Telegrammi della nonviolenza in cammino Numero 2530 del 12 novembre 2016
L'invenzione dei dieci comandamenti di Lazzaro Casusceri
Era di pomeriggio, con Facciallegra e Sarchiapone stavamo a riposarci nel mezzo della radura. La caccia non era andata male, perche' di animali non avevamo preso niente ma avevamo trovato un albero di frutti gustosissimi, e ne mangiammo a volonta'. Poi piantammo le lance in terra e ci sdraiammo a dormire. Ma dal momento che il sonno non veniva e di tornare subito al villaggio non ci andava, cominciammo a chiacchierare tra noi. "Io dico - comincio' Facciallegra - che a me certe ingiustizie non mi stanno bene, no, proprio non mi stanno bene. Se a caccia ci vado io, quello che trovo me lo pappo io". "Bravo", disse Sarchiapone. "E perche' lo devo dare pure ai vecchi e ai bambini del villaggio? Andassero a caccia pure loro se ne sono capaci". "Giusto", disse Sarchiapone. "E le donne? A lotta non valgono niente. E se uno non e' capace di difendere le sue cose, e' giusto che il piu' forte se le prenda, no?". "E' vero", disse quell'imbecille di Sarchiapone. Allora decisi che non potevo piu' stare zitto: "Ma che dici, Sarchiapo'? Se non ti aiutavamo io e Facciallegra ti levavano pure il vestito, l'altro giorno". "Che c'entra?, rispose, Siamo amici, e' normale che mi avete aiutato, io quante volte vi ho aiutato a voi?". "E allora che vuol dire che chi e' piu' forte si prende le cose di chi e' piu' debole? Basta che quello piu' debole ha qualche amico e diventa piu' forte di quello piu' forte". "E' cosi', e cosi' deve essere". "Bravo furbo, ma se quello piu' forte chiama gli amici suoi e diventa di nuovo piu' forte di quello piu' debole e degli amici suoi...", "Vuol dire che andra' come deve andare...", disse Sarchiapone che era gia' stanco di discutere. "E se quello piu' debole e gli amici suoi chiamano altri amici loro e ridiventano piu' forti...": "Basta, basta, che cosi' non finisce piu'", intervenne Facciallegra. "Appunto, dissi io, non finisce piu' e si e' visto l'altr'anno con la faccenda tra il villaggio della valletta puzzolente e quello di dietro la foresta, che cominciarono a litigare Magnallova e Tiradritto, che prima erano pure amici, e poi rissa dopo rissa e' finita che il villaggio dei puzzoni e' stato distrutto e quelli che ci stavano quasi tutti ammazzati, ma poi quelli presi come schiavi hanno dato fuoco al villaggio dietro al bosco, e pure al bosco, e adesso dei due villaggi non c'e' piu' neppure l'ombra e di chi ci abitava sono sopravvissuti si' e no venti o trenta, che poi li abbiamo trovati noi e prima li abbiamo portati nel recinto delle bestie del villaggio nostro e poi piano piano ce li siamo pappati tutti". "E' vero. Erano proprio degli imbecilli. E la carne era pure cattiva", concluse Sarchiapone. "Ma che c'entra?", disse Facciallegra. "Che c'entra che?", dissi io. "La storia che hai raccontato", disse lui. E subito Sarchiapone: "Gia', che c'entra?". E allora dovetti continuare, perche' Facciallegra e Sarchiapone sono i miei migliori amici e andiamo a caccia insieme da quando eravamo pischelli, ma fra tutti e due non capiscono un accidente. "C'entra, perche' quello che dici tu e' una fesseria, Faccialle'". "Come sarebbe? Perche' e' una fesseria quello che dico io? Sara' una fesseria quello che dici tu, signor saputello", replico'. "Sarebbe che tu apri bocca e gli dai fiato,e invece prima dovresti pensarci due volte". "Bravo, e mentre io ci penso due volte il cinghiale gia' e' scappato. Sei proprio un fesso, Posapia'". Posapiano era il mio nome, e me l'avevano messo perche' prima di fare le cose ci pensavo sempre, ma quando poi si trattava di agire ero svelto come la polvere, altro che posapiano. "Vi devo sempre spiegare ogni cosa", dissi paziente. E continuai: "Quando eravamo