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Giovedì, 19 maggio 2016

 

Metrojet, Egypt Air, Regeni. Gli assassini dell'Egitto, amici del giaguaro.

di Fulvio Grimaldi

 

Nella tattica del terrorismo aereo di Stato, scatenato contro i paesi islamici a partire dai missili travestiti da aerei dell’11 settembre, rilanciato contro la Russia dal MH17 malese abbattuto sul Donbass nel luglio 2014, l’Egitto è al momento il target privilegiato. E possiamo con tranquilla sicurezza dire, parafrasando Pasolini, che noi sappiamo, pur non avendo altre prove che l’identità, la pratica storica e gli interessi del colpevole. Chi, l’ottobre scorso, ha fatto esplodere sul Sinai il Metrojet russo in volo da Sharm el Sheik  con 224 persone a bordo ha colpito la Russia, antagonista globale e particolarmente vincente in Siria, insieme all’Egitto, dove un’insurrezione di 30 milioni di cittadini aveva eliminato dalla scena il Fratello Musulmano Mohamed Morsi e aveva sancito nel successivo voto la vittoria del generale Abdel Fatah Al Sisi. E qui colui che aveva collocato la bomba sull’aereo è stato catturato: un jihadista dell’Isis, vale a dire un miliziano del ramo terrorista della Fratellanza.

 

Questi aeroporti supersicuri con le voragini

Visto che Francia e Belgio appaino terreni di scorribande di terroristi con appiccicata l’etichetta Isis e vista la dimostrata apatia (inefficienza? complicità?) dimostrata dalle autorità di sorveglianza franco-belghe in occasione delle mega-operazioni di questi terroristi, viene naturale pensare che anche all’aeroporto Charles De Gaulle non si sia stati esasperatamente impegnati a impedire che qualche manina depositasse nell’Egypt Air in partenza per il Cairo l’ordigno che è stato visto bruciare nel cielo sopra il Mar Egeo. E stavolta, insieme all’Egitto sottratto al fidato Fratello Musulmano da Al Sisi, un tizio dalle mosse imprevedibili e spesso fuori binario,  detestato in tutto l’Uccidente, la botta è anche al paese da cui i 60 poveri passeggeri, sacrificati alla ragion imperiale, erano partiti. Discredito sommo per la Francia.

 

Magari ora si depisterà su qualche missile partito dal territorio di Tsipras, tanto amico di Israele, o sull’improvvisa mattana del pilota, come nel caso del Germanwings, schiantatosi nel maggio 2015 su una grossa esercitazione Nato in Francia che provava a vedere come si tirano giù aerei senza farsene accorgere. Ma l’ombra nera sul De Gaulle resterà e si aggiungerà a tutte quelle che, da Charlie Hebdo al Bataclan, hanno oscurato qualsiasi affidabilità anti-terrorista di Marianna. Però, in compenso, le hanno dato facoltà di imbrigliare nell’emergenza repressiva perpetua qualsiasi moto di insofferenza popolare. Calcolo non del tutto riuscito se si guarda alle settimane di ininterrotte battaglie in tutto il paese contro la Loi Travail (la chiamano con la loro lingua, mica, come noi burini, Jobs Act). Battaglie di centinaia di migliaia a cui noialtri, seviziati, affamati ma pacificati, nella nostra sdrucida sdraio guardiamo attoniti.

 

Fratelli Musulmani: turismo kaputt, Egitto kaputt

Per inciso, ma a illustrare quale possano essere le reazioni di chi progettava una bella vacanza sul Nilo (del resto anch’esso illuminato da un susseguirsi pirotecnico in tutto il paese, dalla foce alla diga di Assuan, di esplosioni a firma Isis, ma a paternità FM), riferisco del prolungato rizzarsi dei peli sulle mie braccia al sentire dell’Egypt Air disintegrato e al concomitante ricordo che, solo pochi giorni prima, con la stessa compagnia  avevamo fatto andata e ritorno dall’Eritrea. 

E  così siamo arrivati all’immancabilmene rivelatore “cui prodest”.

