Il Manifesto http://nena-news.it/ 24 gennaio 2016
Al Sisi, «il minore dei due mali» non onora la rivolta anti Mubarak di Michele Giorgio
25 Gennaio. Il presidente egiziano ignora la sollevazione popolare che cinque anni fa, in piazza Tahrir, provocò la caduta di Hosni Mubarak. In Egitto regna un sistema autoritario e liberticida appoggiato da una porzione significativa della popolazione. Tacciono gli intellettuali che agli islamisti cacciati dal golpe militare del 2013 preferiscono il pugno di ferro del presidente
Roma, 24 gennaio 2016, Nena News –
Sarebbe ingiusto attribuire agli intellettuali egiziani, come lo scrittore Alaa Aswani, responsabilità eccessive per il silenzio che oggi, tranne poche voci dissidenti, regna in Egitto — a cinque anni dalla rivolta popolare del 25 gennaio che fece cadere Hosni Mubarak — sul sistema a dir poco autoritario, dittatoriale secondo molti, imposto dal colpo di stato militare del 2013 e dal presidente Abdel Fattah al Sisi. Eppure pesano ancora, e tanto, le considerazioni che fece Aswani, storico oppositore di Mubarak, che alle presidenziali del 2012 aveva appoggiato il candidato progressista Hamdin Sabahi, a favore del governo militare. È il “minore dei due mali” spiegò lo scrittore per giustificare la rimozione dell’ex presidente e leader dei Fratelli Musulmani Mohamed Morsi (poi condannato a morte) e l’uccisione di centinaia, forse migliaia, di suoi sostenitori da parte delle forze di sicurezza in piazza Rabia al Adawiyya. Come Aswani troppi, anche a sinistra, scelsero «il minore dei due mali». Così oggi l’Egitto è una dittatura, mascherata da consultazioni elettorali o da attività parlamentari, peggiore di quella di Mubarak. Perchè l’ex presidente crollato cinque anni fa sotto lo slogan incessante “Ash-shab yurid isqat an-nizam” (Il popolo vuole far cadere il regime) scandito da due milioni di egiziani radunati in piazza Tahrir, era odiato da gran parte della sua gente. Al Sisi al contrario gode dell’appoggio aperto o non dichiarato di molti egiziani (e dei leader occidentali) che pur di tenere lontano dal potere gli islamisti hanno rinunciato a democrazia e rispetto dei diritti umani. Piazza Tahrir ieri non era il simbolo della rivolta che travolse Mubarak e che per qualche tempo spalancò le porte di un futuro migliore davanti al popolo egiziano. Piuttosto ha ben rappresentato l’Egitto di Abdel Fattah al Sisi, della scelta del “minore dei due mali”, del dominio del liberismo economico, della miseria ancora più diffusa. Le strade principali, i ponti sul Nilo, i mercati del Cairo e dell’Egitto sono rimasti presidiati da ingenti forze di intervento rapido di polizia ed esercito, anche ad Alessandria e in altre province, per prevenire raduni e manifestazioni per il quinto anniversario dell’inizio della rivolta anti-Mubarak. Lo scopo ufficiale sarebbe stato quello di impedire le proteste dei “terroristi”, ossia i Fratelli musulmani (messi al bando), come quelle dei due anni passati funestate da scontri con decine di morti. In realtà il divieto a manifestare di fatto è costante e vale per tutti, gli islamisti come i socialisti e tutti coloro che furono protagonisti del 25 gennaio 2011. In Egitto, scrive Amnesty International nel suo rapporto 2014–15, «il generale militare che aveva guidato la destituzione del primo presidente post-rivolta del paese nel 2013 ha assunto la presidenza dopo le elezioni e ha continuato un’ondata di repressione che ha preso di mira non soltanto i Fratelli musulmani e i loro alleati ma anche attivisti di molte altre affiliazioni politiche, oltre che operatori dell’informazione e attivisti dei diritti umani, con migliaia di persone incarcerate e centinaia di altre condannate a morte». Tra queste c’è Alaa Abd El Fatah, uno dei protagonisti della rivolta di Piazza Tahrir, condannato l’anno scorso a 5 anni di carcere per aver organizzato manifestazioni senza l’autorizzazione della polizia. Qualche giorno fa Mohamed Soltan, un egiziano con cittadinanza americana, ha raccontato alla tv al Jazeera i due anni trascorsi, tra torture e abusi, nelle prigioni di al Sisi. In nome della lotta al terrorismo, quello reale e sanguinoso dell’Isis, che dal Sinai minaccia l’Egitto, e quello (mai dimostrato) dei Fratelli Musulmani, ieri Abdel Fattah al Sisi, ha rivolto un appello agli egiziani a difendere e proteggere il Paese. Appello lanciato non per l’anniversario della rivolta. Per il presidente al Sisi il 25 gennaio è il “Giorno della Polizia”, proprio come lo era durante i 30 anni di potere di Hosni Mubarak. Per questo, durante la cerimonia all’Accademia di Polizia del Cairo, ha ricordato i 40 agenti uccisi un anno fa dai jihadisti. Ha deposto una corona di fiori al monumento dedicato ai martiri della polizia. «Li vendicheremo, non li dimenticheremo mai», ha detto. Neanche una parola per le centinaia di egiziani uccisi (dalla polizia) nel 2011 e per le altre centinaia di vittime del 2013. Il “male minore” onora solo i suoi morti.
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