regazzini e a caccia non ci andavamo come abbiamo fatto a non morire di fame?". E Sarchiapone: "Ci pensavano i grandi a darci da mangiare". "Bravo, e adesso che grandi siamo noi chi ci deve pensare a portare da mangiare per i regazzini di adesso?". "Noi, e' naturale", disse Sarchiapone. "Bravo, e a quelli che quando erano grandi loro e ci davano da mangiare a noi che eravamo regazzini, e che adesso loro sono vecchi e non ce la fanno piu' a correre dietro ai cinghiali e a colpirli con la lancia, e noi adesso siamo grandi e un giorno diventeremo vecchi pure noi se non moriamo prima, ebbene, chi ci deve pensare adesso a far mangiare i vecchi che prima ci facevano mangiare a noi?". "Noi, noi, e' chiaro", concluse Sarchiapone. E allora io: "E allora?". E Sarchiapone: "E allora che?". "Come sarebbe allora che?". Si intromise Facciallegra: "Ho capito, io ho capito quello che dici, che chi e' grande deve andare a caccia per far mangiare pure i regazzini e i vecchi". "Mo' hai capito", dissi. "Avevo capito pure da prima", rispose. "E pure io", disse Sarchiapone. "E allora quello che dicevate prima era una fesseria", provai a concludere, ma figuriamoci. "Sei tu che dici le fesserie, disse Facciallegra, io dicevo delle donne". "Perche', le donne non ci vanno pure loro a caccia? Non le portano pure loro al villaggio le radici e la frutta e l'acqua? E oltre a fare tutto quello che fanno gli uomini fanno pure altre due cose che noi non facciamo". E Facciallegra: "Si', prendere in giro a me". Era vero che al villaggio tutti prendevano in giro Facciallegra, donne e uomini, perche' aveva una cicatrice sul viso che sembrava che ridesse sempre; se l'era fatta una volta che aveva fatto a botte con uno che aveva preso una pietra affilata e gli aveva fatto il lavoretto. Lui diceva che non gliene importava niente, ma quando lo prendevano in giro le donne rosicava eccome. "Quanto sei fesso", dissi io. E Sarchiapone: "Allora, visto che sei tanto intelligente, dillo tu quello che le donne fanno e che noi non sappiamo fare". "Fanno i figli, capoccione. E dopo li allattano pure. Tu li sai fare i figli? Li sai allattare?". Scoppiammo a ridere tutti e tre, siamo vecchi amici, e quando uno dice una cosa buffa o la soluzione di un indovinello ci scordiamo subito di ogni discordia. Siamo vecchi amici, tutti per uno e uno per tutti, ci chiamano i tre lancieri. "Vabbe', mi sa che e' ora che torniamo al villaggio, raccogliamo un po' di questi frutti pure per loro, via", disse dopo un po' Facciallegra. E aggunse: "Con tutto che non se li meritano". Non ce la faceva a non avere l'ultima parola. Raccogliemmo tutta la frutta che riuscivamo a portare e ci mettemmo in cammino. Ci eravamo allontanati parecchio dal villaggio, e c'era da camminare un bel po'. Avevamo fatto suppergiu' cento passi che vediamo una famiglia di cinghiali. Succede sempre cosi': finche' non hai ingombri e sei pronto a tirare la lancia non trovi neppure una serpe, appena ti trovi che hai dovuto tirare su il davanti del vestito e reggerlo con tutte e due le mani (e con una pure la lancia, che cosi' la tieni pure male) per portare la frutta, allora ti compare davanti ogni bendidio di bestie commestibili. Perdere tempo non si poteva. In un lampo tutti e tre lasciammo le cocche delle vesti, i frutti caddero in terra, ci mettemmo all'inseguimento dei cinghiali. Fu un inseguimento lungo, mannaggia a loro, e alla fine ci scapparono senza che fossimo riusciti neppure a tirargliela la lancia. Quando ci accorgemmo che era inutile continuare restammo un bel pezzo a riprendere fiato, poi lemme lemme tornammo dove avevamo lasciato la frutta. E poiche' le fregature non vengono mai da sole, il grosso della frutta non c'era piu', e quella che restava era stata schiacciata per bene cosicche' era