Fonte: www.theguardian.com

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25 ottobre 2016

 

Esiste una cosa chiamata società

di George Monbiot

Traduzione di Eleonora Fornara

 

Perché l’epidemia di disturbi mentali dovrebbe sorprenderci, in un mondo ormai lacerato?

 

Quale peggiore messa in stato d’accusa del Sistema potrebbe esserci di un’epidemia di malattie mentali? Un’ondata di disturbi quali ansia, stress, depressione, sociofobia, disordini alimentari, autolesionismo e solitudine  sta colpendo le persone di tutto il mondoLe ultime, catastrofiche cifre sulla salute mentale dei bambini in Inghilterra riflettono una crisi globale.

Esistono molte ragioni secondarie di questa emergenza, ma mi sembra che la causa scatenante sia dovunque la stessa. Gli esseri umani, i mammiferi ultra-sociali, il cui cervello è programmato per rispondere ad altre persone, sono sempre più distanti gli uni dagli altri. Il cambiamento economico e tecnologico giocano un ruolo importante, ma lo stesso fa l’ideologia. Nonostante il nostro benessere sia legato inestricabilmente alle vite degli altri, riceviamo messaggi da ogni parte che ci dicono che avremo successo grazie al perseguimento competitivo dell’interesse personale e all’individualismo estremo.

In Gran Bretagna, uomini che hanno speso la loro intera vita in comunità – a scuola, al college, al pub, in Parlamento – ci dicono di imparare a cavarcela con le nostre forze. Il sistema scolastico diventa di anno in anno più brutalmente competitivo. Il mercato del lavoro è una lotta all’ultimo sangue contro una folla di altre persone disperate, che rincorrono posti di lavoro sempre più limitati. Gli studiosi contemporanei della povertà attribuiscono la colpa individuale alle circostanze economiche. Le  incessanti competizioni televisive nutrono ambizioni impossibili, mentre le reali opportunità si restringono.

Il consumismo riempie il vuoto sociale. Ma, lungi dal curare la piaga dell’isolamento, intensifica il confronto sociale fino al punto che, avendo esaurito tutto il resto, iniziamo a prendere di mira noi stessi. I  Social media ci uniscono e ci allontanano, permettendoci di quantificare precisamente la nostra posizione sociale, e di vedere che altre persone hanno più amici e followers di noi.

Come Rhiannon Lucy Cosslett ha brillantemente documentato le adolescenti e le giovani donne ritoccano regolarmente le foto dei loro post, per apparire più magre e levigate. Alcuni telefoni, usando le loro impostazioni di “bellezza”, lo fanno in automatico; adesso puoi diventare la “thinspiration” di te stessa. Benvenuti, signore e signori, alla distopia post-Hobbesiana: la guerra di tutti contro se stessi.

C’è da meravigliarsi, in questi mondi interiori solitari, in cui toccare è stato sostituito da ritoccare, che le giovani donne stiano affogando nel disagio mentale? Un recente sondaggio in Inghilterra rivela che una donna ogni quattro tra i 16 e i 24 anni ha compiuto atti di autolesionismo e una su otto soffre di disturbo post traumatico da stress. Ansia, depressione, fobie o disturbo ossessivo compulsivo colpiscono il 26% delle donne in questo gruppo di età. Questa ha tutta l’aria di essere una crisi della salute pubblica.

Se la rottura sociale non è trattata seriamente come gli arti rotti, è perché non è altrettanto evidente. Ma i neuroscienziati possono vederla. Una serie di interessanti ricerche suggerisce che le sensazioni di dolore sociale e di dolore fisico siano processate dagli stessi circuiti neurali. Ciò spiegherebbe perché, in molte lingue, è difficile spiegare l’impatto della rottura del tessuto sociale senza usare parole che richiamano dolore e lesioni fisiche. Sia negli umani sia in altri mammiferi sociali, il contatto sociale riduce il dolore fisico. È per questo che abbracciamo i nostri bambini quando si fanno male: l’affetto è un potente analgesico. Gli oppioidi alleviano sia la sofferenza fisica sia quella da separazione. Forse questo spiega il collegamento tra isolamento sociale e tossicodipendenza.

