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Lunedì 18 gennaio 2016

 

Memoria e perdono

di Mauro Armanino

 

Prima vennero per i comunisti | e io non alzai la voce | perché non ero un comunista. | Poi vennero per i socialdemocratici | e io non alzai la voce | perché non ero un socialdemocratico. | Poi vennero per i sindacalisti | e io non alzai la voce | perché non ero un sindacalista. | Poi vennero per gli ebrei | e io non alzai la voce | perché non ero un ebreo. | Poi vennero per me | e allora non era rimasto nessuno | ad alzare la voce per me. (Martin Niemöller, pastore luterano, Dachau, 1942).

 

Appena un anno fa. Si contano 10 persone uccise a Zinder prima e a Niamey il giorno dopo. Una cinquantina di chiese, hotel e bar sono stati saccheggiati e bruciati al grido rituale di Allah Akbar. Un dio più grande dell’altro, caso mai. Alcuni individui e famiglie presi come bersaglio e sfuggiti per un soffio alla morte. Era il 16 e 17 gennaio 2015, a qualche giorno dagli avvenimenti di Charlie Hebdo a Parigi. Molte tracce esteriori dell’accaduto sono state cancellate. Ci furono duecento giovani arrestati, promesse, assicurazioni e garanzie di riparazioni da parte delle autorità. Le ferite interiori e sociali, quelle, ci sono ancora. Sappiamo che la realtà è testarda, ostinata e scomoda. Lascia solchi che nessun arrangiamento politico può colmare.

Si può scegliere di passare a temi più urgenti. Tentare di rimuovere gli avvenimenti sembra possibile. In certi casi la strategia sembra dare i suoi frutti. O allora è più semplice cercare di cambiare il discorso e girare la pagina. Il problema è che il libro è ancora là, aperto su un capitolo doloroso della storia recente del Niger. I cittadini cristiani nigerini e stranieri si sono sentiti traditi e abbandonati dalle istituzioni che avrebbero dovuto proteggerli. Da allora un grande silenzio cosparso di cenere è sceso sugli avvenimenti di gennaio di un anno fa a Niamey. 

La rimozione sociale di un fatto come questo segue tappe e usa dispositivi collaudati. La citazione di Martin Niemöller ne rappresenta un esempio istruttivo. In ogni società umana confiscare o mutilare i diritti di una parte del popolo equivale a sottrarli a tutti. Il corpo sociale nel suo insieme si indebolisce. I diritti in effetti sono indivisibili. L’ablazione dei diritti di una parte dei cittadini abbassa “le difese” etiche e dunque democratiche di tutta la società. La strategia di rimozione facilita l’uso della dimenticanza o dell’amnesia. Quest’ultima è una malattia che implica la perdita o una drastica diminuzione della memoria. Il tempo gioca la sua parte coprendo gli avvenimenti di una coltre di polvere nella speranza di nasconderli agli occhi della memoria. C’è allora il vento del deserto che spazza e mette a nudo la verità.

All’epoca dei fatti le reazioni alle distruzioni delle chiese sono stati assai timide. La sorpresa, lo sconcerto e la vergogna per l’accaduto avevano paralizzato anche le menti più lucide. In questo anche la paura aveva giocato un ruolo importante. I fatti di Parigi con la pubblicazione “blasfema” della vignetta domandavano una giusta riparazione e vendetta. Le Chiese cristiane e quanto di occidentale sembrava apparire complice del misfatto erano da punire. Fuoco eterno per gli infedeli. Una grande manifestazione governativa contro Boko Haram aveva chiuso la bocca a ogni altra reazione della società civile.In fondo era accaduto solo quanto ci si era meritato.

I responsabili delle Chiese cristiane, assieme alle comunità, si erano affrettati ad offrire il perdono a coloro che avevano perpetrato detta violenza. Perdonare prima ancora di sapere chi si perdona è un gesto di coraggio e di follia. Un perdono senza condizioni e senza complessi di inferiorità. Un perdono come fatto totale.

Il perdono non è sinonimo di dimenticanza e neppure di impunità. Sarebbe tradire due volte i morti, le sofferenze e l’umiliazione di essere stati profanati nell’intimo della coscienza. La memoria sviluppa una relazione dinamica col passato e così può generare futuro. Non si cambia il passato ma può cambiare lo sguardo su di esso. Il perdono implica la verità, la giustizia e la riparazione.

Poco di questo è accaduto nella società nigerina. Col rischio di incentivare la propagazione dell’amnesia in questa parte del Sahel già dimenticato.

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