Originale: http://www.slguardian.org/ Fonte: Counterpunch http://znetitaly.altervista.org/ 19 agosto 2016
La rivoluzione democratica dilaga in Etiopia di Graham Peebles direttore dell’organizzazione Create Trust Traduzione di Maria Chiara Starace
Dopo essere stata costretti al silenzio dal terrore per oltre 20 anni, gli Etiopi stanno ritrovando la loro voce e chiedono un cambiamento politico fondamentale. Im migliaia sono scesi nelle strade nelle recenti settimane e mesi per protestare pacificamente contro il partito di governo, esprimendo la loro rabbia collettiva per le ingiustizie e le diffuse violazioni dei diritti umani che si verificano in tutto il paese e chiedendo elezioni democratiche.
Il popolo insorge Le persone si sono svegliate e il superamento della paura e le differenze storiche hanno cominciato a unire. I due principali gruppi etnici stanno dimostrando per una causa comune: libertà, giustizia e l’osservanza dei loro riconosciuti diritti umani costituzionali. I due maggiori partiti di opposizione, il Fronte Democratico Oromo (ODF) e il Movimento Patriottico Ginbot 7 per l’Unità e la Democrazia (PG7), si sono alleati nella lotta per rovesciare il regime in carica e cercano di mettere insieme altri gruppi di opposizione. Le proteste sono dominate da persone al di sotto dei 25-30 anni di età; giovani collegati con il mondo attraverso i media sociali e che non sono più pronti a vivere nella paura, come ha detto al New York Times Seyoum Teshome, un lettore universitario dell’Etiopia centrale: “Tutti i giovani stanno protestando. Una generazione sta protestando.” Al momento le dimostrazioni sono in gran parte limitate alle regioni Oromia e Ahmara, ma con il crescere della fiducia in se stessi, ci sono tutte le possibilità che altre regioni potrebbero impegnarsi, facendo crescere il numero dei dimostranti, sopraffacendo le forze di sicurezza. Quando c’è unità e un’azione collettiva coerente e pacifica, i governi alla fine sono costretti ad ascoltare (è stato dimostrato inondo altre parti del mondo), e viene attirata l’attenzione della comunità internazionale. L’Etiopia riceve tra un terzo e la metà del suo bilancio federale in vari blocchi di aiuti dai benefattori internazionali. Irresponsabili paesi donatori considerano l’Etiopia un alleato nella ‘cosiddetta guerra al terrore’, una paese stabile in una regione di instabilità dove l’illusione della stabilità è mantenuta mantenendo repressa la popolazione. A loro totale vergogna i principali paesi benefattori – America, Gran Bretagna e Unione Europea, hanno ripetutamente ignorato i gridi delle persone e hanno fatto finta di non vedere le violazioni dei diritti umani perpetrati dal partito al governo, che in molti casi costituiscono terrorismo di stato. E’ un’ indifferenza che confina con la complicità.
Rimanete pacifici Questo è un momento storico che potrebbe portare al rovesciamento del governo – un giorno atteso dalla maggioranza degli Etiopi – e a dare inizio a quello per cui hanno fatto una campagna gli attivisti e i gruppi di opposizione: elezioni corrette e democratiche e un dibattito politico aperto. Nessuno di queste, malgrado le false dichiarazioni di Obama e di altri come lui, sono state mai attuate con la coalizione denominata EPRDF –(Ethiopian People’s Revolutionary Democratic Front) – Fronte Democratico Rivoluzionario del Popolo Etiope. Di fatto l’Etiopia non ha mai conosciuto la democrazia. E’ essenziale che i dimostranti rimangano per lo più tranquilli, malgrado la brutale reazione del governo – è stata davvero brutale – e che non si trasformi in un conflitto etnico in cui le forze militari della regione del Tigrai leali al governo, si sono scagliate contro i gruppi delle regioni Oromia, Amhara, Ogaden e di altri luoghi. Imbracciare le armi per scontri di qualsiasi portata non soltanto rischierebbe di causare un gran numero di vittime e caos nazionale, ma, inoltre, permetterebbe al regime di diffondere false rivendicazioni di terrorismo, di attribuire l’insurrezione a influenze destabilizzanti e di ignorare le richieste dei dimostranti e dei partiti di opposizione. Il governo possiede l’unica compagnia di telecomunicazioni e anche praticamente tutti gli organi di stampa del paese, e cerca in tutti i modi possibili di condizionare i servizi giornalistici dei media internazionali. Chiude regolarmente Internet nel tentativo di rendere più difficile ai dimostranti comunicare, e senza dubbio cercherà di manipolare le cronache riguardanti le proteste. Data, però, la copertura che inonda i media sociali, molta della quale fa vedere che il cosiddetto ‘personale della sicurezza’ malmena in modo indiscriminato, e anche i resoconti diretti, il governo non sarà in grado di sopprimere o di inquinare la verità.
