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13 ottobre 2016
Morte Dario Fo, il figlio Jacopo: "È stato un gran finale". Saviano: "Smisurata riconoscenza"
di Piera Matteucci
Il cordoglio della politica e della cultura. Renzi: "Italia perde uno dei grandi protagonisti del teatro". Grillo: "Sarai sempre con noi". Il dolore di Ovadia: "Osceno non dargli un teatro". I funerali laici sabato, giorno di lutto cittadino, alle 15 in Piazza Duomo a Milano
ADDIO a Dario Fo. Il premio Nobelper la letteratura nel 1997 se n'è andato proprio nel giorno in cui viene assegnato il riconoscimento per l'edizione 2016. Aveva 90 anni e aveva da poco finito di scrivere il suo ultimo libro Quasi per caso una donna. Cristina di Svezia che aveva consegnato a Guanda per cui uscirà entro la fine del 2016.
Fino all'ultimo ha mantenuto il suo spirito da 'giullare'che lo ha sempre contraddistinto. Anche durante una cerimonia solenne come quella della consegna del premio Nobel, Fo aveva preparato un discorso che solo lui avrebbe potuto pronunciare: "Alcuni amici miei, letterati, artisti famosi, intervistati da giornali e televisioni, hanno dichiarato: 'Il premio più alto va dato senz'altro quest'anno ai Membri dell'Accademia svedese che hanno avuto il coraggio di assegnare il Nobel a un giullare!'. Eh sì, il Vostro è stato davvero un atto di coraggio che rasenta la provocazione".
Solo lo scorso marzo la sua Milano - la città che lo aveva adottato, lui nato a Sangiano, paesino in provincia di Varese, il 24 marzo 1926 - aveva celebrato i suoi 90 annicon una festa pubblica.
Ore di canto prima del ricovero. La notizia della sua morte è arrivata in mattinata. Fo si è spento all'ospedale Sacco a Milano. La conferma arriva da fonti ospedaliere. Il maestro era ricoverato nella struttura ospedaliera da diversi giorni: la morte, ha spiegato il suo medico curante, Delfino Luigi Legnani, è stata causata da un'insufficienza respiratoria dovuta a una patologia polmonare di cui era sofferente da anni. "I suoi collaboratori mi hanno detto che qualche giorno prima" dell'aggravarsi delle sue condizioni, Dario Fo "aveva cantato per ore. Una cosa incomprensibile" vista la situazione, ha detto il medico.
Addio a Dario Fo, il primario: "In teatro fino alla fine, nonostante crisi respiratoria"
Il figlio: "Gran finale". "Gli sono stato vicino, ero accanto a lui quando mio papà se ne é andato". La voce di Jacopo Fo, il figlio unico di Dario Fo e Franca Rame, è stanca, carica di dolore. "Da circa una decina di giorni non stava bene. Aveva problemi polmonari, una fibrosi che gli causava dolori. Lo abbiamo portato in ospedale. Nelle ultime ore aveva necessità di prendere degli antidolorifici. Non si è accorto di niente. Mio padre aveva un rapporto tutto con la corporeità. Se ne è andato sereno”. Poi ha aggiunto: "È successo stamattina alle 8, è stato un gran finale e se ne è andato". Jacopo Fo è passato per pochissimi minuti nell' abitazione in fondo a corso di Porta Romana: "L'unica cosa sensata che posso dire - ha proseguito - è che ha resistito e ha continuato a lavorare 8-9-10 ore al giorno fino a quando è stato ricoverato. Bisognerebbe metterlo nei prontuari medici. L'arte, la passione e l'impegno civile servono".
Gli amici vicini. Gli amici di sempre, Moni Ovadia, Carlo Petrini, gastronomo e sociologo, anche lui figlio di un ferroviere, a cui il Nobel era legato da 60 anni e dal quale voleva essere ricordato quando fosse giunto il momento della morte, lo scrittore Stefano Benni e il pianista Enrico Intra sono stati accanto a Fo negli ultimi periodi, mentre il leader del M5S Beppe Grillo è stato una delle ultime persone a vedere il drammaturgo prima della morte. "Dario è morto dipingendo con la mente il grigiore dei protocolli di un ospedale, sorridendo. Ciao Dario!", ha twittato. E ancora: "Dario Fo non era semplicemente un uomo libero, era la libertà incarnata".
