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Giovedì 31 marzo 2016
Un regime strumento di tortura
di Alessandra Bajec
Secondo le associazioni dei diritti umani egiziane, solo nel 2015 sono state oltre 1.700 le persone scomparse. Ma si teme che siano molte di più. È in atto una sistematica e indiscriminata campagna di repressione che si rivolge a dissidenti, sia reali sia immaginari. Alcuni degli scomparsi sono stati trovati morti; altri ritornano dopo mesi di violenza e arresti arbitrari. Di altri non si sa più nulla. I nomi di alcuni di loro.
L’assassinio di Giulio Regeni in Egitto ha fatto emergere con maggiore forza il caso dei desaparecidos egiziani, vittime di pratiche punitive sistematiche e di violazioni dei diritti umani. Violenze di cui aveva reso conto Nigrizia già nel gennaio 2015
La pratica delle sparizioni forzate è un fenomeno che ha assunto un’ampiezza allarmante. L’Egyptian Commission for Rights and Freedoms (ECRF), organizzazione indipendente egiziana, ha segnalato più di 1.700 casi solo nel 2015.
Halim Hanish – avvocato dell’ECRF che si occupa delle sparizioni forzate – riferisce che dei 1.700 casi la sua organizzazione ne ha documentati 450: di questi scomparsi, 151 sono riapparsi senza accuse contro di loro, mentre gli altri sono tuttora desaparecidos. L’avvocato difensore stima che dall’inizio del 2016 siano scomparse tra le 600 e 700 persone.
Un fenomeno non nuovo, come spiega l’avvocato ricordando che durante la rivoluzione del 2011 gruppi di persone venivano arrestati durante le manifestazioni, con alcuni oppositori del regime incarcerati, altri torturati, e di molti non si ha mai più avuto notizia. Nei diciotto giorni di proteste, sono spariti più di mille cittadini.
Oggi, continua Hanish, egiziani o egiziane sono arrestati o fermati in strada o a seguito di irruzioni in case, a volte senza accusa o senza sapere il motivo dell’arresto, alludendo al coinvolgimento delle forze di polizia e di sicurezza. In alcuni casi, quando la persona ricercata non è presente, gli uomini della sicurezza catturano suoi parenti o amici con false accuse.
I nomi sono storie
Tra i numerosi desaparecidos egiziani, l’avvocato dell’ ECRF cita solo alcuni esempi.
Esraa al-Taweel, fotoreporter, e i suoi due amici Omar Ali e Souhaib Saad, tutti studenti ventenni, scomparsi nel giugno del 2015 al Cairo mentre andavano a cena insieme. Al-Taweel è stata ritrovata dopo due settimane nel carcere femminile di Al-Qanater, arrestata con l’accusa di affiliazione alla Fratellanza Musulmana, dichiarata dal regime «organizzazione terroristica», e di divulgare false informazioni, infamanti per il paese. La giovane fotografa è stata rilasciata lo scorso dicembre anche se è probabile che debba ancora rispondere a queste e ad altre accuse.
Islam Khalil è un capo vendite presso una ditta di elettronica. È sparito nel maggio 2015 senza un arresto formale, dopo un’irruzione in casa da parte delle forze di sicurezza, e ritrovato quattro mesi più tardi in un commissariato di polizia ad Alessandria dopo esser stato incarcerato segretamente e sottoposto a torture, secondo quanto ha riferito il fratello Nour in una recente intervista.
Abdullah Abdel-Rahman, quindicenne, catturato in circostanze misteriose lo scorso maggio a Beni Suef, imprigionato, tenuto in isolamento e torturato da agenti di polizia.
Mostafa Massouny, grafico, scomparso da giugno 2015 da un bar del Cairo mentre era con i suoi amici, e indagato dalla Sicurezza nazionale. Da allora i suoi genitori non sanno che fine abbia fatto.
Attef Farrag, uomo d’affari e sostenitore dei Fratelli Musulmani, e suo figlio Yehia portati via dalla loro casa lo scorso luglio, e ricomparsi a gennaio in una prigione fuori Il Cairo, accusati di appartenere al gruppo Stato islamico.
E ancora, Ashraf Shehata, proprietario di una scuola e membro del partito Dostour. Di lui non si sa nulla da gennaio 2014.
Studenti, giornalisti, attivisti, oppositori, cittadini normali: non c’è distinzione. Tutti scomparsi.
«Alcuni sono politicamente attivi, altri non lo sono, altri non hanno neppure un precedente legale», nota Hanish. «Le sparizioni forzate possono toccare chiunque».
Secondo un rapporto dell’ECRF, pubblicato il 22 dicembre 2015, a far sparire forzatamente sarebbero agenti delle forze di sicurezza e dei servizi che agiscono spesso in borghese. In molti casi, gli arrestati finiscono in vari centri di detenzione segreti in Egitto, dove sono trattenuti, interrogati, picchiati o anche torturati per settimane o mesi, e poi rilasciati o incriminati. In altri casi, vengono ritrovati morti o non si ritrovano più.
Non è una casualità: le scomparse forzose in Egitto avvengono in un contesto di arresti arbitrari, detenzioni prolungate, torture, morti in carcere degli ultimi anni. Una sistematica e indiscriminata campagna di repressione che si rivolge a dissidenti, sia reali sia immaginari.
Le responsabilità
«Giulio era come noi, ed è stato ucciso come noi» un commento molto diffuso in Egitto. La scomparsa e la morte dello studente italiano al Cairo hanno portato l’attenzione internazionale sul fenomeno dei desaparecidos. Ne è convinto anche l’avvocato Hanish che spera, a seguito del caso, più attenzione da parte della stampa. E che questa attenzione si traduca in riconoscimento e responsabilità delle autorità coinvolte.
La tendenza da parte delle autorità egiziane, compreso il ministero dell’interno, è generalmente di negare che arresti o detenzioni illegali abbiano luogo, oppure rifiutare di aprire indagini sui casi di sparizione, o affermare di non saperne niente.
A sparire sono anche gli stessi avvocati difensori di persone sparite con la forza. Da due settimane non c’è traccia di Islam Salama, arrestato nella sua casa a Zifta, dopo che le forze di sicurezza hanno fatto irruzione in casa sua e rovistato tra le carte dell’avvocato.
«In quanto avvocati che difendono casi di sparizioni, siamo a rischio anche noi. A volte riceviamo avvertimenti di non partecipare a udienze o indagini», commenta Hanish. «Anch’io temo per me stesso».