Tamaddun http://www.sirialibano.com/ 1 luglio 2015
Baniyas, Nella fabbrica dei barili-bomba di Faruq Tayyibi Traduzione di Claudia Avolio
Il barile-bomba − l’arma unica nel suo genere che le forze del regime hanno introdotto nell’arena del conflitto che imperversa nel Paese da oltre quattro anni − è un massiccio serbatoio metallico riempito di esplosivo e fertilizzanti organici e zeppo di oggetti in metallo taglienti. Può pesare dai 250 ai 500 kg e viene sganciato in modo indiscriminato dagli elicotteri del regime che volano ad alta quota per evitare di essere colpiti dalla contraerea dell’opposizione. Il barile atterra con tutta la forza della sua caduta libera sulle città e i paesi rivoltosi, mietendo vittime e feriti tra i civili. Nazih (pseudonimo), ingegnere civile di Baniyas, guarda infervorato sullo schermo del suo computer un video su YouTube in cui un elicottero sopra Daraya sgancia un grosso oggetto nero che cade rapidamente per sparire per un secondo o due dietro un complesso di edifici. Questo prima dell’orrenda esplosione di fumo, polvere e schegge, tra le grida e i “Dio è grande” di chi sta filmando. Tutto ciò getta un’ombra tragica sulla scena e dà un’idea del disastro che si è abbattuto su quella strada. Eppure Nazih conosce un altro lato della vicenda che si è svolta a 300 km da casa sua e sembra sapere più della punta visibile dell’iceberg: Nazih conosce la storia della fabbrica che ha prodotto e produce quei terribili strumenti di morte. Nel suo rapporto sull’argomento pubblicato alla fine del 2013, Amnesty International ha considerato l’uso dei barili-bomba “un crimine di guerra” e “una punizione collettiva” ingiustificabile. Secondo lo stesso rapporto, solo ad Aleppo i barili hanno raso al suolo un quarto dei rioni della città, cambiandone per sempre la fisionomia. Da Aleppo e Daraya verso un altro luogo che possiede un legame con questa storia, torniamo alla città di Nazih, Baniyas, piccola città costiera oggi tranquilla dopo aver fronteggiato gli eventi seguiti alle manifestazioni del 2011 e il terribile massacro cui sono stati sottoposti i civili per mano degli shabbiha nel 2013.
Gli inizi della raffineria di Baniyas In questa città divisa come il Paese da fratture confessionali e politiche si trova la “fabbrica dei barili” − come la chiama Nazih − e a quanto pare è un segreto che tutti conoscono. Qui non c’è nulla di segreto né di pericoloso che Nazih abbia scoperto. Lui che non ha neanche 40 anni e che da 10 lavora nella raffineria petrolifera costruita da una ditta rumena a Baniyas all’inizio degli anni ’70 del secolo scorso. Da quando la produzione di petrolio in Siria si è contratta del 90% dopo che lo Stato islamico ha preso il controllo dei pozzi di petrolio, quest’azienda non ha più molto lavoro da svolgere. Nazih racconta stupito: “Usano l’officina adibita alla manutenzione e alla saldatura dei condotti per fabbricare questi barili”. Nonostante sia trascorso un mese da quando ha scoperto per caso la cosa, sembra evidentemente ancora sotto shock. “Uno dei miei compiti − continua − prevede che io visiti la sede di un’officina di manutenzione e saldatura dei condotti. Nell’ampio cortile sul retro dell’edificio ho visto le strutture vuote dei barili in fase di costruzione: non c’è stato bisogno di spiegazioni ulteriori. Era tutto chiaro”. Nazih racconta poi di essersi rivolto al suo collega ingegnere a capo dell’officina, un uomo sulla cinquantina che Nazih trovava simpatico e con cui amava bere il tè di tanto in tanto. Con semplicità gli ha chiesto informazioni sulla questione, e il capo dell’officina con semplicità ancora maggiore gli ha risposto: “Qui fabbrichiamo i barili che colpiranno i bastardi e li bruceranno”. Non è stato facile per Nazih ignorare la nota confessionale che pervadeva le parole pronunciate dal capo dell’officina, che è alawita, la stessa comunità cui appartiene il presidente.