Sabato i funerali. I funerali, con una cerimonia laica, sono fissati sabato prossimo, giornata di lutto cittadino proclamata da Sala, alle 15 in Piazza Duomo a Milano. La salma sarà tumulata quasi certamente al Famedio del cimitero monumentale, dove sono i grandi di MIlano. Con il sindaco si sta cercando un modo per tumularlo nella tomba accanto a Franca Rame. Insieme per sempre.
La camera ardente sarà aperta domani, dalle 15 a mezzanotte, al teatro 'Piccolo Strehler' di via Rivoli (fermata Lanza della metropolitana). Poi sarà riaperta sabato mattina alle 8:30 fino all'ora della cerimonia. In entrambe le occasioni parteciperà una numerosa delegazione 5 Stelle e, con ogni probabilità, Beppe Grillo e Davide Casaleggio.
Moni Ovadia a politici: "Oggi dovreste tacere". Sono dure, nel giorno del dolore, le parole che Moni Ovadia, attore e drammaturgo, tra i più cari amici di Dario Fo, rivolge ai politici: "Oggi politici e amministratori dovrebbero abbassare la testa, con modestia, e tacere. Il fatto che Dario Fo non abbia avuto un teatro nella sua città, Milano, è sconcio e osceno. La Palazzina Liberty di Milano sarebbe dovuta andare di diritto a lui, che l'aveva occupata e ne aveva fatto un teatro di ribellione in un periodo in cui il potere gli scatenava contro i cani della censura e dell'ossessione - aggiunge Ovadia -. Non sono un credente, ma se ci fosse un 'aldilà' sicuramente anche lì Dario sarebbe uno dei grandi protagonisti e tutti sarebbero contenti di averlo come compagno".
Il cordoglio. Il grande insegnamento di Fo, ricorda il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, è stato il sorriso: "La sua testimonianza, che ricordiamo sempre unita in un sodalizio indistruttibile a quella di Franca Rame, è offerta alle giovani generazioni con quel sorriso e quella voglia di allegria che ha manifestato e che non deve mai abbandonare, anche davanti a momenti difficili...La qualità della sua opera artistica, la capacità di inventare linguaggi e forme nuove di espressività, l'ironia e il sarcasmo, usati per indagare comportamenti e realtà sociali, sono riusciti a superare la soglia dell'eccellenza riscuotendo grandi apprezzamenti, in Italia e nel mondo. Il premio Nobel per la Letteratura, conseguito nel 1997, ha costituito l'alto riconoscimento ai suoi meriti". Addolorato dalla notizia in presidente emerito della Repubblica, Giorgio Napolitano, per il quale "l'eccezionale riconoscimento del Premio Nobel aveva sancito l'universalità della sua arte vicina a grandi esempi dei secoli d'oro della creatività italiana".
Il presidente del Consiglio Matteo Renzi scrive, in una nota: "Con Dario Fo l'Italia perde uno dei grandi protagonisti del teatro, della cultura, della vita civile del nostro paese. La sua satira, la ricerca, il lavoro sulla scena, la sua poliedrica attività artistica restano l'eredità di un grande italiano nel mondo". L'Aula del Senato, i cui lavori erano presieduti da Linda Lanzillotta, ha ricordato la scomparsa di Fo con un minuto di silenzio.
Su Facebook il presidente del Senato, Pietro Grasso, ha ricordato Fo come "un giullare fuori dagli schemi: a Dario Fo, insieme alla sua inseparabile Franca, dobbiamo risate, lacrime, riflessioni. Grazie per l'arte che ci ha regalato, immensa e bellissima tanto da essere diventata simbolo dell'Italia nel mondo. Grazie per la sua voce irriverente e impegnata".
"Oggi se ne è andato Dario Fo. Lo ricordiamo con il suo intervento dal palco di piazza Duomo il 19 febbraio 2013, quando ci disse con la sua potente voce: 'Fatelo voi!'. Sarai sempre con noi Dario". Beppe Grillo ricorda il premio Nobel scomparso con un post sul suo blog dal titolo 'Il Movimento 5 Stelle piange Dario Fo' e il video del suo intervento.
"La scomparsa di Dario Fo ci colpisce nel profondo. Perdiamo uno dei più grandi rappresentanti della letteratura, del teatro e della cultura milanese e italiana. Fo è stato uno dei migliori interpreti della storia del nostro tempo. Milano non dimenticherà i suoi insegnamenti", sono state le parole del sindaco di Milano, Giuseppe Sala, mentre il presidente della Regione Lombardia Roberto Maroni e l'assessore regionale alle Culture Cristina Cappellini sottolineano che "con la scomparsa di Dario Fo Milano e la Lombardia, oltre che il Paese, dicono addio non solo a una indiscutibile figura di spicco del panorama culturale internazionale, ma anche a un grande cultore e divulgatore delle lingue locali".
