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29 novembre 2016

 

Né lacrime, né festa per la morte di Fidel

di Miguel Benasayag

 

E’ stato scritto davvero tutto sulla lunga vita e la morte annunciata da tempo di Fidel Castro. Un’infinità di calunnie e ogni possibile argomento utile ad alimentare il mito di un culto della personalità che ha pochi paragoni nell’intero Novecento. Gli innumerevoli nemici di Castro non avrebbero potuto perdonare la colossale portata storica della sua esistenza, l’aver osato ribellarsi e vincere, con un pugno di uomini, contro il tiranno Fulgencio Batista e, soprattutto, la capacità di resistere per oltre mezzo secolo al dominio planetario del capitalismo e all’ordine continentale imposto dagli Stati Uniti. La sua interminabile e assoluta gestione politica del potere è però segnata, molto in profondità e spesso fino alle estreme conseguenze, dai veleni della repressione sistematica del dissenso e di molte delle libertà essenziali del suo popolo. Fidel avrebbe potuto agire diversamente? E’ la domanda chiave dell’articolo che abbiamo scelto per segnalare il nostro punto di vista. Lo ha scritto Miguel Benasayag, militante guevarista argentino e severo critico di un’esistenza straordinaria che ha cambiato la storia dell’America Latina e del mondo

 

Le reazioni di fronte alla morte di Fidel sembrano una caricatura della Divina Commedia: le risate e le lacrime si manifestano quasi sullo stesso volto. Al di là di questa nuova dimostrazione di manicheismo, come sempre è accaduto nell’eccessivamente lungo regnare di Fidel Castro, in América Latina c’è anche un altro punto di vista sulla morte del “lider maximo”. Questa diversa prospettiva è quella che oggi si domanda: cosa può conservare la sinistra della storia e dell’azione di Fidel?

Per prima cosa, alcuni fatti.

Dobbiamo ricordare che la rivoluzione di Castro è stata la prima e l’unica a non essere schiacciata dagli Stati Uniti. Al giorno d’oggi abbiamo già dimenticato l’infinita lista di democrazie progressiste sacrificate per trent’anni dal governo degli Stati Uniti. Per schiacciarle, oltre agli “aiuti” degli Usa, si è potuto contare con ‘assistenza tecnica ed economica della Francia democratica, che ha inviato i suoi specialisti: i generali della repressione contro l’Algeria hanno formato la lotta contro le insurrezioni latinoamericane. La Escuela de las Américas, a Panama, è stata tra il 1960 e il 1970, il luogo di transito per gli ufficiali latinoamericani, quello dove venivano istruiti ai metodi della repressione e della guerra “contro i sovversivi”,

 

Non possiamo dimenticare, tuttavia, che i cinquant’anni dell’era di Castro sono stati anche quelli dell’autoritarismo, della repressione contro i dissidenti e gli omosessuali (sebbene la loro scala non sia paragonabile con quella tremenda della repressione sovietica). Sono stati anni di un egualitarismo salariale che ha dato vita alla socializzazione della povertà e al dominio della mediocrità burocratica in ogni quartiere, con i Comitati di Difesa della Rivoluzione che hanno organizzato la vita comunitaria attraverso un sistema di informatori e di vigilanza.

 

L’esperienza cubana, nella sua molteplicità, non può essere oggetto in nessun caso di un’analisi solo nei termini di un giudizio schematico: a favore o contro. Non potremmo comprendere la duplice faccia del castrismo e del suo status, senza considerare che, lungo tutto un secolo, in America Latina ci sono stati almeno venti tentativi democratici conclusi in massacri ogni volta più tragici per le persone che si erano azzardate ad affermare la propria sovranità di fronte alla disciplina e all’ordine nordamericano.

 

Si può dire adesso che ci sarebbe stata un’alternativa possibile?

Sarebbe stato possibile spodestare la dittatura di Batista realizzando un programma politico e sociale progressista senza l’autoritarismo di Fidel?

 

Si dice che nella sua famiglia le sue idee sarebbero state abbandonate e si pesta l’acqua nel mortaio sul fatto che Camilo Cienfuegos è morto “troppo presto”, o che il Che è stato abbandonato nella selva boliviana, o ancora, più di recente, che i comandanti Arnoldo Ochoa e Antonio de la Guardia – sopravvissuti dell’ala guevarista – siano stati fucilati nel 1989 per coprire gli accordi di Fidel con la mafia della cocaina, c’è perfino chi precisa che questi accordi furono presi per finanziare l’intervento in Angola e non per un arricchimento personale.

 

La domanda è un’altra: le possibili vie alternative, quelle che avrebbero evitato l’autoritarismo, avrebbero evitato anche la destabilizzazione e la repressione degli Stati Uniti? Sono un guevarista, molto critico rispetto al regime di Castro, e la mia risposta è: ne dubito…

 

Oggi il contesto storico è cambiato.

E’ difficile capire a fondo – cioè, al suo interno – un periodo storico chiuso per due decenni. Tuttavia, si può  capire che oggi non c’è bisogno né di lacrime né di feste. Ciò di cui abbiamo bisogno è pensare – nel nostro attuale contesto – come sia possibile lottare contro il nuovo ordine mondiale repressivo – quello che oggi, nella democrazia, condanna le persone e mette in pericolo la vita del nostro pianeta – senza cadere nello scontro sul modello “Cuba sì, Cuba no”, specialmente in Argentina, un paese dove quell’essere “a favore o contro” è moneta corrente in un pensiero stupido e pericoloso.

 

Oggi più che mai, dobbiamo afferrarci all’alternativa partorita in America Latina di assumere molteplici e conflittuali dinamiche. Continua ad essere questa la miglior maniera di evitare di cadere nella trappola di uno scontro fatale per le nostre democrazie.

 

Nell’ora della scomparsa di Fidel, dobbiamo pensare alle figure di due grandi “liberadores” dell’América Latina.

Dobbiamo pensare a Simon Bolivar, che Castro ammirava, il quale desiderava diventare imperatore.

E dobbiamo pensare a (José de) San Martín, che ammirava il Che, il quale scelse di andare in esilio perché “la spada del liberatore si trasforma nella spada del tiranno se egli non si ritira”.

 

Tra queste due pieghe della Storia, senza lacrime né feste gusanas (1), diciamo: ciao Fidel.

 

Nota

(1), A Cuba come “gusanos” vengono comunemente indicati i vermi o i controrivoluzionari, traditori della rivoluzione.

 

* Miguel Benasayag, filosofo e psicanalista argentino che vive e insegna da molti anni a Parigi, dove oggi si sta occupando soprattutto di problemi dell’infanzia e dell’adolescenza. In Argentina ha studiato medicina e fatto parte della guerriglia guevarista, poi, durante la dittatura, è stato arrestato tre volte e torturato. Grazie alla doppia nazionalità, la madre era un’ebrea francese esiliata nel 1939, dopo aver trascorso lunghi anni in carcere, venne liberato e mandato in Francia in seguito ad accordi seguiti all’assassinio di due religiosi transalpini da parte dei militari golpisti. Ha scritto questo saluto a Castro per Le Monde e il sito argentino La Vaca. La traduzione per Comune-info è di Marco Calabria

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