Una versione di questo articolo è apparsa inizialmente sul National di Abu Dhabi.

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31 agosto 2016

 

Israele e il codice a colori per i palestinesi

di Jonathan Cook

traduzione di Giuseppe Volpe

 

Lanciato questo mese, quando gran parte del mondo era in vacanza, il piano di Avigdor Lieberman per i palestinesi – che riorganizza l’occupazione israeliana – ha ricevuto minor attenzione del dovuto.

Ministro della difesa da maggio, Lieberman è stato preso dal prurito di accelerare l’annessione furtiva della West Bank da parte di Israele.

Il suo piano di “bastone e carota” ha tre componenti. Innanzitutto egli intende estromettere l’Autorità Palestinese (PA) a favore di una nuova dirigenza locale di “notabili” selezionati da Israele.

Preferendo “tagliar fuori gli intermediari”, nelle sue parole, egli aprirà un dialogo con palestinesi presunti più responsabili: uomini d’affari, accademici e sindaci.

Poi egli ha creato una nuova unità di comunicazione che parlerà in arabo direttamente ai palestinesi comuni scavalcando la PA nella West Bank e i suoi rivali di Hamas a Gaza.

Una campagna in rete – con uno stanziamento di 2,6 milioni di dollari – cercherà di convincerli delle buone intenzioni di Israele. I problemi di palestinesi, secondo Lieberman, derivano da una dirigenza nazionale corrotta e istigatrice, non dall’occupazione.

E, infine, il suo ministero della difesa produrrà una mappa della West Bank contrassegnando in verde e rosso le aree dove, rispettivamente, risiedono i palestinesi ”buoni” e quelli ”cattivi”.

La punizione collettiva sarà intensificata nelle città e nei paesi delle aree rosse, da dove sono stati lanciati gli attacchi palestinesi. Presumibilmente aumenteranno gli attacchi notturni e le demolizioni di case, mentre chiusure limiteranno ulteriormente la libertà di movimento.

I palestinesi delle aree verdi otterranno premi economici per loro buon comportamento. Saranno concessi loro permessi di lavoro in Israele e negli insediamenti e beneficeranno di progetti di sviluppo, compresa la creazione di aree industriali controllate da Israele.

Questa settimana il quotidiano Haaretz ha scritto che Lieberman è convinto che tutti [i problemi de]i palestinesi possano essere attribuiti al “regno di corruzione” di Abbas. In riunioni ha affermano che il leader palestinese “non vuole occuparsi dei problemi dell’economia e dell’occupazione. L’intero sistema di amministrazione è fallito là.”

Suona come le riflessioni di un dirigente coloniale del diciannovesimo secolo su come impedire che i nativi diventino irrequieti. Ahmed Majdalani, un consigliere di Mahmoud Abbas, ha dichiarato ai media israeliani che le nuove soluzioni presuppongono che i palestinesi siano “stupidi e privi di rispetto di sé stessi” e possano essere “comprati con gratificazioni economiche”.

L’obiettivo di più lungo termine di Lieberman consiste nel persuadere i palestinesi – e la comunità internazionale – che le loro aspirazioni all’autodeterminazione sono irrealizzabili e controproducenti.

Israele ha già tentato in passato questo approccio, come hanno segnalato dirigenti palestinesi. Decenni fa Israele cercò di gestire l’occupazione imponendo alla popolazione locale collaboratori palestinesi, chiamati “Comitati di paese”. Armati dall’esercito israeliano dovevano sradicare l’attivismo e il sostegno locale all’OLP.

Arrivati ai primi anni ’80 l’esperimento dovette essere abbandonato, poiché i palestinesi si rifiutarono di accettare il governo corrotto e opportunista dei comitati. Una rivolta, la prima intifada, seguì poco tempo dopo.

L’accettazione da parte di Israele della creazione della PA in base agli accordi di Oslo della metà degli anni ’90 fu, in parte, un’accettazione del fatto che i territori occupati dovevano avere un appaltatore della sicurezza più credibile, questa volta sotto la forma della dirigenza nazionale palestinese.

Qualsiasi cosa affermino Lieberman e altri, le dirigenze palestinesi nella West Bank e a Gaza sono le ultime da incolpare per la recente ondata di disordini palestinesi. Gli attacchi sono stati prevalentemente attuati da “cani sciolti”, non da gruppi organizzati. Molti hanno luogo a Gerusalemme, dove ogni attività politica è interdetta.

Abbas ha definito “sacro” il “coordinamento della sicurezza” con Israele, consapevole che la sua PA non sopravvivrà a lunga se non dimostrerà la sua utilità per Israele. I suoi servizi di sicurezza hanno represso la resistenza palestinese più efficacemente che non l’esercito israeliano.

Privo di alleati regionali e di una strategia credibile, persino Hamas ha scelto di star tranquillo dopo il lancio da parte di Israele dell’Operazione Margine Protettivo, la sua letale orgia di devastazione a Gaza nel 2014. Ha mantenuto sotto chiave la sua minuscola enclave costiera. I lanci di missili – uno dei pochi modi, anche se in larga misura simbolici, per contrastare Israele – sono quasi interamente cessati da molto.

Il silenzio da Gaza è stato brevemente disturbato una settimana fa da un razzo sparato da un piccolo gruppo collegato all’ISIL. Nonostante la sconfessione dell’attacco da parte di Hamas, Lieberman ha mostrato il suo nuovo grosso bastone bombardando siti governativi a Gaza in una dimostrazione di forza mai vista negli ultimi due anni.

La futilità di questo approccio – incolpare la dirigenza ufficiale per la frustrazione e il risentimento turbolenti di suoi formalmente amministrati – dovrebbe essere di per sé evidente.

I palestinesi comuni, non i dirigenti, subiscono l’interminabile espansione degli insediamenti e la relativa appropriazione delle loro terre agricole. I palestinesi comuni, non i loro leader, subiscono abusi quotidiani ai posti di controllo e in incursioni militari. Notizie del fine settimana suggeriscono che soldati hanno deliberatamente gambizzati giovani dimostranti per renderli permanentemente invalidi.

Retate, torture, tribunali militari che trovano sempre colpevole l’imputato; sono questi i riti di passaggio dei palestinesi nella West Bank. Per i palestinesi di Gaza si tratta di lento affamamento, mancanza di un tetto e piogge mortali di missili a caso.

Una strategia israeliana fallita decenni fa – prima persino che la PA esistesse – non avrà successo oggi. Campagne sui media sociali e misere elemosine non persuaderanno i palestinesi di essere niente di più di un problema umanitario.

Non accantoneranno i loro sogni di liberazione solo perché Lieberman li colora di rosso e di verde.

 


Jonathan Cook ha vinto il Premio Speciale Martha Gellhorn per il Giornalismo. I suoi libri più recenti sono: ““Israel and the Clash of Civilisations: Iraq, Iran and the Plan to Remake the Middle East” (Pluto Press) e “Disappearing Palestine: Israel’s Experiments in Human Despair” (Zed Books). Il suo sito web è www.jonathan-cook.net.

 


Da ZNetitaly – Lo spirito della resistenza è vivo

www.znetitaly.org

Fonte: https://zcomm.org/znetarticle/israel-to-colour-code-good-and-bad-palestinians/

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