"Fo amava Milano, ma parlava ai cittadini del mondo, impegnandosi per la crescita culturale e sociale di tutti. Non si contano i suoi spettacoli nei teatri e nelle piazze in Italia e all’estero. Sempre con un pensiero originale, sempre dalla parte degli oppressi, contro gli oppressori, i potenti e i prepotenti. Senza nascondersi mai, rivolgendosi a tutte e a tutti, e in particolare ai giovani in cui continuava a credere, malgrado le delusioni. Non temeva le polemiche, anche con gli amici, ma è sempre stato capace di cambiare idea e di trovare, e spesso di proporre, un punto di vista unitario per continuare, insieme, le sue, le nostre battaglie. La sua vita è stata un gioioso impegno di libertà e di generosità, anche nei momenti più tristi, nei momenti più bui. Dario parlava tante lingue: quella del teatro, quella della politica, quella dell’impegno sociale, quella dei diritti. Tante lingue per ricordarci sempre l’importanza della libertà, della giustizia, dei diritti civili e sociali, della dignità di ogni donna e di ogni uomo. Caro Dario, mi mancherai e ci mancherai e, all’Italia, mancherà un artista geniale e straordinario", sono state le parole di saluto dell'ex sindaco di Milano, Giuliano Pisapia.
"Ci ha lasciato il Grande Dario Fo. Negli occhi ho ancora la sua gioia mentre descriveva ogni suo oggetto all'apertura del Museo Fo di Verona", è il cinguettio del ministro della cultura Dario Franceschini, che posta una foto di lui con il premio Nobel scattata pochi mesi fa.
"Con #DarioFo scompare una figura centrale del teatro e della cultura del nostro Paese", ha ricordato la ministra dell'Istruzione Stefania Giannini.
"Ci mancheranno lo sberleffo, la tenerezza e la furia civile di Dario Fo", scrive Nichi Vendola, che lo ricorda come "il poeta degli umili, il teatrante degli oppressi, il giullare che irride ai potenti, il testimone scomodo della cronaca degli abusi contro i popoli, il genio di una comicità che smaschera la natura reale delle cose".
"Per lui io e i leghisti eravamo razzisti, egoisti, ignoranti? Vabbè, acqua passata, non porto rancore, doppia preghiera", è il commento del segretario della Lega Nord, Matteo Salvini, su Facebook.
"Addio a Dario Fo, un grande artista e un intellettuale libero che ha dato tanto alla cultura e al dibattito civile delle idee nel nostro Paese", ha scritto la segretaria generale della Cisl, Annamaria Furlan.
"Dario Fo era un amico. Soprattutto era un gigante della scena artistica e letteraria italiana", afferma Jack Lang, ex-ministro della Cultura e attuale direttore dell'Institut du Monde Arabe, ricordando che lui fu il primo ad invitarlo a Parigi nel 1973, quando era direttore del Théâtre national de Chaillot.
Addolorato Roberto Benigni: "È una grande perdita la morte di Dario Fo. Un autore straordinario, innovativo, inimitabile. Un orgoglio del nostro Paese. Tutti gli dobbiamo qualcosa".
Commosso su Facebook il saluto di Roberto Saviano: "Non c'è intellettuale, poeta, scrittore, drammaturgo, attore cui io sia più legato che a Dario Fo. E gli sono debitore per l'appoggio e la protezione. Dario Fo e Franca Rame non mi hanno mai fatto mancare il loro sostegno e la loro vicinanza. Mi sono stati incondizionatamente vicini. Amici veri... Il dolore che provo ora è grande e smisurata è la riconoscenza verso un genio vero, non solo del teatro e della letteratura, ma soprattutto della vita".
"Al di là del Nobel, per la mia generazione è stato una delle grandi figure guida", sono state le parole dello scrittore, Alessandro Baricco.
"Oh Dario. Sono così triste di sapere che te ne sei andato. Non ci sarà mai più nessuno come te. Una bella mente e una bella anima. È un giorno triste. Mi mancherai tanto", scrive su Facebook la pop star Mika, che conosceva e di cui era un grande ammiratore. I due erano stati anche protagonisti di un duetto televisivo in un'intervista alle "Invasioni barbariche" nel gennaio 2014.
