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11 novembre 2016

 

Il motore della vita era l’amore. Che vita sarà senza Leonard Cohen

di Checchino Antonini

 

Morto il poeta canadese Leonard Cohen. Aveva 82 anni. Con la sua voce baritonale cantava di amore e odio, estasi e depressione.

 

«A nessuno è concesso di padroneggiare i movimenti del cuore. Ci è dato solo di soffrirli. Qualcuno ogni tanto prova a trasformarli in qualcosa che altri chiamano arte». Così aveva detto ventitre anni fa e poche ore fa Leonard Cohen è morto. Aveva 82 anni, nell’annuncio non viene rivelata la causa nè il luogo della morte del poeta canadese. Nei prossimi giorni si terrà un ricordo pubblico a Los Angeles.

Mi mancano le parole per un articolo di questo genere così decido di “consultare” Daniela Amenta, giornalista (anche) di musica e trovo solo una foto sul suo profilo fb: un uccello sul filo, like a bird on the wire…

In giorni come questo, siamo un impasto di tristezza e versi spezzettati. And all the ladies go moist, and the judge has no choice,

a singer must die for the lie in his voice. E tutte le signore si inumidiscono/ E il giudice non ha scelta:/ Un cantante deve morire/ Per la menzogna della sua voce (A singer must die). 

«Beh, Marianne, è venuto il momento in cui siamo davvero così vecchi e i nostri corpi sono a pezzi e penso che ti seguirò molto presto. Ecco, io sono così vicino, dietro di te, che se stendi la tua mano, penso che puoi toccare la mia…». Lo aveva scritto nella struggente lettera d’addio a Marianne Ihlen che Cohen spesso ha definito la sua “musa”. E’ proprio lei ad aver ispirato So long Marianne, pezzo del ’67, fra i più dolci dell’artista candadese ed è morta di leucemia il 29 luglio in Norvegia, all’età di 81 anni.

La giustizia sociale spesso si presenta come tema fondamentale nel suo lavoro, soprattutto nell’ultimo periodo. In Democracy, lamenta, “le guerre contro il disordine / … le sirene il giorno e la notte / … gli incendi dei senzatetto / … le ceneri dei gay”, e conclude che gli Usa in realtà non sono una democrazia. Ha osservato (in Tower of Song) che, “i ricchi hanno i loro canali nelle camere da letto dei poveri”. In The Future prevede un futuro oscuro per il mondo, ma getta una speranza: “Ho visto il luogo e le nazioni in autunno / … / Ma l’amore è l’unico motore di sopravvivenza“.

Il cronista dell’Ansa non trova di meglio che attaccare il pezzo citando Monica Lewinsky, la stagista del Sexgate, che aveva vaticinato per lui, dopo Bob Dylan, il prossimo premio Nobel per la letteratura. «Lui è il Maestro. Tutti noi siamo partiti da lì», aveva spiegato nel ’92, Fabrizio De Andrè. Fabrizio De André ne tradurrà alcune canzoni, conservando sempre la musica originale: dapprima, nel 1972, Suzanne (di cui viene mantenuto il titolo) e Joan of Arc (Giovanna d’Arco); più avanti, nel 1975, Seems so long ago, Nancy (soltanto Nancy nella versione italiana), forse la più deandreiana delle canzoni di Leonard Cohen. Una quarta e ultima traduzione di Fabrizio De André da Leonard Cohen sarà quella, in collaborazione con Sergio Bardotti, di Famous blue raincoat (Famosa volpe azzurra), affidata alla voce di Ornella Vanoni nel 1979.

Ci sono molti omaggi a Leonard Cohen anche nell’opera di De Gregori – che già nomina in modo esplicito il cantautore canadese nel brano In mezzo alla città, scritto in collaborazione con Antonello Venditti e contenuto nel loro album d’esordio Theorius Campus del 1972.  Quando si esibiva al Folkstudio in compagnia di Giorgio Lo Cascio, De Gregori eseguiva alcune traduzioni di brani di Leonard Cohen e qualcosa è rimasto nei bootleg e circola su internet. Nel live registrato al Folkstudio il 24 gennaio 1970, oltre alle più celebri Suzanne (cantata da Giorgio Lo Cascio) e So long, Marianne (A presto Marianne) compare anche una traduzione di Tonight will be fine (Un letto come un altro). Sul finire degli anni Novanta Francesco De Gregori tradurrà poi con il titolo Il futuro la canzone The future, pubblicata da Leonard Cohen nel 1992, ma verrà incisa dall’amico e collaboratore Mimmo Locasciulli. Pure il fratello di De Gregori, Luigi (‘Luigi Grechi’ con il cognome della madre), alla fine degli anni Settanta ha tradotto e inciso una canzone di Leonard Cohen: One of us cannot be wrong (La regola d’oro).