La brutale reazione del governo L’Etiopia è composta da moltissime tribù e da una molteplicità di gruppi etnici. Gli Oromo e gli Amhara (rispettivamente il 35% e il 27% della popolazione) ne costituiscono la maggioranza e giustamente sentono di essere stati ignorati ed emarginati dal governo del TPLF (Fronte di Liberazione Popolare dei Tigré) dominato da persone di etnia Tigray (il 6%) che gestisce anche le forze armate. Ed è proprio nell’Oromia e nella città di Gondar nella regione dell’Amhara, nelle scorse settimane e mesi che si sono concentrate le proteste, alle quali il governo ha reagito con prevedibile violenza. E’ impossibile dichiarare il numero esatto dei dimostranti uccisi dalle forze governative nella scorsa settimana. Al Jazeera riferisce che “nell’Oromia sono stati uccisi 48/50 dimostranti,” ma l’emittente satellitare, ESAT News, dice che varie fonti hanno rivelato che soltanto negli scorsi giorni (fino al 10 agosto) almeno 130 persone sono state assassinate nella regione dell’ Oromia …mentre altre 70 sono state massacrate nell’Amhara.” Senza dubbio la cifra reale è molto più alta dell’una o dell’altra. I residenti della città di Bahir-Dar hanno detto al quotidiano The Guardian che “i soldati sparavano proiettili veri contro i dimostranti. Gli ospedali si sono riempiti di morti e di feriti.” Migliaia sono stati arrestati e, riferisce l’ESAT, le forze di sicurezza chiedevano il pagamento di un riscatto dalle famiglie dei giovani che erano stati arrestati dopo aver protestato nella capitale, Addis Abeba. Malgrado il fatto che la libertà di assemblea sia chiaramente scritta nella costituzione etiopica (Articolo 30) il Primo Ministro, Haile Mariam Dessalegn, ha annunciato un divieto assoluto per le dimostrazioni che, ha detto, “minacciano l’unità nazionale”. Ha fatto appello ai poliziotti che non hanno bisogno di alcun incoraggiamento per comportarsi come delinquenti, di usare tutti i mezzi a loro disposizione per fermare le proteste. Il Ministro delle Comunicazioni, Getachew Reda è intervenuto e ha definito illegali le proteste. Tutto questo è irrilevante e naturalmente è fuori tema. Turbato e sconvolto per la violenta reazione alle proteste, l’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Diritti Umani ha esortato il governo a permettere l’accesso agli osservatori internazionali nelle regioni interessate per essere in grado di stabilire che cosa esattamente accadeva.” Il portavoce definì le informazioni che uscivano dall’ Amhara e dall’ Ormoia “estremamente allarmanti”, dicendo che non c’era stato nessun vero tentativo di assicurarne la responsabilità, dato che i rapporti circa abusi da parte delle forze di sicurezza avevano cominciato a emergere in dicembre. La reazione del governo, arrogante, per non dire vigliacca, era stata di rifiutare la richiesta; Getachew Reda, senza una venatura di ironia, ha detto ad Al Jazeera che l’ONU aveva diritto di esprimere la sua opinione, ma che il governo dell’Etiopia era responsabile della sicurezza del suo popolo.” Forse se i principali benefattori dell’Etiopia cominciassero a fare il loro dovere, e a fare pressione al regime, i membri di questo sarebbero più concilianti. Rifiutando di entrare in contatto con i gruppi di opposizione e credendo totalmente nel potere della forza e nella paura per controllare le popolazioni, le dittature come l’EPRDF rispondono istintivamente alle richieste di libertà e giustizia intensificando proprio le misure repressive che stanno motivando l’insurrezione popolare: i giorni di un regime così totalitario stanno rapidamente giungendo ala fine: è un corpo che si sta disintegrando e che va verso l’estinzione.
