Fonte: Il Corriere delle regioni http://www.ariannaeditrice.it/ 12/12/2016
Mezzo secolo di evirazione intellettuale ha prodotto una generazione di eunuchi di Francesco Lamendola
Tutto quello che sta scritto nei libri di storia, dopo il 1945, è falso; qualche timido miglioramento si è incominciato a vedere solo dopo il 1989, cioè dopo la caduta del muro di Berlino e la fine della Guerra fredda. Ma è falso anche quello che c’è scritto sui libri di letteratura italiana, su quelli di filosofia e di pedagogia, su quelli di geografia e perfino su quelli di storia dell’arte. Mezzo secolo di balle spudorate, mezzo secolo di sfrontatissimo lavaggio del cervello, hanno prodotto una generazione di Italiani (e, in varia misura, di Europei) intellettualmente e spiritualmente evirati, o, nel migliore dei casi, irrimediabilmente impotenti. Le mitologie della sinistra - progressiste, buoniste, massoniche, radicali, anticristiane - sono state costruite con cura, pezzo a pezzo, tessera dopo tessera, sino a delineare un affresco fantasioso della storia, della società e della cultura italiana ed europea, dove tutto il bene era dalla parte delle democrazie plutocratiche, e tutto il male da parte dei gli sconfitti totalitarismi di destra; quello comunista non veniva affatto presentato come tale, ma anzi, come il più valido contribuito alla causa comune della Civiltà, della Libertà e dell’Umanità, e come l’espressione dei più nobili sentimenti di giustizia, di fratellanza e di uguaglianza che possano albergare in un sensibile cuore umano. Viceversa, chi non apprezzava l’ideologia comunista, particolarmente nella versione marxista, leninista e stalinista, doveva essere, per forza di cose, un brutto ceffo, una persona egoista e spregevole, un nemico del popolo e un nemico dell’umanità. Comunque, e sia pure in subordine, anche le nazioni anglosassoni, benché fondate sulla ricerca del profitto, avevano dei meriti storici non indifferenti: avevano combattuto contro Hitler, avevano difeso la libertà, e sia pure per ragioni opportunistiche; avevano fatto da scudo alla democrazia nel momento più buio della storia mondiale, e rappresentavano pur sempre un modello di società che, quantunque imperfetto, era pur sempre infinitamente migliore di qualunque altro modello possibile, eccezion fatta per quello comunista. Si tenga presente questa segreta e inconfessata ammirazione per l’american way of life da parte dei “compagni” filo-staliniani e, poi, filo-maoisti: a parole la detestavano e la disprezzavano, ma in privato la invidiavano e sognavano di goderne anch’essi i benefici e le meraviglie. Don Peppone, mentre litigava con don Camillo, non perdeva d’occhio certi lati attraenti e seducenti del modello capitalista, tanto esecrato a parole quanto invidiato nel segreto della coscienza (di classe). Se non si tiene a mente questo aspetto, oggi si fa molta fatica a capire il fenomeno Renzi, e, più in generale, il fenomeno Partito Democratico. Gli storici, i giornalisti, i critici letterari, cinematografici e d’arte, stavano tutti da quella parte: dalla parte della resistenza, dalla parte della “libertà”; per questo non si sentiva mai parlare di Porzus, né delle foibe, né del “triangolo rosso” ove avevano trovato la morte molte migliaia di persone, a guerra ormai finita o in procinto di finire, nei giorni convulsi attorno alla cosiddetta liberazione del 1945. Ma il lavaggio del cervello rimontava assai più indietro, investiva anche la prima metà del Novecento, anche l’Ottocento, anche il Settecento: e ancora più indietro, Paolo Sarpi e Galilei, tutte vittime illustri della barbarie cattolica, Tommaso Campanella e Giordano Bruno, e prima ancora il Medioevo, con le sue crociate, i suoi roghi degli eretici, il suo Indice dei libri proibiti. Tutta la storia era stata rifatta secondo l’ottica della “liberazione” e della “resistenza”: si proiettavano all’indietro le categorie del politically correct dell’aprile e del maggio 1945. Libri di testo scolastici, riviste, narrativa, saggistica: tutti a recitar le stesse filastrocche, in maniera caparbia, insistente, univoca, rocciosa, senza un mai un dubbio, un distinguo, una sfumatura in controluce. A forza di rimontare indietro, si finiva per appioppare a Platone il marchio infamante di filosofo della destra; così come, nella Cina della Rivoluzione culturale (che fu poco culturale e molto fisica: produsse, infatti, milioni di morti, non si saprà mai quanti), si gridava Abbasso Confucio, anche se Confucio era vissuto duemila anni prima e non c’entrava molto né con il comunismo, né con il “grande balzo in avanti”, né con i piani quinquennali, né con la Lunga marcia, e neppure con la “rivoluzione dei cento fiori”. Così hanno studiato gli studenti della generazione vissuta dopo la Seconda guerra mondiale e fino alla caduta del muro di Berlino: boriosi ignoranti, cervelli dati all’ammasso, futuri individualisti di massa