"Oggi è morto il più allegro premio Nobel della letteratura di ogni tempo. Al posto di una lacrima gli si deve un sorriso" è il ricordo affidato a Twitter dallo scrittore Erri De Luca.
Oggi è difficile 'stare allegri', scrive sempre sul social network Fabio Fazio, mentre Christian De Sica lo saluta così: "Ciao Dario, che un sorriso ti accompagni anche in questo nuovo viaggio". |
guarada il video:
https://www.youtube.com/w-atch?v=I5h4H9ErdVM
https://www.washingtonpost.com/
October 13 2016
‘Poetry for the ear’: Bob Dylan wins Nobel Prize in literature
By Ron Charles, Geoff Edgers and Brian Murphy
Bob Dylan was awarded the Nobel Prize in literature on Thursday for work that the Swedish Academy described as “having created new poetic expressions within the great American song tradition.”
He is the first American to win the prize since Toni Morrison in 1993, and a groundbreaking choice by the Nobel committee to select the first literature laureate whose career has primarily been as a musician.
Although long rumored as a contender for the prize, Dylan was far down the list of predicted winners, which included such renown writers as Haruki Murakami and Ngugi wa Thiong’o.
5 myths about Bob Dylan
This is the second year in a row that the academy has turned away from fiction writers for the literature prize. And it’s possibly the first year that the prize has gone to someone who is primarily a musician, not a writer.
The permanent secretary of the Swedish Academy, Sara Danius, made the announcement in Stockholm. In a televised interview afterward, Danius said that Dylan “embodies the tradition. And for 54 years, he’s been at it, reinventing himself, creating a new identity.” She suggested that people unfamiliar with his work start with “Blonde on Blonde,” his album from 1966.
“Bob Dylan writes poetry for the ear,” she said. “But it’s perfectly fine to read his works as poetry.”
She drew parallels between Dylan’s work and poets as far back as Greek antiquity.
“It’s an extraordinary example of his brilliant way of rhyming and his pictorial thinking,” Danius said. “If you look back, far back, you discover Homer and Sappho, and they wrote poetic texts that were meant to be listened to. They were meant to be performed. It’s the same way with Bob Dylan. But we still read Homer and Sappho. He can be read and should be read. He is a great poet in the grand English tradition. I know the music, and I’ve started to appreciate him much more now. Today, I’m a lover of Bob Dylan.
Dylan will receive an 18-karat gold medal and a check for about $925,000.
Tributes for Dylan — as well as the Nobel’s unconventional choice — came from across the world and spanned from the worlds of politics to letters.
“Dylan is the brilliant inheritor of the bardic tradition. Great choice,” said a Twitter message from British novelist Salman Rushdie. Chile’s president, Michelle Bachelet, called the honor for Dylan a “joy” and recalled “many fond memories from my adolescence are associated with his music.”
Just after 7 a.m., songwriter Rosanne Cash was in her New York home when her husband John ran down the stairs “like an elephant.”
“Dylan won the Nobel Prize,” he shouted.
“No,” said Cash, “that can’t be true.”
Cash, whose legendary late father, Johnny, was a friend and sometime collaborator with Dylan, spent the rest of the morning beaming. She also received a flurry of text messages, everyone from songwriter Marc Cohn to her literary agent.
“The chatter is this pride and that finally he gets recognized in this way that equates songwriting with great literature,” said Cash. “I can’t tell you how many times people have said to me, because I also write prose, ‘Oh, you’re also a real writer.’ It’s so offensive. Like songwriting doesn’t require the same discipline. So the fact that he’s recognized lifts all of our boats.”
But at last one prominent writer, however, took issue with the Nobel selection. Scottish novelist Irvine Welsh, author of “Trainspotting,” decried it as “an ill-conceived nostalgia award” made for “senile, gibbering hippies.”
Dylan, the son of a Minnesota appliance-store owner, began as a folk singer but soon established himself as one of the voices of political protest and cultural reshaping in the 1960s.
Dylan’s songs — driven by his distinctive nasal-twang vocals — are often seen as dense prose poems packed with flamboyant, surreal images. Rolling Stone magazine once called him “the most influential American musician rock and roll has ever produced.”