Lo slancio inarrestabile per il cambiamento Per anni il governo etiope e i maggiori benefattori del paese hanno propagato la bugia che la democrazia e lo sviluppo sociale prosperavano nel paese. Dato che la gente protesta, quel mito sta iniziando ad andare totalmente in fumo. La pura verità è che il governo dell’EPRDF, al potere dal 1991, è un regime violento e non democratico che ha sistematicamente represso la popolazione negli scorsi 25 anni. Non c’è libertà di espressione, la magistratura è un burattino dello stato, i capi dell’opposizione politica come anche i giornalisti e chiunque esprima apertamente il proprio dissenso vengono messi in prigione (spesso sono torturati) e le loro famiglie vengono perseguitate. Gli aiuti umanitari, le occasioni di lavoro e di istruzione superiore, vengono distribuite su base partigiana, e qualunque crescita economica ci sia stata (molto declassata di recente dal Fondo Monetario Internazionale), è in gran parte affluita nei forzieri dei funzionari di governo e dei loro sostenitori. Un movimento sociale di protesta si è andato costruendo con crescente intensità fin dall’elezione generale del 2010 (come quelle prima di allora e da allora, è stata rubata dall’EPRDF), e ora sembra che lo slancio sia inarrestabile. Non importa quanti coraggiosi dimostranti uccideranno la polizia e i militari – certamente continueranno a uccidere, arrestare, intimidire, perché questa volta c’è una vera probabilità che le persone non saranno ridotte al silenzio; non saranno più negati loro i diritti. Percepiscono, come anche un gran numero di persone dovunque, che un’energia di cambiamento sta dilagando in tutto il mondo, che loro sono in sintonia con i tempi e che questo è il momento di unirsi e di agire. Iniziate nell’Oromia nel marzo 2014 e intensificatesi lo scorso novembre, grandi dimostrazioni sono state organizzate contro i piani governativi di estendere la capitale Adis Abeba al territorio agricolo nell’Oromia. Sono iniziate a Ginchi, una cittadina a sudovest della capitale e si sono estese a oltre 400 località in tutte le 17 zone dell’Oromia. Nello stesso tempo i dimostranti protestavano a Gondar chiedendo, tra le altre cose, il diritto di frequentare l’università. L’EPRDF ha reagito schierando polizia armata e militari che hanno usato “forza eccessiva e letale contro proteste in gran parte pacifiche.” L’Osservatorio per i Diritti Umani (HRW) afferma che oltre 400 persone innocenti sono state uccise; L’ESAT, però cita una cifra anche più alta, e dice che “almeno 600 dimostranti sono stati uccisi negli scorsi 9 mesi” nella regione dell’Oromia. Le proteste nell’Oromia e nell’ Amhara son state innescate da problemi specifici: il territorio, l’uso della terra, le elezioni rubate nel 2015 e l’attaccamento al potere, paranoico e non democratico dell’EPRD. Queste, tuttavia, non sono le cause di base, ma cause scatenanti, una serie di “ultime gocce” poste in cima a due decenni di repressione violenta e di ingiustizia. Queste violazioni non sono limitate a queste regioni più importanti, ma vengono sperimentate più o meno in tutto il paese: nella regione di Gambella, per esempio e in quella di Ogaden, per esempio, dove sono avvenute atrocità di ogni genere, supportate dallo Stato. Il governo dell’EPRDF ha tentato di governare l’Etiopia per mezzo dell’intimidazione e della paura. Questi metodi rozzi e violenti avranno successo soltanto per poco: alla fine la gente si unirà e si ribellerà come sta facendo adesso, con tutta la forza per la loro causa che è totalmente giusta. Da: Z Net – Lo spirito della resistenza è vivo www.znetitaly.org Fonte: http://www.counterpunch.org/2016/08/19/democratic-revolution-sweeps-ethiopia |
top |