Ma prima di esplicitarlo, vediamo come alla tattica dell’intervento su quello che è l’inevitabile mezzo di trasporto di quasi tutti coloro che si vogliono recare in Egitto (a meno che non siano israeliani, sudanesi, libici, parapendisti del Monte Sinai, o carovanieri del Sahel), si affianchi la “continuazione del terrorismo di Stato con altri mezzi”. Il missile lanciato contro l’Egitto si chiamava Giulio Regeni. Sprovveduto frequentatore di ambienti dello spionaggio e della provocazione angloamericana, non si è reso conto fino a che punto quegli ambienti ti possono trasformare da amico del giaguaro in utile idiota, utilizzandoti nel primo ruolo e sacrificandoti nel secondo. E così Regeni è diventato il trampolino da cui far piombare sull’Egitto e sul suo governo un uragano di anatemi tale da renderlo definitivamente infrequentabile.

 

Metrojet russo, Egypt Air, Regeni, più un paesaggio egiziano percosso da folgori e schianti fatti in casa da coloro cui è stato detto che, più sconquassano e massacrano, più li si favorirà a tornare al potere nell’ultimo Stato nazionale arabo (insieme all’Algeria) non frantumato, o ridotto all’obbedienza neocolonialista e neoliberista. Risultato: un paria nell’immaginario occidentale, il turismo che dal 20% delle entrate scende a zero e sprofonda il paese in una catastrofe economico-sociale da cui si calcola potrà sognare di risollevarsi unicamente vendendosi.

 

Chi di spione ferisce, di spione perisce

Con l’abbattimento dell’aereo russo s’è già persa una bella quota di quel 20%. Extra bonus, uomo avvisato mezzo salvato, con riferimento a Putin e Al Sisi che al Cairo avevano firmato ampi accordi commerciali, militari e di investimenti. Della bomba a grappolo Regeni  tutti si ostinano a ignorare il torbido romanzo di formazione negli Usa dell’intelligence e l’approdo alla società di spionaggio Oxford Analytica, diretta da tre specialisti del terrorismo su vasta scala: Mc Coll, già capo dei servizi britannici, David Young, ex-galeotto per il complotto Watergate e John Negroponte, sterminatore di civili in Centroamerica e Iraq con i suoi squadroni della morte. Le ricadute dell’ordigno umano sono state un’altra fetta di turismo andata e, soprattutto, un gigantesco business Italia-Eni-Egitto, attorno al più grande giacimento di gas del Mediterraneo, messo a repentaglio, forse definitivamente.

 

Gas all’Italia? Col piffero. Alla Francia? Rien ne va plus

Diversamente dall’orrido TAP (Trans Adriatic Pipeline) imposto da Shell, Obama e Renzi, che devasterà le coste del Salento e degraderà la Puglia in hub energetico europeo, ma che parte dall’amerikano e filo-Erdogan Azerbaijan (ultimamente meritevole anche per l’aggressione al filo-russo Nagorno), quel gas egiziano, insieme all’altro arabo dall’Algeria, pure malvisto, ci avrebbe dato un sacco di soddisfazioni energetiche senza deturpare nulla, ma anche senza mano Usa sul rubinetto.

Dopo aver spento la musica al valzer Egitto-Italia, era arrivato in sala da ballo il castigamatti dell’Africa francofona, il restauratore della mai dimenticata FranceAfrique in Costa d’Avorio, Mali, Niger, Ciad, RCA e giù giù fino al Gabon e oltre. Ma se al clown da circo dell’orrore, Hollande, il diversivo neocolonialista dai disastri nella metropoli poteva essere consentito nella FranceAfrique (dopottutto si muoveva anche nel nome della Nato), il suo precipitarsi in Egitto a concordare con Al Sisi la sostituzione del partner francese a quello italiano costituiva invasione di campo. Guarda un po’ se gli anglosassoni, inventori e poi padrini dei Fratelli Musulmani e dei loro apprendisti stregoni Daish, si devono far fottere da questo parvenue che viene a ballare la sua Vie en rose al Cairo! Che canti piuttosto, con l’Egypt Air precipitato, Le feuilles mortes.