Ma nella discografia ufficiale De Gregori propone soltanto allusioni a Leonard Cohen: un nome, o un verso, un concetto o un oggetto «attraverso un procedimento di mellificatio che smembra la fonte e poi la esibisce incastonata come gemma preziosa a chi sappia riconoscerla», scrive Paolo Divizia. Come nell’album Alice non lo sa (1973), ricco anche di riferimenti letterari ad autori del Novecento, quali Sbarbaro, Saba, Pavese, Calvino: «ma Suzanne mi dà la mano come prima»; «ma Suzanne io non l’ho dimenticata», Marianna e Suzannè alludono alle protagoniste di So long, Marianne e Suzanne (in cui tra l’altro un verso recita «Now Suzanne takes your hand»). Altri elementi in comune con So long, Marianne sono la presenza di una finestra e la lettura del futuro, anche se con modalità differenti («I’d like to try to read your palm. / I used to think I was some kind of Gypsy boy / before I let you take me home» in Cohen; «chi ha guardato le mie carte / sa che forse la mia vita è già decisa» in De Gregori). Una Marianna «cresciuta in fretta / in un’estate di malumore» compare anche nell’inedito De Gregori era morto. Il «telefono staccato» di Irene che sta per gettarsi dal quarto piano è l’«open telephone» di Nancy, che nella versione originale sta per spararsi (mentre nella versione italiana di Fabrizio De André – che compare in Volume 8, album a cui collabora parzialmente anche Francesco De Gregori – Nancy, il cui telefono è inspiegabilmente «rotto», «cercò dal terzo piano la sua serenità»).

«Con la sua voce baritonale cantava di amore e odio, estasi e depressione», ha ricordato la rivista Rolling Stone. Uno dei pochi della sua generazione, Cohen aveva continuato ad avere successo negli anni Ottanta e il suo ultimo album, You Want It Darker, era uscito a fine ottobre. Cohen cantava anche di religione, politica e guerra: pur non avendo mai abbandonato l’ebraismo e il rituale di osservare il sabato, il musicista aveva attribuito al buddismo un ruolo nel tenere a bada gli episodi di depressione che lo avevano afflitto fin da ragazzo. Oltre 2.000 cover delle sue canzoni, tra cui la più celebre Halleluja e poi Suzanne e Bird on a Wire, sono state registrate da artisti come Judy Collins and Tim Hardin e grandi voci del rock, pop, country, rhythm and blues, tra cui U2, Elton John, Sting, Trisha Yearwood e Aretha Franklin. «Ragazzi. Ascoltate Going Home appena avete un secondo» , ha chiesto su Twitter il cantante Ben Folds. Omaggi sono arrivati subito da altri canadesi, l’attore Kiefer Sutherland e il regista Ron Howards. Nato nel Quebec, Cohen aveva imparato da ragazzino a suonare la chitarra e formato una piccola band. Leggere Federico Garcia Lorca lo aveva avvicinato alla poesia.

«E’ stato Lorca a commettere il terribile crimine contro natura, spingendomi verso la letteratura. Avevo quindici anni quando mi accostai alla sua opera. La prima poesia che lessi fu:

Sotto l’arco di Elvira/ Voglio vederti passare/ Per sentire le tue cosce/ E mettermi a piangere

Quella frase distrusse la mia vita. Compresi che la mia esistenza sarebbe stata uno sforzo continuo per scrivere, un giorno una frase come quella».

Finita l’università a McGill, Cohen si era trasferito nell’isola greca di Idra dove aveva comprato una casa per una manciata di dollari lasciatagli dal padre che era morto quando lui aveva nove anni. Lì aveva pubblicato la sua prime raccolte di poesie, Flowers for Hitler (1964) e i romanzi The Favourite Game (1963) e Beautiful Losers (1966). Una improbabile pop star, Cohen aveva 33 anni quando uscì il suo primo disco nel 1967. «La sua immagine ascetica era in totale controtendenza con gli eccessi dionisaci associati con il rock and roll», ha scritto il New York Times che cita anche la definizione che gli fu affibbiata di «maestro della disperazione erotica».

Cohen era nato il 21 settembre 1934 a Westmount, nel Quebec. Aveva imparato a suonare la chitarra da ragazzo e aveva formato un gruppo folk, i Buckskin Boys. Presto ispirato da Federico Garcia Lorca si era rivolto alla poesia. Frustrato dalle scarse vendite e poi dal lavoro in una fabbrica di vestiti a Montreal, visitò New York nel 1966 e si immerse nell’ambiente del folk-rock della città. Conobbe la cantante folk Judy Collins, che in quello stesso anno inserì due canzoni di Cohen nel suo album «In my life». Una delle due era il primo celeberrimo successo di Cohen, Suzanne. Le sue frequentazioni nella Grande Mela comprendevano all’epoca Andy Warhol e i Velvet Underground con la loro musa, la mitica cantante tedesca Nico, le cui atmosfere sul filo della depressione ripropose nel suo album del 1967 «Songs of Leonard Cohen».

Con Marianne, si erano incontrati sull’isola greca di Hydra nel corso del 1960, e divennero amanti e rimasero insieme per i sette anni successivi. Recita la canzone: “Ci incontrammo quando eravamo abbastanza giovani immersi nel parco fiorito color lilla ti aggrappavi a me come fossi un crocifisso mentre ci inginocchiavamo nella notte”. «Addio vecchia amica, amore infinito, ci si vede lungo la strada», aveva promesso Cohen.

Ascoltando le canzoni di Leonard Cohen, ci si sente come se stesse cantando proprio per voi.

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