http://www.asianews.it/ 11/10/2016
Sacerdote ad Amman: Giordania, fragile modello di stabilità fra violenze e conflitti regionali
Per p. Rifat Bader i conflitti regionali rischiano “in ogni momento” di innescare una crisi anche nel regno Hascemita. L’omicidio Hattar, le proteste attorno ai libri di testo e le elezioni legislative focolai di tensione, alimentati dall’uso propagandistico dei social. Scuola e luoghi di lavoro centri in cui costruire il valore di “unità nazionale”. E la religione non deve essere “un ostacolo”.
La crisi del Medio oriente, i conflitti in corso nella regione e la progressiva insicurezza che caratterizzano molti Paesi dell’area rischiano di avere pesanti ripercussioni anche sulla Giordania, che ha beneficiato sinora di una “stabilità che può essere persa in ogni momento”. È quanto dice ad AsiaNews p. Rifat Bader, direttore del Centro cattolico per gli studi e i media di Amman, commentando gli ultimi eventi che hanno caratterizzato la vita politica, sociale ed economia del Paese. La maggior parte dei cittadini “è contro la violenza”, soprattutto se essa “viene usata in nome di Dio e della religione” ed è alimentata “grazie all’uso dei social network” che diventano luogo in cui fomentare la tensione e alimentare l’ideologia estremista. Dall’omicidio del giornalista e attivista politico di origine cristiana Nahed Hattar, il 24 settembre scorso, per aver postato una vignetta ritenuta “blasfema”, alla controversia esplosa attorno ai libri di testo per la cancellazione di alcuni riferimenti al Corano; dalle elezioni legislative che hanno registrato il ritorno in Parlamento dei Fratelli musulmani e il significativo aumento dei seggi assegnati alle donne, sono molti i fatti che stanno scuotendo una nazione finora modello di convivenza e di pace. Anche nel recente incontro delle Chiese del Medio oriente, che si è tenuto proprio ad Amman, il regno Hascemita è stato citato come esempio in un contesto locale contraddistinto da violenze, guerre ed estremismi. Tuttavia, pace e stabilità della nazione si fondano su un equilibrio precario che - come afferma lo stresso p. Rifat - rischia di saltare “in ogni momento”, mentre cresce la contrapposizione fra chi persegue il modello di Stato laico e quanti auspicano la trasformazione su base religiosa (musulmana) del Paese e il rispetto dei dettami della legge islamica. Ad alimentare il pericolo di una polarizzazione della società giordana vi sono anche i social network, in particolare Facebook, all’interno dei quali vengono fatti veicolare i discorsi che incitano all’odio, allo scontro, alle tensioni confessionali. Del resto proprio dalla condivisione di un post, in quel caso una vignetta, è scattata la molla che ha portato poi all’uccisione di Hattar. “Il rischio estremismo non è solo della Giordania - spiega p. Rifat - e non si può dire che al mondo vi sia un Paese davvero sicuro. Grazie all’opera delle autorità ad Amman, il livello di sicurezza qui è forte ma le tensioni restano mentre emergono nuovi problemi”. Facebook è uno di questi, prosegue il sacerdote, perché “è diventato una zona di guerra, dove tutti si sentono autorizzati a dire la propria, a rilanciare il pensiero di chi sembra essere il più forte”. Chiediamo ai concittadini, aggiunge, “di usare la calma e di verificare le notizie, i racconti, prima di rilanciarli, evitando di alimentare la spirale di odio e attenendosi a un confronto pacifico e costruttivo”. Per il direttore del Centro cattolico per gli studi e i media di Amman è fondamentale “promuovere il valore di unità nazionale” e intervenire “nelle scuole e nei luoghi di lavoro” per costruire una società in cui “la religione non sia un ostacolo”, ma un ponte per la conoscenza reciproca. Di recente proprio nelle scuole del Paese è divampata una polemica feroce attorno ai nuovi libri di testo per gli istituti primari che, secondo l’ala estremista, non conterrebbero più alcuni passi del Corano. La tensione è montata nelle scorse settimane e si sono verificati anche roghi di libri per le strade; il ministero dell’Istruzione è intervenuto cercando di stemperare la polemica rintuzzando le critiche dei movimenti fondamentalisti islamici. “Da tempo scrittori e intellettuali, e anche noi come centro cattolico - racconta p. Rifat - chiediamo di cambiare il curriculum scolastico e di rivedere i libri di testo, nei quali finora non vi è stata traccia della presenza cristiana. Chiediamo di mettere un capitolo in cui si parla di noi, della nostra storia, per favorire la conoscenza e il rispetto reciproco anche fra i giovani musulmani”. Purtroppo da una proposta di miglioramento dei testi, e di un loro arricchimento, il dibattito - complici i social - si è focalizzato solo sulla cancellazione di alcuni versi del libro sacro dei musulmani. Al contesto di crisi economica e sociale, si aggiunge anche l’emergenza profughi alimentata dalla guerra in Siria e dalle violenze perduranti in Iraq. Se, da un lato, parte degli immigrati irakeni sono già partiti verso l’Australia, gli Stati Uniti e il Canada, per i siriani la prospettiva è di “restare per i prossimi 15 anni”, con i conseguenti problemi di scolarizzazione per i bambini e di visti di lavoro per gli adulti. “L’emergenza non investe solo la Giordania - avverte p. Rifat - ma è una questione regionale e internazionale”. E persino le ultime elezioni legislative del settembre scorso sono la cartina di tornasole di una nazione che oscilla fra tradizione e modernità. “I Fratelli musulmani - spiega il sacerdote - sono presenti in Parlamento sin dal 1989 e non hanno mai creato problemi. Anzi, è un bene che siano presenti all’interno delle istituzioni e possano veicolare le loro istanze”. “Inoltre, nella nuova Camera vi sono 20 segni assegnati alle donne, un aumento positivo - conclude - e poi ai nostri deputati cristiani va il compito di contribuire al bene della nazione alla tutela dei nostri diritti”.(DS) |