 

Chi è Mohammed Morsi

Sullo sfondo della presidenza Al Sisi sono da osservarsi alcuni dati. La stragrande maggioranza degli egiziani è laica. I militari sono laici, per quanto i Fratelli Musulmani si siano sforzati di infiltrarli. Il presidente Morsi, quello della Sharìa, del carcere alle opposizioni, delle fucilate agli scioperanti, delle chiese cristiane incendiate, è stato votato dal 17% delll’elettorato. Poi 33 milioni di egiziani firmarono la richiesta delle sue dimissioni. Parlare di colpo di Stato nella sua rimozione appare improprio. All’occhio degli egiziani il conflitto è tra nazionalisti e islamisti. Quest’ultimi da sempre favoriti dall’Occidente neocolonialista, anche perché servivano a rendere inoffensiva ì’ideologia panaraba e degli Stati nazionali, mentre si ritrovavano nella sfera collaborazionista dei sultanati del Golfo.

 

La rivoluzione popolare del 2011, presto in buona misura infiltrata e manipolata dai soliti esperti di regime change statunitensi.perchè fingesse un superamento della dittatura di Mubaraq attraverso un regime di musulmani “moderati” (secondo gli stessi media Usa, alle varie Ong dei “diritti umani”, partner privilegiati del “manifesto” per le sue valutazioni delle cose, arrivarono 48 milioni di dollari perché sostenessero il Fratello Morsi). Si ricorda tale Youssef al Qaradawi, predicatore principe della Fratellanza, che in piazza Tahrir spiegava che non contavano tanti i diritti dei palestinesi, quanto la lotta all’abominio omosessuale. Alle presidenziali votò il 35% degli aventi diritto e solo il 17% si espresse per Morsi. Vibranti furono le congratulazioni di Washington.

 

L’intera amministrazione dello Stato fu occupata dai FM. Gli assassini del presidente Sadat furono ricevuti da Morsi e messi a capo del Consiglio dei Diritti Umani. L’autore del famoso massacro di Luxor fu nominato governatore di quella provincia. Seguirono gli arresti degli oppositori laici di Mubaraq e i pogrom anticristiani. Tutte le maggiori imprese dello Stato vennero privatizzate e fu annunciata la possibile vendita del Canale di Suez al Qatar, una specie di Vaticano dei FM, sponsor dell’Isis. Morsi inviò una delegazione ufficial dal capo di Daish Al Baghdadi e ordinò alle Forze Armate di essere pronti ad attaccare la Siria, cosa che suscitò vivissime reazioni contrarie tra i militari. Morsi rimediò inviando “volontari” a supporto dei jihadisti. Questi e altri provvedimenti innescarono quella che sarebbe stata la più grande manifestazione di massa contro un presidente egiziano. I FM reagirono con le armi e per un mese si succedettero scontri sanguinosi. Il Qatar e la Turchia di Erdogan furono i primi a denunciare il “colpo di Stato”. La guerra civile fu evitata grazie alle elezioni, boicottate dagli islamisti e in cui Al Sisi riportò il 96% dei voti. Da quel momento inizia la campagna degli attentati terroristici. I media occidentali parlano di arresti e condanne di oppositori. Quasi sempre si tratta di FM responsabili degli attentati con centinaia di vittime.

 

Chi è Abdel Fatah Al Sisi

A dispetto del terrorismo islamista, con Al Sisi l’Egitto conosce una certa pace sociale. Vengono liberati prigionieri politici e ricostruite le chiese copte bruciate. L’economia è a pezzi, l’ostilità dell’Occidente e del Qatar provoca isolamento.Tanto più che il Cairo si propone come autorevole mediatore nel conflitto libico e come forza effettivamente capace di debellare, con il legittimo governo di Tobruk (che aveva vinto le elezioni ed era aperto ai gheddafiani) e il generale Haftar, i mercenari Isis spediti dalla Turchia, beneaccetti dai Fratelli di Tripoli e dai tagliatori di teste di Misurata e finanziati dal Qatar. Solito pretesto per l’intervento Nato.

