http://www.greenreport.it/ 6 aprile 2016
Risorse marine, all’Onu primi passi verso un nuovo trattato per proteggerle
Più aree marine protette per salvare gli oceani da sovrapesca e attività estrattive. Alleanza tra G77, Cina ed Ue. Contro Usa, Russia, Giappone, Corea del sud, Norvegia e Venezuela
E’ in corso il Preparatory Committee dell’Onu, che ha avviato i negoziati per la redazione di un nuovo trattato vincolate per la salvaguardia e l’utilizzo sostenibile e delle risorse biologiche degli oceani, quasi il 64% dei quali è fuori da ogni giurisdizione nazionale. In una intervista all’IPS, Elizabeth Wilson, direttrice per la politica internazionale degli oceani di The Pew Charitable Trusts, ha spiegato che «I negoziati vertono su 4 elementi: risorse genetiche marine (che comprendono la questione della condivisione dei benefici), misure come gli strumenti di gestione (che includono le aree marine protette), valutazione dell’impatto ambientale e costruzione di capacità e trasferimento di tecnologia marina. il Preparatory Committee dell’Onu, creato dall’Assemblea generale, ha cominciato la sua prima sessione il 28 marzo che si concluderà l’8 aprile. E’ l’inizio di un processo che continuerà con più riunioni nel 2017». Nel 2018 l’Assemblea generale dell’Onu deciderà l’organizzazione di una conferenza intergovernativa per concretizzare il trattato. Quindi prenderà il via un processo che richiederà diversi anni e che dovrebbe permettere di stabilire nuove protezioni per le acque internazionali. Secondo la Wilson «Questa serie di riunioni può portare alla creazione di alcune nuove importanti disposizioni per proteggere gli oceani entro una generazione. I Paesi hanno la possibilità di unirsi per colmare le lacune in materia di gestione dell’alto mare e dimostrare il loro impegno per la salvaguardia marina oltre le frontiere». L’ambasciatore Palitha Kohona, co-presidente dell’ UN Ad Hoc Committee on Biological Diversity Beyond National Jurisdiction (BDBNJ), ha detto che «E’ necessario che il Preparatory Committee formuli raccomandazioni su uno strumento di implementazione nell’ambito della Convenzione sul diritto del mare». Inoltre è previsto che l’Assemblea generale convochi una conferenza intergovernativa durante la sua 72esima sessione. Per la maggior parte dei Paesi si tratta di problemi urgenti, in particolare per il Gruppo dei 77 (G-77), la più grande coalizione dei Paesi in via di sviluppo, ma anche per la Cina e l’Unione europea, quindi il ea (UE), quindi il il Preparatory Committee sarà sotto forte pressione perché faccia il suo lavoro nel tempo previsto. Ma Kohona, ex capo della Treaty Section Onu, invita ad essere realisti: «Alcune potenze come gli Stati uniti, la Russia, il Giappone, la Norvegia e la Corea del sud si sono mostrati riluttanti ad unirsi alla maggioranza dei Paesi durante i negoziati dl gruppo di lavoro. Inoltre, sono tra i pochi ad avere la capacità tecnologica per sfruttare le risorse delle profondità marine. Uno degli sviluppi interessanti a seguito delle discussioni degli ultimi 10 anni, soprattutto dopo Rio+ 20,nota come Conferenza delle Nazioni Unite sullo sviluppo sostenibile, del 2012 a Rio de Janeiro, è stata l’alleanza che è emersa tra G77, Cina e Unione europea. L’importanza per l’umanità di questo processo unico dell’Onu che creerà un meccanismo di regolamentazione trasparente per garantire il progresso economico e tecnologico con uguaglianza, è dimostrato dal fatto che il 90% della biomassa si trova negli oceani. C’è anche l’idea che alcuni ambienti oceanici dovrebbero essere aree protette al fine di garantire la conservazione delle risorse. Si ritiene che la vita abbia avuto origine nei primi oceani. Anche il nostro futuro può dipendere da loro». Per quanto riguarda la durata dei negoziati e il tempo per attuare il trattato finale, Kohona ricorda ce i negoziati sulla Law of the Sea hanno richiesto molto tempo. Per la Convenzione sul diritto del mare ci sono voluti più di 10 anni di negoziati, prima sotto la guida dell’ambasciatore dello Sri Lanka, Hamilton Shirley Amerasinghe, e poi con il singaporese Tommy Koh. All’attuale gruppo di lavoro sul trattato di alto mare, guidato dall’ambasciatore dello Sri Lanka presso le Nazioni Unite e dal consulente giuridico del ministero degli esteri olandese, ci sono voluti 9 anni per finire re il suo lavoro e ha pubblicato le sue raccomandazioni a 2015. Kohona spiega che «Membri chiave della comunità internazionale, tra i quali Stati uniti e Venezuela, non fanno parte della Law of the Sea Convention, anche se si ritiene che la maggioranza delle sue disposizioni facciano parte del diritto internazionale consuetudinario». Pew Charitable Trust dice che una serie di meccanismi di gestione sono responsabili della regolamentazione dello shipping, della pesca e dell’attività estrattive nelle aree comuni, anche se non esiste una struttura coesa per garantire che alcune zone offshore siano protette e messe al sicuro dalle attività umane. Il Preparatory Committee ha avviato il lavoro per colmare le lacune legali per quanto riguarda le acque internazionali e il nuovo trattato dovrebbe permettere anche di istituire riserve marine per proteggere definitivamente alcune aree di grande valore ambientale: «Senza riserve né aree marine protette, sarà virtualmente impossibile concretizzare la raccomandazione del World Parks Congress di proteggere il 30% dell’ambiente marino, o quanto meno di coprire il 10% (delle zone costiere e marine) per il quale si sono impegnati i Paesi nel quadro degli obiettivi dello sviluppo sostenibile dell’Onu». Infatti, uno dei 17 gli obiettivi dello obiettivi dello sviluppo sostenibile – approvati anche dall’Italia – si propone «Per il 2020, di conservare almeno il 10& delle zone costiere e marine, in conformità con le leggi nazionali e il diritto internazionale e sulla base delle migliori informazioni scientifiche disponibili».
|