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https://www.middleeastmonitor.com Tuesday, 05 January 2016
Anche se il 2016 sembra desolante, per Gaza c'è uno spiraglio di luce di Dr Daud Abdullah
Durante tutto il 2015 il valico di Rafah tra la Striscia di Gaza e l'Egitto è stato aperto per soli 21 giorni. Al 31 dicembre, le autorità egiziane hanno aperto il confine per consegnare il cadavere di un 28enne palestinese, mentalmente disturbato, Ishaq Khalil Hassan, che è stato colpito in piena vista delle telecamere dopo si era smarrito in acque egiziane mentre nuotava nel Mediterraneo. Mentre il conflitto guidato da Israele e coperto dall’Egitto, il blocco di Gaza entra nel suo decimo anno, ci sono poche speranze che il valico di Rafah venga aperto per un numero significativo di giorni nel 2016. In effetti, una combinazione di fattori interni ed esterni continueranno, probabilmente, a impedire una rapida fine dell'assedio. L'uccisione a sangue freddo di Hassan da parte dell'esercito egiziano a fine dicembre è indicativa di un irrigidimento degli atteggiamenti del Cairo nei confronti dei palestinesi di Gaza. Come risultato, molti altri pagheranno con la vita, sia a causa del passaggio negato attraverso Rafah per ottenere cure mediche essenziali, che tentando di contrabbandare esigenze di base attraverso i tunnel una volta descritti come l’ancora di salvezza di Gaza; o anche per cadere vittima di violenza di stato sia Israele o l’Egitto. Per ora, non vi è carenza di scuse per mantenere il valico di Rafah chiuso; la solita scusa data ai palestinesi è che la situazione di sicurezza nel nord del Sinai richiede la chiusura. Se è vero che vi è una rivolta mortale nel Sinai, che erode le risorse delle forze di sicurezza egiziane e ha bisogno di un massiccio sforzo politico per essere risoltae, ciò non giustifica la demonizzazione e l'uccisione extragiudiziale dei palestinesi. Non è passato inosservato, in ogni occasione che il valico è stato aperto l'anno scorso ci fu un grave incidente di sicurezza sul lato egiziano del confine. Coincidenza? Forse, o forse questi incidenti sono stati progettati in modo da fornire alle autorità egiziane una scusa per continuare a tenere Rafah chiusa. Probabilmente non lo sapremo mai. Il ruolo di Israele nel prolungare il calvario umanitario di Gaza, però, è molto più chiara. Subito dopo che Hamas è stato eletto per amministrare l'Autorità palestinese, nel gennaio del 2006, gli israeliani imposero sanzioni economiche contro l'enclave. A quel tempo, Dov Weisglass, consigliere del primo ministro israeliano Ehud Olmert, disse: "L'idea è quella di mettere i palestinesi a dieta, ma non di farli morire di fame." L'anno seguente, Israele dichiarò che Gaza era un’entità ostile e strinse ulteriormente il regime di sanzioni. Con l'adozione di questa designazione, il gabinetto israeliano aveva in effetti votato per mantenere Gaza sotto un permanente stato d'assedio. I ripetuti inviti da parte dei leader mondiali, tra cui il capo delle Nazioni Unite Ban Ki-moon, per porre fine al blocco sono tutti caduti nel vuoto. Nel 2010, il signor Ban ha condannato il blocco, dicendo che causava sofferenze inaccettabili. Oggi, le agenzie umanitarie internazionali hanno confermato che l'80 per cento degli abitanti di Gaza sono dipendenti per gli aiuti a causa della disoccupazione e della povertà creata dall'assedio israeliano. È ormai evidente che gli obiettivi del blocco sono andati ben oltre il vicino all’inedia proposto da Weisglass; le conseguenze del blocco sono state estese al fine di garantire che ai giovani palestinesi di Gaza sia negato il diritto fondamentale all'istruzione. Secondo il ministero palestinese della formazione, attualmente il blocco ostacola la costruzione di 55 scuole del territorio. Internamente, analisti politici e osservatori a Gaza non si aspettano che il 2016 possa essere migliore rispetto allo scorso anno. C'è una sensazione generale che senza una risoluzione delle differenze tra le due fazioni principali, Fatah e Hamas, le cose non miglioreranno. Forse il fattore più intrattabile in questo dossier è chi controlla il valico di Rafah. Questa settimana, una nuova formula è stata proposta dal Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina (FPLP), la Jihad islamica e altre fazioni per risolvere il problema. Essa suggerisce la nomina di un organo indipendente di tecnocrati per sorvegliare il confine con la riconferma dei funzionari di Fatah che vennero rimossi quando Hamas conquistò il territorio nel 2007. Allo stesso tempo, si prevede che i funzionari di Hamas in servizio dovrebbero mantenere le loro posizioni. Un accordo su questa formula tra Fatah e Hamas potrebbe tirare il tappeto da sotto i piedi del governo egiziano e facilitarlo nel riaprire il valico. Un altro raggio di speranza viene dalle trattative in corso tra Turchia e Israele, entrambi i quali hanno ora deciso di normalizzare le relazioni. Mentre Israele ha accettato alcune delle condizioni turche, come le scuse per l'attacco alla Freedom Flotilla nel 2010 e il risarcimento ai familiari delle vittime, una condizione che rimane in bilico è la domanda di Ankara per la fine del blocco di Gaza. Come ha fatto tante volte in passato, Israele ha accettato un alleggerimento delle restrizioni, ma, come in precedenza, ma non significa effettivamente nella in quanto non dettagliatamente definito. Se l'esperienza passata è tutta da seguire, vuol dire molto poco. Fonti vicine ai colloqui, però, hanno detto a MEMO che la Turchia ha proposto la costruzione di un porto marittimo a Gaza e si è offerta di amministrarlo. Finora Benjamin Netanyahu e il suo governo rimangono implacabilmente contrari a questo. Tuttavia, anche se sarà un boccone amaro da ingoiare, potrebbe in realtà essere la miglior soluzione per gli israeliani di salvare la faccia, accettando. Dopo tutto, i commentatori israeliani e i funzionari dei servizi segreti allo stesso modo si sono resi conto che, invece di indebolire Hamas il blocco ha rafforzato il movimento. Anche se è difficile immaginare di peggio di un anno come il 2015, Gaza è congelata in una spirale discendente dalla quale sarà difficile uscire. Tuttavia, questa proposta turca offre uno spiraglio di luce che, con la buona volontà, potrebbe portare il 2016 a non essere così male come l'anno scorso. Sono necessarie alcune fasi coraggiose per farlo funzionare, ma è possibile.