fatti con lo stampino, convinti di essere altrettanti Aristotele, o, meglio, altrettanti Marx ed Engels in sedicesimo. Si sono salvati quelli che hanno avuto la fortuna di avere qualche professore della vecchia scuola: qualche professore dalla mente lucida e non disposto ad incensare le bandiere dei vincitori e ad avallare le menzogne politicamente corrette e le folli utopie progressiste, foriere di futuri disastri e di future abominazioni (Nichi Vendola, campione della sinistra, che vola in America per comprare un bambino commissionato ad una donna indigente, e riportarselo a casa, onde crescerlo con il suo “compagno”, come una bella famigliola felice, dove tutti si vogliono un gran bene). Così come si sono salvati dall’incretinimento generale quei cattolici che hanno avuto la fortuna di avere l’esempio di qualche vecchio prete dalla schiena dritta e dalla spiritualità intensa, qualche prete pre-conciliare, che non inseguiva il mito della lotta di classe in chiave evangelica, che non gabellava Gesù Cristo per un precursore dei tupamaros e non flirtava spudoratamente con i marxisti, infischiandosene del fatto che costoro avevano mandato a morte centinaia di migliaia di cristiani in tutti gli sventurati Paesi ove erano andati al potere. E, soprattutto, si sono salvati quei giovani che hanno avuto l’immensa fortuna di avere dei genitori o dei nonni della vecchia scuola, cresciuti con il senso dell’onore e con il culto dell’onestà, del lavoro, della famiglia, della patria; e che non hanno lasciato loro, in eredità, ville o conti in banca ben forniti, ma l’esempio di una vita spesa con spirito di sacrificio, con coraggio e con fierezza, senza fare debiti, senza pretendere di fare il passo più lungo della gamba, senza domandare niente a nessuno, senza strisciare davanti ai potenti, ma restando sempre fedeli ai propri principî ed ai propri valori. Prendiamo, a caso, una enciclopedia della letteratura universale degli anni ’60, quella diretta da Luigi Santucci ed edita dai Fratelli Fabbri di Milano. Due esempi, scelti altrettanto a caso, sulle centinaia che si potrebbero fare: l’opera di Léon Bloy e quella di Ezra Pound. E stiamo parlando, si badi, di letteratura; non stiamo parlando di storia politica o di temi di scottante attualità. Ecco come liquida, in poche righe, Léon Bloy, il curatore del volume sulla Letteratura francese e belga, Mario Bonfantini (cvit., 1969, p. 209): [Barbey d’Aurevilly] è da considerare capostipite di quella corrente narrativa che diremo del “cattolicesimo satanico”, viva fino ai giorni nostri per merito del truculento Léon Bloy (che si vantava suo discepolo), di François Mauriac e del Bernanos. Basta: tutto qui. Tre righe per sbrigare uno dei maggiori scrittori francesi vissuti a cavallo fra Otto e Novecento: nemmeno le date e i luoghi di nascita e morte. Di lui si dice solo che “si vantava” di esser discepolo di Barbey d’Aurevilly; che era uno scrittore “truculento”; e che appartenne al filone del “cattolicesimo satanico”. Tre affermazioni bislacche e gratuite, che formano un quadro del tutto negativo. Insomma: un velleitario, un perverso, un amante degli effetti grandguignoleschi. Inutile dire che molte pagine sono dedicate ai “classici” della sinistra e del politically correct: i Zola, i Gide, i Sartre: quelli sì, che meritano spazio e apprezzamento. Certo uno studente non si sente incoraggiato a leggere i romanzi di Bloy, dopo aver letto questo ritratto così tranchant. Se passiamo alla letteratura americana, ecco come Claudio Gorlier ci presenta l’opera poetica di Ezra Pound (vol. Le letteratura inglese e nord-americana, 1969, pp. 320-321):
I “Canti” sono un’opera torrentizia e diseguale, che, nell’esplosione dell’”io” del poeta ha fatto pensare, in certi limiti, al “Canto di me stesso” di Whitman. Si tratta di un accostamento di carattere generale, giacché la poesia di Pound è gremita di allusioni letterarie e politiche, punteggiata di inserzioni e di citazioni e di citazioni in lingue diverse (italiano, francese, cinese) e si propone un immenso affresco, da Omero a Jefferson ai nostri giorni, un riepilogo di secoli di cultura e di storia, per giungere alla rappresentazione della decadenza del mondo moderno. A tale decadenza e alla degenerazione della democrazia Pound oppone soluzioni di tipo gerarchico e autoritario. Curiosamente, anche il poeta sceglie come bersaglio il trionfo dell’affarismo e del denaro (la medievale usura), tratto comune a tanta parte della letteratura americana, ma offre come terapia, in ultima analisi, il Fascismo. Va da sé che Pound, nella sua simpatia per Mussolini – o nella sua particolare interpretazione di una rigida struttura sociale che pretende di ricavare dal pensiero di Confucio – rivela una deformazione fantastica e ideologicamente scricchiolante; nondimeno, atteggiamento politico del poeta, che tocca persino l’antisemitismo, riesce alquanto sgradevole.
