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Venerdì 11 novembre 2016

 

Le contraddizioni del gigante nigeria

di Gad Lerner

 

Un bambino nudo che si ripiega all’infuori dal bordo della palafitta per fare i suoi bisogni nella laguna già putrida e maleodorante, in cui vivono e pescano l’incalcolabile moltitudine di abitanti dello slum di Makoko, circondati dai grattacieli di Lagos.

Scusate se è greve, ma è la prima immagine che mi torna in mente da un viaggio in Nigeria – cioè dal paese più ricco, sovrappopolato, religioso, felice, feroce, corrotto, energico ma abituato ai blackout, di tutta l’Africa – portato a termine con una troupe di Raitre.

Lo sognavo da anni, questo viaggio. Per realizzarlo abbiamo dovuto superare ostacoli e diffidenze che parevano renderlo impossibile. Più infinite raccomandazioni di prudenza. E, in effetti, devo riconoscere con rammarico che tre occidentali, per giunta dotati di telecamera, non avrebbero potuto circolare impunemente tra le baraccopoli, i mercati, i villaggi rurali e i campi profughi, senza l’accompagnamento di una scorta armata.

Ho desiderato questo viaggio nel Gigante d’Africa dopo aver ammirato la potenza creatrice della sua cultura meticcia (Chimamanda Ngozi Adichie, Teju Cole, e prima naturalmente, Fela Kuti e tanti altri). Capace di esprimersi nonostante l’atrocità dei conflitti che da Bobo Haram, nel nord, fino ai guerriglieri del Delta del Niger lacerano una società multietnica, già piegata dal crollo del prezzo del petrolio. Ma la ragione più urgente e sottovalutata per cui considero la Nigeria un crocevia fondamentale del futuro del pianeta, è riassunta dalle cifre della sua riproduttività esasperata.

All’inizio di questo secolo la Nigeria contava gli stessi abitanti della Germania, 80 milioni. Passati solo tre lustri, aveva già più che raddoppiato la sua popolazione, che oggi si aggira sui 180 milioni. A questo ritmo le Nazioni Unite prevedono che nel 2050 i nigeriani diventeranno 507 milioni, più numerosi degli europei. Il colosso Nigeria, con le sue enclave blindate per i ricchi e le più grandi conurbazioni di povertà metropolitana a circondarle, si prepara a essere il terzo paese più popoloso della terra, dopo Cina e India.

C’è forse da stupirsi se in Italia, nel 2016, più di un immigrato su quattro provenisse dalla Nigeria? Se tante ragazze preferiscono prostituirsi sul bordo delle nostra strade anziché generare dieci figli nelle baracche senza elettricità e senza fognature in cui sono nate?

Nonostante i vani tentativi di frenare il traffico di esseri umani, la rotta che attraversa il Sahel verso il Mediterraneo è ancora la più utilizzata dalle mafie, che godono di protezioni dentro a corpi di polizia impoveriti e facilmente corrompibili.

Eppure trovi una energia vitale straordinaria, una classe dirigente cosmopolita, una speranza nel futuro, che non sempre si riduce alla superstizione di una fede mercificata.

La grande potenza nigeriana tende a respingere l’interferenza del volontariato internazionale, orgogliosa com’è della propria autonomia e delle proprie risorse. Eppure bisognerà trovare il modo di entrarci in relazione, magari attraverso le diaspore europee, perché ormai è evidente che la Nigeria sarà protagonista determinante del nostro futuro.

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