Originale: Truthdig

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23 marzo 2015

 

Il giornalismo come sovversione

di Chris Hedges

Traduzione di Maria Chiara Starace

 

L’assalto del capitalismo globale non è soltanto un assalto economico e politico. E’ un assalto culturale e storico. Il capitalismo globale cerca di cancellare le nostre storie e le nostre Storie. I suoi sistemi di comunicazione di massa che propagano   una falsa intimità con le celebrità fabbricate e un falso senso di appartenenza nell’ambito di una cultura consumistica mercenaria, hanno escluso  le nostre voci, speranze e sogni.  Pettegolezzi osceni sulle e gli intrattenitori, spaventosi  storie di violenza  e  vacue banalità sostituiscono nel discorso nazionale il vero e il reale.  L’obiettivo è una vasta amnesia storica.

Le tradizioni, i rituali e le lotte dei poveri e degli uomini che lavorano e delle donne che lavorano sono sostituite dalla insipida  omogeneizzazione della cultura di massa.   Le complessità della vita sono ridotte a stereotipi semplicistici. Le esperienze comuni si incentrano  su  ciò con cui siamo stati alimentati dalla televisione e dai mass media. Diventiamo atomizzati e alienati. La solidarietà e l’empatia vengono distrutte. Il culto dell’io diventa importantissimo. E una vola che il culto dell’io è supremo,  siamo schiavi del monolito delle grosse aziende.

Mentre i mass media, ora uniformemente in mano alle grosse società per azioni, trasformano le notizie in la ridicola cronaca di pseudo-eventi e pseudo-controverse, diventiamo sempre più invisibili come individui. Qualsiasi modo di riferire la verità – verità su ciò che i potenti ci fanno e sul modo in cui lottiamo per resistere e mantenere la nostra dignità e il rispetto di noi stessi – si spezzerebbe e dividerebbe la popolazione globale che deve essere trasformata in un insieme di consumatori compiacenti e in soggetti ubbidienti delle grosse aziende. Questo ha reso sovversivo il giornalismo, il vero giornalismo. E ha fatto diventare P. Sainath – che ha passato più di 20 anni percorrendo  una serio di villaggi indiani rurali per assicurare che le voci dei poveri del paese siano sentite, registrate e celebrate- uno dei giornalisti più sovversivi giornalisti del subcontinente. Ha documentato tenacemente i circa 300.000 suicidi di contadini indiani disperati, accaduti negli scorsi 19 anni – uno ogni mezz’ora – nel suo libro “Everybody Loves a Good Drought: Stories From India’s Poorest Districts” [Ognuno ama una buona siccità: storie dai distretti più poveri dell’India]. E in dicembre, dopo aver lasciato il quotidiano The Hindu, dove era il redattore per gli affari rurali,  ha creato il People’s Archive of Rural India.[L’archivio della gente dell’India rurale].  Lavora senza percepire alcuna paga. Fa affidamento su un piccolo esercito di volontari. Dice che il suo archivio si occupa della “vita quotidiana delle persone comuni.” E, poiché è una piattaforma per un insieme di mezzi diversi  che comprendono stampa, fotografie fisse, audio e filmati, e anche una biblioteca online per le ricerche, è un modello per coloro che cercano di raccontare le storie che il capitalismo globale tenta di cancellare.

“Storicamente, le biblioteche e l’archivio sono stati controllati dal governo e dagli stati,” ha detto quando di recente ci siamo incontrati a Princeton, N.J., dove insegna all’Università omonima, per il semestre. “Anche queste sono state bruciate da governi, stati e regimi fin dall’epoca della biblioteca di Alessandria. Seconda cosa, gli archivi sono stati oggetto di grande censura statale. Si secreta qualcosa che non si permette alle persone di sapere. Nell’Europa medievale e altrove, la gente si opponeva a venire documentata. Sapevano che registrare e misurare i loro beni era il primo passo verso il sequestro di quei beni a favore della classe governante. Da qui l’idea dell’archivio del popolo non controllato dagli stati, dai governi o da altre figure con un’autorità. Questo è un archivio al quale le persone possono accedere, dove possono creare, possono costruire e autenticare. Quindi l’idea è diventata l’archivio del popolo.”

Non è diverso da quello che ho fatto per 35 anni come giornalista, specialmente i miei 22 anni come giornalista a tempo pieno nella campagna indiana,” mi ha detto. La grossa differenza è che una piattaforma  digitale mi permette di fare quello che facevo prima, ma su una scala infinitamente maggiore e in collaborazione con centinaia di altri giornalisti. Questo sito ha due predilezioni: il lavoro, il lavoro delle persone, il modo in cui la nazione e la società dipendono  del loro lavoro. La seconda sono le lingue.”

