YPG ha intimato ai regolari di abbandonare Hasakah;  ma l’esercito di Assad lì è il solo protettore della grossa minoranza cristiana (assira) ed altre, che temono – a ragione – di dover subire la pulizia etnica che i curdi hanno la meglio. Per loro infatti Hasakah deve diventare una delle città del futuro stato curdo, secondo un programma ben collaudato:  1) pulizia etnica delle minoranze,2) indizione di “libere elezioni”  con plebiscito per l’appartenenza allo stato curdo prossimo venturo, garantito da Usa e Sion.  Non è stata fatta così anche l’unione risorgimentale dell’Italia al regno sabaudo?

La milizia curda è assistita dagli americani con la scusa che “combatte lo Stato Islamico”  – che nella zona non c’è. Combatte invece l’armata legittima di Damasco. Qualche giorno fa gli aerei di Assad hanno bombardato le posizioni  YPG,  per aprire una strada di rifornimento alle sue forze (regolari e milizie cristiane)  chiuse nel centro città.    In questo bombardamento – così accusa il Pentagono –   poco è mancato che le truppe americane venissero colpite; di qui una prova di forza Usa, con caccia F-22 lanciati all’inseguimento dei caccia siriani;   il Pentagono ha accusato Mosca, che ha risposto di non entrarci nel bombardamento di Hasakah;  invece di appianare la situazione, gli americani si sono impegnati in una gravissima esclalation, di fatto minacciando di abbattere gli aerei che sorvolano Hasakah, russi o siriani che siano.

 

 

Sarà bene ricordare che – in base al diritto internazionale – non c’è alcuna base legale alla presenza di forze armate USA. Per questo, quando l’Air Force (dice)  di aver cercato di contattare le forze siriane che stavano colpendo i  militari americani sul terreno, Damasco ha ignorato il richiamo –  altrimenti sarebbe stato ammettere che gli Usa sono un nemico occupante.  Per tutta risposta, il Pentagono –   invece di sloggiare le sue truppe da Hasakah, ne ha rafforzato il contingente.     L’enormità della situazione è stata rilevata dal giornalista tedesco Thomas Wiegold che ha twittato: “Come? Ora gli Usa praticano il divieto di  operare alle forze di un paese sul suo territorio?”.

Il punto è  che il voltafaccia di Erdogan ha messo in grave pericolo la promessa  fatta da Usa e Israele ai curdi, di ritagliare per loro uno stato indipendente  (e  loro satellite) nella zona tra Turchia, Siria, Irak e Iran. Erdogan si è recentemente  pronunciato, in inaudita coordinazione con Teheran per “il mantenimento dell’integrità territoriale  della Siria”, di cui quindi Turchia e Iran si fanno garanti (insieme ai russi  e a Pechino):  quindi nessuno smembramento della Siria per linee etniche e religiose; capendo finalmente che la Turchia, dal progetto, ha solo da perdere – un terzo del suo territorio, abitato dai curdi.  Lo ha ripetuto qualche giorno fa il nuovo primo ministro turco Yildirim:  “Nei prossimi sei mesi giocheremo un ruolo più attivo in Siria, voglio dire non permetteremo che la Siria sia divisa secondo linee etniche  – ci assicureremo che il   suo governo  non sia basato su etnie”.

 

Il fatto è che l’anno scorso,  i rappresentanti della regione curda (già autonoma  sotto la costituzione siriana)  hanno elevato un annuncio di federalizzazione: annuncio unilaterale, non concordato, incostituzionale –  su  aperta istigazione statunitense, che ha dato ai secessionisti addestramento, armi, munizione e  350 milioni di dollari “per combattere l’IS”.

Ancora una volta si noti: secondo le convenzioni di Ginevra   una potenza occupante non ha il diritto di separare,  occupare, ritagliare un pezzo di un  paese che occupa. Ma ormai è chiaro che per i neocon che hanno occupato la poltitica estera Usa, i trattati internazionali sono  stracci di carta; la forza è la sola ‘ragione’; e “la pulizia etnica funziona”, come  dicono al Pentagono.

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Oltrettutto,  i folli sentono l’urgenza frenetica di contrarre i successi di Mosca nell’area, di “far pagare un prezzo a Putin” e “ad Assad”; recuperare il danno inferto al loro progetti da Erdogan, e vendicarsi di lui; mantenere la promessa ai curdi, loro tanto servizievoli satelliti.

Quindi rispondono alzando la posta,  aggiungono caos al caos, e minacciando l’ampliamento della guerra  (alla Turchia? All’Iran? Alla Russia? ) sicuri della loro superiorità militare, fanno la politica definita “sull’orlo dell’abisso”:  a ritrarsi dall’abisso saranno i nemici, pensano loro.

L’orribile attentati di  Gaziantep, che ha sterminate  più  di cinquanta curdi partecipanti al matrimonio di un capoccia locale, capo del partito curdo rappresentato ad Ankara,  si deve situare in questo quadro. Naturalmente Erdogan  ha accusato l’ISIS (ha imparato dagli  americani); i curdi presenti hanno accusato Erdogan.  Non senza ragione, credo.  Nella gara all’escalation irresponsabile, i neocon non sono i soli.

 

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