He first gained notice with ringing protest songs that served as anthems for the civil rights and anti-Vietnam War movements with such songs as “Masters of War,” “The Times They Are a-Changin’,” and “A Hard Rain’s a-Gonna Fall.”
Then he moved on to feverish rock-and-roll drenched in stream-of-consciousness lyrics that evoked the hallucinatory visions of William Blake, the romanticism of Mary Shelley and John Keats and the postmodern pessimism of Allen Ginsberg and other beat poets.
Dylan recalled listening to country music each evening from distant Midwestern stations and taking up the guitar himself at age 10.
He briefly attended the University of Minnesota in Minneapolis, where folk music, rather than rock-and-roll, was the abiding musical idiom.
“Picasso had fractured the art world and cracked it wide open,” Dylan once wrote. “He was revolutionary. I wanted to be like that.”
Dylan was described in an ad for his 1962 Columbia Records debut as “a major new figure in American folk music.” As it turned out, the marketing hyperbole sold him short: Dylan revolutionized popular music and became a major cultural force.
Dylan sang at the 1963 March on Washington, the massive civil rights procession presided over by the Rev. Martin Luther King Jr. Later, at the 1965 Newport Folk Festival, he stunned many fans — and began a new musical direction — by putting aside his acoustic guitar and playing a Fender sunburst Stratocaster electric guitar.
His next albums — “Highway 61 Revisited” and “Blonde on Blonde” — ventured further into the surreal long-form songs and dizzying array of characters that were becoming his trademark. They are considered by many critics to be his creative peak.
When he was in the Los Angeles-formed band The Byrds, Roger McGuinn sang enough Dylan covers to fill two albums, including the band’s chart-topping, 1965 version of “Mr. Tambourine Man.” Later, he toured with Dylan and played his 12-string Rickenbacker guitar on Dylan’s 1973 hit “Knockin’ On Heaven’s Door.”
“I always thought working with him was like knowing Shakespeare,” said McGuinn. “Mr. Tambourine Man. The imagery of that. ‘Yes, to dance beneath the diamond sky with one hand waving free/ Silhouetted by the sea, circled by the circus sands.’ It’s beautiful and really poetry.”
In the late 1970s, he stunned admirers again by declaring himself a Christian and releasing three albums of religiously inspired songs. The singing and musicianship were passionate and professional — Dylan earned his first Grammy Award, for best rock male vocal performance — but the harsh, born-again lyrics puzzled and alienated many of his longtime fans.
Musician Peter Case was a kid growing up in Buffalo when his mother brought him a copy of Dylan’s latest record, the 1965 album, “Bringing It All Back Home.”
“It opened me up to Shakespeare and the sound of language and to try to understand it,” says Case, 62. “It opened me up to deep compassion about people.”
“He’s just a giant,” he added. “They had to open a special door for him.”
In 2005, Dylan released a long-awaited memoir, “Chronicles Vol. 1,” which won him more accolades for its candor and originality. He also appeared in director Martin Scorsese’s “No Direction Home,” a documentary that summed up the triumphs and turmoil of his early years as a performer. In 2008, he was awarded a special Pulitzer Prize for his profound effect on popular music and American culture, “marked by lyrical compositions of extraordinary poetic power.”
In February 2010, Dylan took the stage at the White House for a concert honoring the music from the 1960s Civil Rights movement. Backed by only a piano, he performed a powerful acoustic rendition of “The Times They Are a-Changin’” as President Obama watched from the front row. Dylan then shook Obama’s hand in their first meeting.
“As composer, interpreter, most of all as lyricist, Dylan has made a revolution,” the late New Yorker critic Ellen Willis once wrote. “He expanded folk idiom into a rich, figurative language, grafted literary and philosophical subtleties onto the protest song, revitalized folk vision by rejecting proletarian and ethnic sentimentality, then all but destroyed pure folk as a contemporary form by merging it with pop.”
Dylan, Willis noted, “imposed his . . . literacy on an illiterate music.”
“Things were changing all the time and a certain song needed to be written,” Dylan said in 1965. “I started writing them because I wanted to sing them. . . . One thing led to another and I just kept on writing my own songs.”
He added that “popular songs are the only art form that describes the temper of the times. . . . That’s where people hang at. It’s not in books. It’s not onstage. It’s not in the galleries.”
“The way Elvis freed your body, Bob freed your mind and showed us that just because the music was innately physical did not mean that it was anti-intellectual,” Bruce Springsteen said upon inducting Dylan into the Rock and Roll Hall of Fame in 1988.
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