Ah, be’, se riesce sgradevole a Claudio Gorlier, che è l’esperto, come potrebbe non riuscire altrettanto sgradevole al lettore di media cultura, che si affida alle pagine di una vasta e bene illustrata Letteratura universale per avere dei lumi, in mancanza di letture dirette dei singoli autori? Figuriamoci: perfino “antisemita”… ci potrebbe essere scomunica più grave? Ed è così che gli anni fra il 1945 e il 1968, soprattutto - il ventennio successivo è andato avanti per pura forza d’inerzia, ripetendo le stesse formule e le stesse giaculatorie, ma sempre più stancamente e meccanicamente – si è realizzato il generale lavaggio del cervello di quella generazione: una serie di banalità, di luoghi comuni, di vere e proprie mistificazioni, spacciati per analisi profonde, veritiere, forti di un alone (auto dichiarato) di superiorità, sia intellettuale che morale. Sì, perché questa è stata la pretesa dei padroni della cultura, negli anni di cui stiamo parlando: quella di essere intellettualmente e moralmente migliori di tutti gi altri. Non parliamo i quelli della destra, respinti, moralmente parlando, nelle fogne, disprezzati come indegni di essere considerati uomini; ma anche i cattolici (tranne quelli di sinistra, che scimmiottavano il modo di parlare e di pensare dei “compagni” marxisti: si pensi all’incredibile movimento dei “cristiani per il socialismo”), i socialdemocratici, i liberali, i moderati di qualsiasi colore e sfumatura, insomma gli odiati e detestati “borghesi”, portatori di una orrenda lebbra morale, la lebbra dell’egoismo, dell’ipocrisia, nonché di una atavica tendenza allo sfruttamento e al parassitismo sociale. Poi è successo quel che è successo. Il muro di Berlino è caduto, ma loro non se ne sono accorti, o hanno voluto raccontarsi quella caduta alla loro maniera, con incredibile faccia tosta. Il comunismo è caduto, la cortina di ferro è caduta, ma loro sono rimasti sempre gli stessi; hanno cominciato, sì, a modificare certe vecchie formule, ad aggiornarle, ad allinearle al mutato quadro politico internazionale; però, nel fondo, hanno conservato il loro pelo di lupo, sotto le false pellicce di agnello. Gettando gli ultimi residui di scrupolo o di vergogna, hanno abbracciato apertamente il modello consumista americano, però hanno conservato l’intransigenza moralistica e farisaica di prima, di quand’erano contestatori, ribelli e rivoluzionari: e, soprattutto, han conservato la spocchia di credersi migliori, più intelligenti, più onesto, più veri. Hanno identificato il progressismo con l’unica ideologia degna di esistere nel mondo della globalizzazione, e si sino meravigliati fino alla rabbia, fino alla disperazione per la sconfitta di Hillary Clinton alle redenti elezioni presidenziali negli Stati Uniti. Non importa se costei rappresentava l’egoismo borghese nelle sue forme più estreme, mascherato da difesa dei “diritti civili”: aborto, eutanasia, matrimoni omosessuali, eccetera; di fatto, anch’essi hanno fatto propria questa nuova Weltanschauung… E non importa se costei avrebbe condotto il mondo, e specialmente l’Europa, fino alle soglie della guerra contro la Russia, e forse oltre, al solo scopo di proteggere l’Isis, la sua inconfessabile creatura, il suo mostro illegittimo, ma pur sempre utile, dalla Siria alla Libia. L’importante era che non vincesse Trump, quel maschilista, quel becero conservatore, quell’ignobile razzista che vorrebbe – pensate! – arrestare l’invasione degli immigrati clandestini, cosa che nessuno, in Europa, tranne gli “ultra-nazionalisti” – come decretano le veline della stampa politicamente corretta – si sogna di proporre. Esempio di questi tremendi “ultra-nazionalisti”: i lavoratori e i pensionati di Gorino. Come volevasi dimostrare: dopo mezzo secolo di lavaggio del cervello, la gran madre dei cretini è sempre incinta, e chissà quanti figli e nipotini continuerà a scodellare, per le meraviglie del futuro... |