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10 maggio 2016

 

L’inferno di Fort Mc Murray

di Maria Rita D’Orsogna

Fisica e docente all’Università statale della California

 

Fort Mc Murray, Canada. L’epicentro delle estrazioni di bitume del paese. La capitale delle Tar Sands dello stato dell’Alberta. La località con maggiore concentrazione di raffinerie e di impianti emissivi di CO2. Fort Mc Murray è vittima del suo stesso trivellare. La città è infatti sommersa da fiamme devastanti che hanno lasciato dietro ceneri, devastazione e paura, dovute principalmente ai cambiamenti climatici. È il cerchio che si chiude. In questo inizio di maggio 2016 a Fort Mc Murray le temperature sono più elevate del normale, la vegetazione è secca, non piove da tanto, e così il numero di incendi aumenta a dismisura. Sono 330 per quest’anno, il doppio del normale. In più, la stagione calda in cui aspettarsi incendi si è allungata di molto, dal 1 maggio di ogni anno, come era nel 1979, al 1 marzo, come è stato quest’anno.

Già nel 2015 ci fu una lunga e inaspettata siccità. Lo Stato dovette dichiarare lo stato di “emergenza agricola” perché mancava l’acqua per le irrigazioni. Anche l’inverno in Alberta è stato caldo come non mai, con basse precipitazioni nevose. Al tutto va ad aggiungersi la perturbazione El Nino che ha accentuato l’aridità. Ai primi di maggio la temperatura è stata anche di 33 gradi centigradi, mentre in media è di 14 gradi centigradi. Il professor Mike Flannigan, dell’Università dell’Alberta, conferma che in larga parte gli incendi sono dovuti ai cambiamenti climatici. “This is consistent with what we expect from human-caused climate change affecting our fire regime” ha detto.

E non sono falò di poca durata, è una settimana e più che la situazione è fuori controllo. La città di Fort McMurray ha quasi 90.000 abitanti, una superficie di circa 850 chilometri quadrati ed è stata interamente evacutata. La maggior parte dei residenti ha trovato riparo ad Edmonton, la capitale dello stato. Le fiamme si sono propagate in fretta e la gente non ha avuto il tempo di prepararsi per abbandonare la città. A un certo punto anche l’autostrada era avvolta da fiammate, giunte anche ad ottanta metri di altezza. Alcune persone sono state portate via in elicottero. Si teme adesso che le fiamme possano anche arrivare all’infrastruttura petrolifera alla periferita della città. Intanto sono andate distrutte 1.600 case. Interi quartieri sono stati rasi al suolo. La foresta arde. Il cielo è arancione, nero, grigio. Non più azzurro. L’aeroporto è stato messo in salvo solo grazie a una massiccia presenza di vigili del fuoco. Il fuoco ha divorato più di mille chilometri quadrati.

I residenti parlano di scene di guerra. Le autorità sanno però che senza l’aiuto di madre natura, le fiamme saranno inarrestabili: semplicemente l’estensione territoriale dell’incendio è troppo grande e i venti troppo forti. Le fiamme continuano a mangiare tutto ciò che trovano, anzi sono riuscite a saltare fiumi, strade e altre barriere. Se non arriva la pioggia ci sarà ben poco da fare: i centocinquanta elicotteri e velivoli usati finora sono assolutamente insufficienti. Non piove da due mesi a Fort Mc Murray. Secondo le autorità ci vorranno mesi per completamente estinguere il fuoco. Intanto la Nasa parla di un marzo 2016 di caldo record, dopo un 2014, un 2015 e un gennaio e febbraio 2016 da caldo record.

Che dire. È evidente che è tutto parte della stessa narrativa. Quello che succede a Fort Mc Murray è soltanto l’antipasto di quello che ci aspetta: eventi naturali che diventano estremi a causa dei cambiamenti climatici dovuti principalmente all’uso di fonti fossili. In questo caso sono incendi, ma sono stati e saranno uragani, allagamenti, piogge torrenziali, scioglimenti di ghiacciai. È la natura che segue le sue leggi. Noi le diamo le condizioni iniziali, lei fa quello che deve fare. È solo che qui è ironico perché questa devastazione accade proprio nel cuore del problema: nella culla del petrolio canadese.

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Qui altre immagini di Fort Mc Murray divorata dall’incendio.

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