Armi a basso costo e di produzione locale Dice ancora Nazih: “Ho provato a spiegargli che i barili sono un’arma che non fa distinzioni e cieca, ma non mi ha dato ascolto… Forse era seccato”. In un tono venato d’orgoglio, il capo dell’officina ha poi spiegato nel dettaglio il modo in cui si fabbricano i barili, con sorpresa di Nazih. Ha parlato di grandi viti e bulloni e di triangoli metallici affilati, avanzi delle operazioni di taglio e saldatura degli oleodotti, tutti pressati nel centro del barile riempito di esplosivo. All’improvviso, dopo aver guardato noncurante intorno a sé gli ammassi di rottami scartati che sarebbero diventati parte di un barile, Nazih ha chiesto: “Quando costa fabbricarne uno?” “Meno di 20 mila lire siriane (75 dollari)”, gli ha risposto il capo dell’officina. Dunque alla fine il regime si serve di un’alternativa a basso costo che non richiede ingenti somme di denaro né abilità tecnologica, di cui il mondo ha visto però l’orribile potenziale di devastazione che si è abbattuto su Aleppo, sui sobborghi di Idlib e su tutte le zone che si sono ribellate e che ha ucciso migliaia di persone e distrutto le abitazioni, stando al resoconto delle reti per i diritti umani in Siria. “È terribile che 75 dollari siano in grado di strappare la vita delle persone e causare una distruzione che non distingue tra civili e gente armata, ed è ancora più terribile celebrare la cosa e dipingerla come un successo militare”, commenta Nazih. Una portavoce dell’ufficio stampa di Latakia dell’Unione dei Comitati locali della rivoluzione siriana dice: “Probabilmente la fabbrica di Baniyas non è l’unica, c’è la fabbrica di ferro di proprietà di Ayman Jaber che si trova tra Jabla e Baniyas e non è distante dalla prima”. Ayman Jaber è un imprenditore di Latakia che gode di stretti rapporti con la famiglia degli Asad e con il suo regime. Con l’inizio del fermento in Siria il suo nome è salito alla ribalta nella zona, perché rappresentava e continua a rappresentare un mix micidiale costituito dall’alleanza di uomini d’affari corrotti con il sistema di sicurezza. Nutre poi le sue attività e la propria reputazione reclutando giovani alawiti poveri nelle milizie degli shabbiha in cambio di ricompense in denaro. Testimoni oculari dell’ufficio stampa di Latakia sostengono che dei camion trasportano i barili dalle fabbriche al vicino aeroporto di Jabla e da lì agli aeroporti di Hama, Aleppo, Abu az Zuhur (Idlib) e altrove. Alcuni dei fedelissimi del regime affermano che si è incominciato a utilizzare i barili non all’inizio degli eventi in Siria, ma solo quando la comunità siriana delle regioni interne si è trasformata in un’incubatrice di terrorismo e che perciò la cosa deve essere affrontata con ogni mezzo possibile. Questo argomento non sembra convincente per Human Rights Watch né per le Nazioni Unite o il Commissariato per i diritti umani. Pare non convincere neppure Nazih mentre siede a contemplare il Mediterraneo dal balcone della sua tranquilla casa a Baniyas, lontano dalla guerra feroce che continua senza sosta nel Paese. Vede un elicottero decollato dal vicino aeroporto di Jabla e non può fare a meno di pensare che ci siano un paio di barili caricati al suo interno prodotti dalla fabbrica della morte vicino a casa sua. Nazih segue la graduale ascesa dell’elicottero nel cielo. Il velivolo va a est e si dirige nell’interno del Paese, verso una nuova campagna di morte e guerra che sembra non avere una fine all’orizzonte. |