Il lavoro di Sainath è una corsa contro il tempo. Si lamenta che negli scorsi 50 anni siano morte circa 220 lingue indiane. Soltanto 7 persone,  nello stato indiano di Tripura, per esempio, ora parlano la lingua Saimar. E non sono soltanto le lingue che si vanno estinguendo. I diversi stili di tessitura, i poemi epici e le storie raccontate dai narratori itineranti, le danze e le canzoni folk, le mitologie, le tradizioni popolari, gli stili della ceramica locale e i commerci rurali come quello degli spillatori di toddy che si arrampicano su 50 alberi al giorno di palma da cocco per  spillare  la linfa per farne un liquore fermentato che si chiama toddy, stanno tutti scomparendo, lasciando il mondo sempre più impoverito e dipendente da prodotti fatti in serie e da pensiero prodotto in serie.

Sainath è determinato a salvare tutte le circa 780 lingue dell’India, molte di queste vecchie migliaia di anni, parlate da 883 milioni di indiani che vivono nelle campagne. E ha mandato  cineasti nei villaggi per “catturare” la profonda umanità dei poveri mentre lottano per  resistere  in  un mondo che è sempre più ostile alla loro esistenza. Per esempio, il sito dell’archivio ha un film di commozione potente su un danzatore di 21 anni,  Kali Veerapadran, intitolato “Kali: The Dancer and His Dreams” [Il danzatore e i suoi sogni].” Cresciuto da sua madre in dura povertà in un villaggio di pescatori, il ragazzo diventa  esperto della forma indiana di danza classica nota come Bharatanatyam  e di tre forme di danza folk Tamil (una di queste ha forse 2.000 anni), e si sta avviando a frequentare la principale accademia di danza del paese e infine a far parte della troupe di danza classica professionale dell’accademia.

Chi visita il sito  può anche vedere e sentire 5 ragazze di una scuola rurale piccola e miseramente attrezzata che cantano in inglese, la canzoncina della patata:

Patata, patata

Oh, mia cara patata,

Mi piace la patata

Ti piace  la patata

Ci piace la patata

Patata, Patata, Patata.

Il primo ringraziamento in ogni film sul sito va alla persona la cui storia si sta raccontando, il secondo al suo villaggio o comunità, il terzo al direttore.

Il giornale di Sainath non è una visione romantica della gente rurale povera. Documenta il loro lato più oscuro, il brutale sistema delle caste e il feudalesimo sotto il quale vivono, il loro lavoro obbligato, l’assoggettamento che  impongono a ragazze e a donne, i loro pregiudizi. Queste condizioni e pratiche, dice Sainath, dovrebbero sparire, ma ciò che è positivo, che dà alle persone il senso del sacro e il senso del loro essere in quanto individui, deve essere raccontato e protetto.

“Non siamo là per adorare il prodotto finale,” ha detto. “Vi mostriamo il processo lavorativo. Il nostro    vasaio   non una persona che sta seduta nella sala della mostra     e che parla con voi.  Il nostro  vasaio   è una persona che scende nei fossi  dopo la pioggia e che scavando cerca la creta, con le mani e stando in ginocchio per terra. Lo vedete che si lamenta per essere rimasto senza creta perché i tizi delle agenzie immobiliari si sono impadroniti della zona. Vedete che stiamo rimanendo senza creta. Vogliamo che rispettiate quel lavoro. In India il lavoro è invisibile. Tantissimo è fatto dalle donne. Ho scattato fotografie per 10 anni per farne poi  un mostra che si chiama ‘Lavoro visibile, donne invisibili,’ scattate in 10 stati diversi. E’ l’unica mostra fotografica in India che è stata vista da oltre 700.000 persone, perché la porto nei villaggi dove sono state fatte le foto. Sul sito web abbiamo digitalizzato la mostra completa. Ogni pannello   dura due minuti e mezzo. Si può guardare il video e leggere il testo originale e le statistiche. Si possono vedere le foto originali in risoluzione più alta. Se guarderete il video…sarà come se vi guidassi in un giro del    pannello. Non mi vedrete, ma sentirete la mia voce. Avete quindi il video, l’audio, il testo e la foto, tutto integrato.  E’ molto simile alla vera mostra quando andate su internet.”

Sul sito ci sono delle foto di uomini in bicicletta che trasportano circa 204 kg. di

rami di bambù.

“E’ al di là delle mie capacità capire come li abbia caricati sulla bicicletta,” ha detto Sainath parlando di uno dei “trasportatori” di bambù. “Se però leggerai la notizia, vedrai come ha fatto. Ha rinforzato la bicicletta con il bambù.  Ha delle sbarre orizzontali e verticali di bambù e vi appoggia sopra i bambù grandi.”

Sainath ha detto che dato che la stampa è diventata costantemente aziendalizzata, coloro che cercano di raccontare la storia dei braccianti e degli operai sono stati estromessi.

“C’erano 512 giornalisti accreditati che facevano i servizi sulla settimana della moda a Mumbai e 6 giornalisti che trattavano i suicidi dei contadini, i peggiori suicidi di  contadini del mondo,” ha detto. “E i sucidi continuano ancora. In parte il motivo è che ai media non interessano, ma è anche a causa dei media sempre più legati alle grosse aziende. Di solito c’erano 50 0 60 grosse case editrici in India che avevano connessioni con i media a livello statale o regionale. A livello nazionale, ci sono ora 10 grosse case editrici e soltanto tre che contano nella lega dei mega-guadagni.”