diventata una poltiglia tutta impastata di terra, ormai irrecuperabile. E chi ci aveva fatto il servizietto aveva pure fatto, incidendo la corteccia di un albero, un disegno, insomma, avete capito che disegno, apposta per deriderci. E' naturale che non la prendemmo bene. E per fortuna che prima avevamo mangiato a piu' non posso e quindi la giornata non era stata un disastro totale. Discutemmo se era il caso di tornare all'albero dove avevamo trovato la frutta, ma si era fatto tardi e il cammino era ancora lungo e non volevamo che il buio ci trovasse ancora nel folto del bosco. E poi i frutti che era facile prendere li avevamo gia' colti, quei pochi che restavano sull'albero erano sui rami piu' alti, e si rischiava di cascare di sotto e farla pure noi, e coi nostri stessi corpi, la poltiglia. Bisognava tornare al villaggio e buonanotte. Riprendemmo a camminare di malumore. "Bisognerebbe stabilire delle regole, come quando si gioca a morra, che ci sono le regole del gioco altrimenti finisce sempre in rissa", disse Sarchiapone. "E bravo Sarchiapone, dissi io, t'e' venuta una bella idea". "Me ne vengono sempre, solo che non ve le dico". "Forse faresti meglio a cominciare a dirle". "Cosi' poi mi ci prendete in giro, eh?". "Se sono belle idee, no". "Allora senti questa, Posapia': si potrebbe fare la regola che non si ruba la frutta che uno ha posato per terra per correre dietro a un cinghiale". "E' una bella regola", dissi io. "E allora si potrebbe fare pure la regola che se tu tocchi la roba mia io t'ammazzo", disse Facciallegra. Ma io: "E' una regola pericolosa, perche' ci sono molti casi in cui non e' sicuro di chi sia la roba: per esempio puo' anche darsi che chi ha trovato la frutta nostra aveva pensato che l'avevamo buttata". E Facciallegra: "Allora doveva aspettare che tornavamo e chiedercelo se l'avevamo buttata": E io: "E se non tornavamo?". "Aspettava fino alla sera e poi se la pigliava lui", disse Sarchiapone. "E se noi tornavamo solo il giorno dopo?", dissi. "Ce la ridava, e finiva li'", concluse Facciallegra. "E se se l'era gia' pappata?". "Gli buchiamo la trippa con le lance". "Non mi pare che funziona, e poi si finisce come nella storia dei puzzoni e di quelli di dietro il bosco". Sarchiapone fece: "Fermi tutti, mi e' venuta un'altra idea". "Che idea?", chiedemmo insieme io e Facciallegra. E Sarchiapone: "Facciamo la regola che non si ammazzano le persone". E Facciallegra: "Ah si'? E come si fa a fare la guerra?". E Sarchiapone: "Smettiamo di fare la guerra". E io: "Se ci attaccano ci difendiamo, e' chiaro, ma questa e' legittima difesa". E Facciallegra: "Insomma sei d'accordo con questo scemo?". "Si', e' una bella idea". E lui: "Andiamo bene, ce ne sono altre di belle idee come questa?". E Sarchiapone: "Me ne e' venuta un'altra: che si deve portare da mangiare ai vecchi che non possono andare a caccia". Io: "Questa e' buona". E stavolta anche Facciallegra annui', poi disse: "Pero' bisogna farne poche di regole, altrimenti uno se le scorda". Sarchiapone: "Se ne potrebbe fare una sola che vale per sempre". Ma io: "Ah Sarchiapo', qui ne abbiamo dette gia' tre, come si fa a farne una sola?". Sarchiapone: "Allora facciamone cinque". "E perche' cinque?". "Perche' e' facile ricordarsele, le contiamo con le dita della mano, una regola il primo dito, una regola il secondo...". "E allora perche' non venti? Ne abbiamo venti di dita, cinque per mano e cinque per piede". "Si', ma i piedi sono distanti e puzzano pure", fece Sarchiapone. Allora io: "Facciamone dieci quante le dita delle mani e non se ne parla piu'". Facciallegra disse: "Ha ragione Posapiano, una volta tanto". Sarchiapone disse: "E' andata. Adesso pensiamo alle altre sette regole". Non ce lo immaginavamo mica che stavamo cominciando la storia della civilta'. |