 

Con l’aiuto della Cina, imperdonabile, l’Egitto raddoppia la capacità del Canale di Suez e quindi le entrare che ne derivano. Dovrebbe essere un segmento cruciale della nuova  temutissima Via della Seta e dell’interscambio tra Africa e Cina. Nell’estate del 2015 l’ENI rivela la scoperta dell’enorme giacimento di gas e di altri idrocarburi nell’area marina di Zohr, che permetterebbe al Cairo di ricavarne l’equivalente di 5,5 miliardi di barili di petrolio. Contemporaneamente dilaga il terrorismo dei FM, vengono uccisi il Procuratore Generale della Repubblica e altri alti funzionari e magistrati. Ne segue un’ondata di arresti che fanno gridare in Occidente alla brutale repressione del nuovo Pinochet.

 

Mohammed Hassanein Heikal, il più brillante e cosmopolita giornalista egiziano, già portavoce di Nasser e direttore del primo quotidiano egiziano,  Al Ahram, sollecita Al Sisi di denunciare la macelleria saudita nello Yemen (e difatti le truppe egiziane verranno ritirate), di sostenere la resistenza del presidente siriano Assad e di cercare un riavvicinamento con l’Iran. A 87 anni, Heikal, che anni fa avevo intervistato per il Nouvel Observateur scoprendovi uno dei più colti e appassionati intellettuali arabi incontrati in mezzo secolo, muore. Muore  prima che Al Sisi possa portare avanti quel discorso.

 

Nella notte dall’11 al 12 aprile si viene a sapere che l’Egitto ha ceduto due isolotti nel Mar Rosso all’Arabia Saudita. Nelle stesse ore re Salman è al Cairo e annuncia investimenti per 25 miliardi di dollari. Sulle due isole, Tiran e Sanafir,  si dovrebbe posare il grande ponte che, nei progetti sauditi ed egiziani, unirebbe le due coste del Golfo di Aqaba. Intanto gli Usa offrono rinnovate forniture d’armi. Se non si riesce a far tornare Morsi, meglio provare a non lasciare campo aperto a russi, italiani, francesi, cinesi. La cessione delle isole provoca una serie di manifestazioni di protesta dei nazionalisti egiziani che si chiedono dove Al Sisi stia andando, tra Russia, Cina, Usa, Libia e Arabia Saudita. La risposta sta nelle condizioni economiche in cui l’Egitto è stato ridotto da una guerra economica, terroristica e mediatica, partita appena il nuovo presidente è arrivato al potere e si è dichiarato ispirato da Nasser. La sua pare la mossa della disperazione prima che la società egiziana precipiti nel baratro e della nazione araba non rimangano che brandelli, spettri alitanti tra le rovine di Aleppo, nella polvere dell’ultima bomba Isis a Baghdad, tra le immagini di Gheddafi sepolte in cassetti segreti di case che non dimenticano.

 

“Il manifesto”, mentre gli altri megafoni della demonizzazione dell’Egitto e del suo “Pinochet” si stavano acquietando, anche di fronte all’evidenza del carattere di schiumogeno che le accuse contro gli inquirenti sul caso Regeni stavano rivelando e l’ambigua identità del giovanotto, rilevata da molta stampa estera, insisteva e accentuava il suo bombardamento di contumelie, congetture, illazioni, accuse senza fondamento. Personaggi da assegnare alle categorie degli utili idioti o degli amici del giaguaro, a seconda della percezione di ognuno, tra i quali un magistrato disertore e fallito politico come Ingroia, il compare di Sofri Manconi, vari dirittoumanisti di complemento, cantanti, nani e ballerine, invocavano sull’Egitto di Al Sisi i fulmini di Giove, Marte, Saturno, Urano, Diopadre, sanzioni, embargo, interventi ONU, magari, sotto sotto, bombe alla libica. Neanche uno di questa compagnia di giro cripto-Nato che si fosse chiesto cosa cazzo ci facesse Regeni con criminali come Young, Negroponte e McColl. Non è solo malafede. E’ complicità con chi usa altri mezzi per distruggere l’Egitto. Complicità, in ogni caso, con chi è comunque peggio di Al Sisi.

 


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19.05.2016

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