“Il massimo crimine che si commette in una colonia è rubare la storia di un popolo,” ha detto. “C’è un  detto africano molto carino: ‘Se i leoni fossero degli storici, i racconti della giungla non sarebbero sempre a favore del cacciatore.’ Il vincitore scrive la storia. Due terzi dell’India vive in zone rurali ed io ero il solo redattore rurale nel subcontinente. E quando ho lasciato quell’impiego [l’anno scorso] è stata la fine di quella carica.”

Essersi  legato alle grosse aziende ha cambiato in forma molto essenziale di ciò di cui tratta il giornalismo,” ha detto. Il giornalismo riguarda la comunicazione, riguarda la informazione, riguarda la connessione con la propria società. Riguarda una società che fa conversazione con se stessa.  Questa ricchezza del giornalimo è stata ridotta, come è accaduto negli Stati Uniti. Il giornalismo è  un ulteriore  flusso di entrate  per un’azienda che ha già altre 100 flussi di entrate.  Non ci sono monopoli dei media nel vecchio senso. Gli odierni monopoli dei media sono piccoli rami di conglomerati molto più grandi. Mentre una volta erano di per sé giganteschi monopoli, questi sono ora profondamente radicati in altre aziende per mezzo di intrecci di direzioni. Murray Kempton dice (criticamente) che il lavoro  del giornalista che scrive editoriali è di scendere nella valle dopo che la battaglia è finita e sparare ai feriti. Questo è ciò che fa oggi il giornalismo tradizionale. Guardate questo slogan sul dire la verità al potere. Come se il potere fosse così ingenuo. Poverini, se diciamo loro la verità, cambieranno    i loro modi? Io dico: dite la verità sul potere alle masse che sono alla mercé del potere.”

“Sappiamo che cosa sta accadendo in Iraq,” ha detto. “Sappiamo che cosa sta accadendo in Afghanistan. Pensate che il potere non lo sappia? Sappiamo chi ha reso possibile la creazione dell’ISIS, chi è il socio inadempiente. Sappiamo chi vuole aiuto dall’Iran per come trattare con l’ISIS e l’Iraq. Non credo nell’innocenza del potere”

“Se fai dei servizi sui suicidi nelle campagne, e ti attieni alla notizia e vuoi raccontarla, ti chiamano attivista,” ha detto. “[Ma] se stai seduto per 30 anni in redazione a lucidare lo sgabello con il la parte posteriore dei tuoi calzoni,   producendo metri su metri di notizie prese dai comunicati stampa –ebbene, allora sei un professionista. Sarai anche tenuto in grande considerazione , un professionista rispettabile, perché le grosse aziende ti rispettano. Il miglior giornalismo è sempre nato dai dissidenti. Il giornalismo è anche un arte del dissenso. Quanti giornalisti dell’establishment ci ricordiamo un anno dopo che sono morti? Pensate ai giornalisti contrari all’establishment. Pensate a Thomas Paine e a John Reed.‘Ten Days that Shook the World’ [ Dieci giorni che sconvolsero il mondo], di John Reed, verrà letto mille anni dopo che tutti i best seller scritti dai giornalisti del New York Times saranno nel tritacarta.  I grandi giornalisti sono tutti dissidenti. Hanno detto la verità contro il potere e sul potere. Il giornalismo del dissenso è il giornalismo più ricco che abbiamo. E il Terzo Mondo e i paesi che erano colonie hanno tradizioni di gran lunga più ricche che l’Europa. Nelle colonie il giornalismo era figlio della lotta per la libertà.”

“Raja Ram Mohan Roy aveva fondato il primo giornale di proprietà indiana,” ha detto Sainath che il nipote di V.V. Giri (1894-1980) una volta capo del Congresso Nazionale e presidente dell’India. “Dal primo giorno, nel 1816, il giornale  ha combattuto per il risposarsi, contro l’uccisione delle neonate e per il diritto all’istruzione. Il giornalismo indiano  non ha chiesto scusa per avere una prospettiva, per avere qualcosa da dire e per non cercare di nasconderla nell’espressione evasiva

‘da una parte, dall’altra’. Il giornalismo era un dibattito nell’ambito della società, una conversazione con una nazione e uno strumento radicale di cambiamento sociale. Per quale altro motivo Gandhi o Ambedkar hanno fondato 4 0 5 giornali. Per divertimento? Hanno perduto soldi in tutti. Questo giornalismo ha un’autorità morale, ma nelle scuole americane di giornalismo è considerato privo di obiettività. I miei valori sono radicati nel giornalismo della lotta per la libertà che non è servita  soltanto a buttare fuori i Britannici, ma anche a creare qualcosa che si potrebbe chiamare una buona società. Tutti i combattenti per la libertà che vanno in prigione  erano anche giornalisti. Questo è il giornalismo con cui mi identifico.”

 


Da: Z Net – Lo spirito della resistenza è vivo

www.znetitaly.org

Fonte: http://zcomm.org/znet/article/journalism-as-subversion

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