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6 giugno 2015

 

Siria e l'economia di guerra

di Omar Abdulaziz Hallaj

 

Il conflitto in Siria sta forgiando nuove forme di controllo del territorio, e una politica economica che non è diversa dal sistema clientelare precedentemente promosso dal partito di governo Ba'ath.

Come risultato degli sforzi di guerra e la necessità di entrate per finanziarli, l'economia nazionale è ormai profondamente influenzata da attività illecite come il commercio di antichità, olio e farmaci, così come il contrabbando, rapimenti, saccheggi ed espropri di terra extragiudiziali.

Warlords e gruppi armati, come lo Stato Islamico e il Fronte al-Nusra devono finanziare le loro campagne militari. Tuttavia, allo stesso tempo, devono bilanciare l'estrazione dei ricavi locali con la fedeltà delle popolazioni civili che controllano. Sono in gioco la loro reputazione e la loro capacità di raccogliere fondi da donatori stranieri, per perpetuare la loro governance coercitiva.

 

Questo documento propone una stima approssimativa della dimensione dei flussi di finanziamento utilizzati dai lealisti e dalle milizie ribelli. Il documento sostiene inoltre che i credi e le credenze avviate dal conflitto non sono più gli unici motori della violenza; infatti, l'avidità si va sempre più delineando nella natura delle ostilità e delle strategie adottate dai gruppi armati. Di conseguenza, il quadro proposto nel comunicato di Ginevra per raggiungere la pace in Siria non è in grado di farcela da solo a risolvere il conflitto. Le recenti esperienze di altri paesi suggeriscono che gli accordi politici transitori per il passaggio dei poteri non riescono a rimuovere i profitti di guerra.

Approcci supplementari per consentire un progressivo recupero dei mezzi di sussistenza e la fornitura di servizi locali dovrebbe essere considerato una parte fondamentale del processo di costruzione della pace. E' inoltre indispensabile prendere in considerazione altri fattori che sostengono l'economia di guerra, comprese le sanzioni internazionali e i finanziamenti esterni.

 

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6 giugno 2015

 

Syria and the war economy

By Omar Abdulaziz Hallaj

 

The conflict in Syria is forging new forms of territorial control, and a political economy that is not unlike the patronage system that was previously fostered by the ruling Ba’ath party.

As a result of the extended war efforts and the need for revenues to fund them, the national economy is now deeply affected by illicit activities such as trade in antiquities, oil and drugs, as well as smuggling, kidnapping, looting and extrajudicial land expropriations.

Warlords and armed groups such as the Islamic State of Iraq and al-Sham (ISIS) and Jabhat al-Nusra (or the al-Nusra Front) must fund their military campaigns. However, at the same time, they have to balance the extraction of local revenues with the loyalty of the civilian populations they control. At stake are their reputations and their abilities to raise money from foreign donors and to perpetuate their coercive governance.

 

This paper proposes a rough estimate of the size of the funding streams used by loyalist and rebel militias. The paper also argues that the creeds and beliefs that initiated the conflict are no longer the sole motors of violence; indeed, greed is increasingly shaping the nature of hostilities and the strategies adopted by armed groups.

As a result, the framework proposed in the Geneva Communiqué for achieving peace in Syria is not likely to succeed alone in solving the conflict. Recent experiences in other countries   suggest that transitional political arrangements for the transfer of power are failing to dislodge war profiteering.

Additional approaches to enable a progressive recovery of livelihoods and the provision of local services should be considered a key part of the peacebuilding process. It is also vital to consider other factors sustaining the war economy, including international sanctions and external funding.

 

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