https://www.middleeastmonitor.com Tuesday, 05 January 2016
Although 2016 looks bleak for Gaza, there is a chink of light By Dr Daud Abdullah
Throughout the whole of 2015 the Rafah Crossing between the Gaza Strip and Egypt was open for just 21 days. On 31 December, the Egyptian authorities opened the border to deliver the corpse of a 28 year-old mentally-ill Palestinian, Ishaq Khalil Hassan, who was shot in full view of the cameras after he had strayed into Egyptian waters while swimming in the Mediterranean. As the Israeli-led — and Egyptian-backed — blockade of Gaza enters its tenth year, there is little hope that the Rafah Crossing will be opened for any meaningful number of days in 2016. In fact, a combination of domestic and external factors are likely to continue to prevent an early end to the siege. The cold-blooded killing of Hassan by the Egyptian army in late December was indicative of a hardening of Cairo’s attitudes toward the Palestinians in Gaza. As a result, many more will pay with their lives, either through being denied unrestricted passage through Rafah to get essential medical treatment, or by attempting to smuggle basic needs through the tunnels once described as Gaza’s “lifeline”; or by falling victim to Israeli or Egyptian state violence. For now, there is no shortage of excuses for keeping the Rafah Crossing closed; the usual excuse given to the Palestinians is that the security situation in north Sinai necessitates the closure. While it is true that there is a deadly insurgency in the Sinai which is taxing the resources of the Egyptian security forces and needs a massive political effort to resolve, that does not justify the demonisation and extrajudicial killing of Palestinians. It has not gone unnoticed that on every occasion that the crossing was open last year there was a major security incident on the Egyptian side of the border. Coincidence? Perhaps, or maybe such incidents were planned in order to provide the Egyptian authorities with an excuse to keep Rafah closed. We will probably never know. Israel’s role in prolonging Gaza’s humanitarian ordeal, however, is far more clear-cut. Soon after Hamas was elected to run the Palestinian Authority in January 2006 the Israelis imposed economic sanctions against the enclave. At the time, Dov Weisglass, an advisor to the then Israeli Prime Minister Ehud Olmert, said, “The idea is to put the Palestinians on a diet, but not to make them die of hunger.” The following year, Israel declared Gaza to be a “hostile entity” and tightened further its sanctions regime. By adopting this designation, the Israeli cabinet had in effect voted to keep Gaza under a permanent state of siege. Repeated calls by world leaders, including UN chief Ban Ki-moon, to end the blockade have all fallen on deaf ears. In 2010, Mr Ban condemned the blockade, saying that it caused "unacceptable sufferings." Today, international aid agencies have confirmed that 80 per cent of Gaza’s inhabitants are aid dependent because of unemployment and poverty created by the Israeli siege. It has now become abundantly clear that the aims of the blockade have gone well beyond the near-starvation proposed by Weisglass; it has been extended to ensure that young Palestinians in Gaza are even denied the basic right to an education. According to the Palestinian ministry of education, the blockade is currently impeding the building of 55 schools in the territory. Internally, political analysts and observers in Gaza don’t expect 2016 to be any better than last year. There is a general sense among most that without a resolution of the differences between the two main factions, Fatah and Hamas, things will not improve. Perhaps the most intractable factor in this dossier is who controls the Rafah Crossing. This week, a new formula has been proposed by the Popular Front for the Liberation of Palestine (PFLP), Islamic Jihad and other factions to resolve the issue. It suggests the appointment of an independent body of technocrats to oversee the border with the reappointment of those Fatah officials who were removed when Hamas took over the territory in 2007. At the same time, it stipulates that those officials employed by Hamas should retain their positions. An agreement on this formula between Fatah and Hamas could pull the rug from under the feet of the Egyptian government and nudge it to reopen the crossing. Another ray of hope comes from the ongoing talks between Turkey and Israel, both of whom have now decided to normalise relations. While Israel has agreed to some of the Turkish conditions —notably an apology for the Freedom Flotilla attack in 2010 and compensation for the victims’ families — one condition remains hanging in the balance: Ankara’s demand for an end to the blockade of Gaza. As it has done so many times in the past, Israel has agreed to an “easing” of the restrictions but, as before, it has not actually defined what that means. If past experience is anything to go by, it means very little. Sources close to the talks, though, have told MEMO that Turkey has proposed the construction of a sea port in Gaza and offered to administer it. So far Benjamin Netanyahu and his government remain implacably opposed to this. Nevertheless, although it will be a bitter pill to swallow it may actually be the best face-saving device for the Israelis to accept. After all, Israeli commentators and intelligence officials alike have realised that instead of weakening Hamas the blockade has strengthened the movement. While it is hard to imagine a year worse than 2015, Gaza is caught in a downward spiral from which it will be difficult to escape. However, this Turkish proposal provides a chink of light that, with goodwill, could lead to 2016 not being as bad as last year after all. Some courageous steps are needed to make it work, but it is possible. |