http://www.ilfarosulmondo.it 9 dicembre 2015
Siria, i “ribelli” si ritirano da Homs
Dopo anni di assedio e crimini contro i civili, i “ribelli” siriani hanno iniziato questa mattina ad evacuare l’ultimo quartiere ancora sotto il loro controllo nella città di Homs, dopo un accordo raggiunto con il governo siriano. Tre autobus con a bordo 150 “ribelli” hanno lasciato oggi la zona di Waer, ex roccaforte dei miliziani, da loro denominata “la capitale della rivoluzione”. L’accordo è stato raggiunto all’inizio di questo mese e vedrà circa duemila miliziani e le loro famiglie lasciare il quartiere di Homs. Gli autobus si sono diretti verso l’area di Qalaat al-Madiq nella provincia di Hama, e successivamente nella provincia nord-occidentale di Idlib, dove alcune aree sono ancora sotto il controllo del Fronte al-Nusra e del Libero esercito siriano. All’inizio di questo mese, il governatore di Homs Talal Barazi ha dichiarato che tutti i “ribelli” avrebbero lasciato il quartiere di Waer entro due mesi, in cambio della cessazione delle operazioni militari dell’esercito siriano. La città è ritornata sotto il pieno controllo delle autorità siriane e ciò permetterà il rientro di migliaia di civili nelle loro case, fuggiti diversi mesi fa dalla furia becera dei cosiddetti “ribelli”. |
http://www.asianews.it 09/12/2015
I ribelli abbandonano Homs. L’opposizione accelera per risolvere la crisi, restano le divisioni di Elie Younan
Le fazioni ribelli hanno iniziato l’evacuazione della terza città del Paese. Per la prima volta in un anno consegnati aiuti in un quartiere conteso. A Riyadh si riunisce il “fronte islamico” in lotta contro Assad. Esclusi curdi e altri gruppi, che hanno promosso un altro incontro nel nord-est della Siria. Fonti diplomatiche di AsiaNews: passi positivi, ma la situazione resta “critica”.
In mattinata i ribelli siriani hanno iniziato le operazioni di evacuazione dall’unica area di Homs rimasta ancora nelle loro mani, in seguito all’accordo per il cessate il fuoco raggiunto di recente con le forze governative. Il patto siglato fra i due fronti implica il ritorno dell’intera della città, la terza per importanza della Siria, nelle mani di Damasco. Le milizie ribelli in ritirata si posizioneranno in alcune aree della provincia di Idlib. Intanto a Riyadh, in Arabia Saudita, e nel nord-est della Siria si sono aperte in questi giorni due conferenze che riuniscono i più importanti gruppi della galassia dell’opposizione; incontri che confermano, a prescindere dagli esiti, la frattura che permane nel fronte che lotta per la cacciata del presidente Bashar al-Assad e del regime di Damasco. Homs, nel centro del Paese, una popolazione di oltre 800mila persone, in passato è stata definita la “capitale della rivoluzione” e teatro di una delle prime proteste di piazza contro il presidente Assad, nella primavera del 2011. Per la prima volta in quasi un anno, grazie al cessate il fuoco voluto con forza dalle Nazioni Unite, è stato possibile consegnare cibo e aiuti in un sobborgo finora inaccessibile della città. L’accordo è stato raggiunto a inizio mese e prevede l’uscita di oltre 2mila membri delle fazioni ribelli e delle loro famiglie dal distretto conteso di Waer. Fonti diplomatiche di AsiaNews a Damasco, dietro anonimato, giudicano in modo “positivo” questa serie di incontri, “da Vienna ai movimenti di opposizione, fino al summit in programma la settimana prossima a New York”. L’auspicio è che questi tentativi portino “alla formazione di un tavolo per il negoziato”, anche se “la strada resta in salita ed è piena di mine, che potrebbero far saltare in aria in ogni momento il lavoro in atto”. Dal tavolo delle trattative, spiega la fonte diplomatica, saranno esclusi i gruppi armati estremisti come lo Stato islamico e al-Nusra. Intanto sul terreno la situazione resta sempre critica “con giornate di violenza estrema, con colpi di mortaio, bombardamenti che si alternano a momenti di relativa calma”. E anche in tema di aiuti e generi di prima necessità, la realtà “è di costante precarietà ed emergenza tanto a Damasco quanto nel resto della Siria, con particolare attenzione alle realtà più colpite dalla guerra”. Intanto oggi a Riyadh si è aperto un incontro che vede riuniti rappresentanti di (alcune) fazioni politiche e gruppi armati dell’opposizione siriana; escluse dal vertice le fazioni curde, invise ai sauditi. L’obiettivo è quello di dar vita a un fronte unito, in vista di un futuro negoziato con il governo siriano. L’iniziativa conferma il ruolo di primo piano che l’Arabia Saudita - prendendo il posto di Turchia e Qatar, in passato in prima fila nella lotta contro Assad - intende giocare nello scacchiere siriano; Riyadh preme per la creazione di un “Fronte islamico” (alleanza di gruppi ribelli riuniti per la prima volta a fine 2013) e per assumere il ruolo di leadership nel fronte armato che si oppone a Damasco. Del resto i sauditi non sono, in linea di principio, contrari a una soluzione negoziale della crisi ma vogliono partecipare al processo da una posizione di forza. Nel nord-est della Siria ha preso il via un altro incontro che coinvolge le fazioni curde e altri gruppi dell’opposizione siriana, che si contrappone in maniera netta alle forze riunite a Riyadh. A ospitare la due giorni di summit iniziata ieri la città di al-Malikiyeh, nella provincia di Hassaké, che vede riuniti i rappresentanti del Democratic Union Party, il principale movimento curdo in Siria, oltre che personalità religiose locali, gruppi arabi e altre forze dell’opposizione. L’obiettivo è il raggiungimento di una soluzione politica del conflitto basata su un sistema politico decentralizzato - che mantenga comunque unito il Paese - e la lotta ai gruppi estremisti e jihadisti. I partecipanti al vertice promosso dai curdi non risparmiano critiche al summit voluto dai sauditi, i quali escludono curdi e altre forze moderate, ma accolgono gruppi estremisti come Ahrar el-Cham, alleato al Fronte di al-Nusra, affiliato alla rete di al Qaeda. Mentre la diplomazia muove le proprie pedine, analisti ed esperti di politica siriana confermano che restano ancora diversi nodi irrisolti. In primis la mancanza di una vera e propria “opposizione” unita da contrapporre ad Assad. In secondo luogo vi sono fratture fra tre grandi attori regionali (Turchia, Arabia Saudita, Qatar) nel cercare di influenzare la scena siriana. Tali contrapposizioni sono anche ideologiche e tentano di prevedere un futuro per la Siria liberale, o di estrema sinistra, o islamista e salafita. In più l'estreema militarizzazione del conflitto rende difficile il negoziato sul versante diplomatico. |