Alcuni esperimenti riassunti il mese scorso nella rivista Physiology and Behaviour mostrano che, di fronte alla scelta tra dolore fisico e isolamento, i mammiferi sociali sceglierebbero il primo. Le scimmie cappuccine, dopo essere state private sia di cibo sia di contatto per 22 ore, si ricongiungono ai loro compagni prima di mangiare. I bambini che sperimentano la mancanza di affetto, secondo alcune ricerche, soffrono conseguenze mentali peggiori di quelli che soffrono insieme di mancanza di affetto e abusi fisici: per quanto orribile, la violenza implica attenzione e contatto. Spesso si ricorre all’autolesionismo nel tentativo di alleviare la sofferenza: altro indicatore che il dolore fisico non è così terribile come quello emotivo. Come sa fin troppo bene il sistema carcerario, una delle più efficaci forme di tortura è l’isolamento.

Non è difficile intravvedere le ragioni evolutive del dolore sociale. Le probabilità di sopravvivenza tra i mammiferi sociali sono notevolmente più alte quando essi hanno legami forti con il resto del branco. Sono gli animali più isolati, che restano ai margini del gruppo, i più soggetti ad essere catturati dai predatori o a morire di fame. Così come la sensazione di dolore fisico ci protegge dal farci del male, la sofferenza emotiva ci protegge dai traumi sociali. Ci porta a ricongiungerci. Ma molte persone lo trovano quasi impossibile.

Non c’è da stupirsi che l’isolamento sociale sia fortemente associato a depressione, suicidio, ansia, insonnia, paura e percezione distorta del pericolo. È invece più sorprendente scoprire la gamma di malattie fisiche che provoca o aggrava. Demenza, pressione alta, problemi cardiaci, ictus, minor risposta immunitaria ai virus, perfino gli incidenti sono più diffusi tra le persone cronicamente sole. La solitudine ha un impatto sulla salute paragonabile a fumare 15 sigarette al giorno:  sembra che innalzi del 26% il rischio di morte prematura Questo in parte perché stimola la produzione di cortisolo, l’ormone dello stress, che sopprime il sistema immunitario.

Gli studi condotti sia sugli animali sia sull’uomo ipotizzano la ragione per cui ci si consola col cibo: l’isolamento riduce il controllo degli impulsi e conduce all’obesità. Poiché è più probabile che  chi si trova in basso nella scala socio-economica soffra di solitudine, ciò potrebbe fornire una spiegazione della forte correlazione tra basso status economico e obesità?

Chiunque può vedere che qualcosa è andato storto; qualcosa di molto più grave rispetto alla maggior parte dei problemi di cui ci preoccupiamo. E allora, perché ci lasciamo trascinare in questo delirio divoratore e auto-distruttivo di rovina ambientale e dislocazione sociale, se tutto ciò che produce è un dolore insostenibile? Questa domanda non dovrebbe bruciare sulle labbra di chiunque si occupi della vita pubblica?

Ci sono alcuni stupendi gruppi di volontariato che fanno ciò che possono per contrastare questa tendenza e lavorerò con alcuni di loro mentre sarò in tour per presentare Breaking the Spell of Loneliness, l’album che ho scritto con la musicista Ewan McLennan. Ma per ogni persona che raggiungono, molte altre sono lasciate indietro.

Tutto questo non richiede una risposta politica; ci vuole molto di più: dobbiamo riconsiderare totalmente la nostra visione del mondo. Di tutte le fantasie di cui gli esseri umani si illudono, l’idea che possiamo bastare a noi stessi è la più assurda e forse la più pericolosa. O stiamo insieme, o cadiamo a pezzi.

 


Link: https://www.theguardian.com/commentisfree/2016/oct/12/neoliberalism-creating-loneliness-wrenching-society-apart

12.10.2016

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