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20 maggio 2015

 

La tragedia di Palmira vista da una siriana

di Viviana Vestrucci

 

La battaglia tra le milizie dello Stato Islamico e l’esercito siriano per la conquista di Palmira ha evocato lo spettro della distruzione di uno dei siti archeologici più importanti al mondo da parte dei fondamentalisti, come avvenuto per altre aree monumentali in Iraq e Siria. Ma l’allarme internazionale scattato per salvare l’antica Palmyra, “patrimonio dell’Umanità” per l’UNESCO, sembra invece avere ignorato il dramma degli abitanti della città nuova, che hanno pagato con oltre 60 civili morti, su 300 vittime, l’offensiva dell’ISIS, e che restano in grave pericolo.

Lo dice Eva Ziedan, attivista e archeologa siriana, che dal 2013 lavora a Beirut con un’organizzazione internazionale per un progetto legato all’emergenza umanitaria e collabora con il sito di informazione “SiriaLibano”. Laureata all’Università di Damasco, con un Dottorato di ricerca all’Università di Udine, è stata impegnata dal 2006 al 2010 in missioni nei principali siti archeologici siriani, tra cui proprio la Palmirena, regione desertica a ovest di Palmira.

Nell’intervista l’archeologa denuncia le conseguenze negative della disattenzione dei media occidentali per la sorte della popolazione e conclude amaramente di aver perso la speranza, perché sa “che non verrà fatto nulla, come avviene di fatto da cinque anni”.

 

Che rilevanza ha il sito di Palmira nel patrimonio culturale e storico della Siria?

Palmira è una delle più importanti città antiche ancora conservate. Sono attestate frequentazioni nell’area dal paleolitico e di lì sono passati cananei aramei, nabatei, arabi e romani. Il suo nome arabo Tadmor significa in lingua aramaica “la meraviglia” oppure secondo un’altra interpretazione “postièrla, luogo di guardia”, tuttavia il nome classico Palmyra, con il suo riferimento alle palme che circondano la città, sembra derivare dalla traduzione latina di tamar, il nome semitico della palma da dattero, scelto per assonanza con l’antico toponimo Tadmur.

Fiorì nel II e III secolo d.C. e divenne una capitale commerciale tra est e ovest fino ad entrare nella storia con il regno della regina Zenobia, che riuscì ad avere il controllo di quasi tutta la Siria, arrivando fino ai confini con l’Egitto: all’epoca le monete avevano la sua effige. Poi al suo regno pose fine l’imperatore Aureliano, che assediò la città nel 272 finché questa si arrese e la regine venne portata a Roma come trofeo di guerra.

Le rovine più importanti che si sono conservate sono il Tempio del Dio Baal, la via colonnata, il teatro, l’Agorà, la necropoli che si staglia all’orizzonte con le sue “tombe a torre”, e il campo di Diocleziano con le terme. Palmira è stata inserita dal 1980 nella lista redatta dall’UNESCO dei siti “Patrimonio dell’Umanità”. Nel 2013 è stata inserita nell’elenco dei patrimoni dell’Umanità in pericolo. Per noi siriani non è solo un patrimonio archeologico fondamentale, ma è anche una parte della nostra identità, questa stessa identità che sta per sparire.

 

Come è la situazione attuale della città?

Palmira in questi giorni è salita agli onori della cronaca per il pericolo di danneggiamento che il sito avrebbe con la conquista da parte dello Stato Islamico. Ma prima di dire che cosa rischia il sito all’arrivo dell’Isis, vorrei spostare l’attenzione su un fatto molto importante.

Sono archeologa tuttavia in questo momento non lavoro in questo campo. E anche se mi fa male il cuore pensare alle rovine di Palmira, dove andavo in gita da piccola con la scuola,e dove ho scavato e ho camminato nel deserto raccogliendo materiali di tutti i periodi storici, in primis vorrei ricordare la gente di Palmira!

La gente vive ancora nella città e nella steppa arida che la circonda, se la città viene assediata la gente muore di sete e di fame, se la città si trasforma in un luogo di conflitto sarà la gente a morire. Questo è grave quanto il rischio per il patrimonio storico-artistico, perché l’ingiustizia che passa sopra una terra rimane nella sua sabbia e la gente non dimenticherà mai.

 

L’occupazione da parte dell’ISIS quali conseguenze potrebbe avere per Palmira?

Palmira è già in pericolo da due anni, non solo negli ultimi giorni. Militarizzare le rovine archeologiche, vuol dire esporre il sito al rischio di distruzione in caso di conflitto tra le parti belligeranti.  Se l’Isis entrasse in Palmira, secondo alcuni ci sarebbe il rischio di una replica delle distruzioni fatte in Iraq al museo di Ninive e ai siti di Nimrud e Hatra. Tuttavia va detto che Palmira non è l’unico sito siriano importante nei territori dell’Isis. Lo Stato Islamico distrugge quando vuole esibire la devastazione e vende quello che non vuole fare vedere.

A volte ho paura dell’impatto dei media, perché l’allarme preventivo, senza poi poter fare nulla di concreto per proteggere il sito, potrebbe incoraggiare l’Isis a distruggere. Voglio fare esempio: dopo la distruzione delle sculture di Ninive da parte dello Stato Islamico, con la conseguente campagna mediatica occidentale di allarme per i siti, senza invece riservare la stessa attenzione ai massacri quotidiani della popolazione, c’è stata una reazione molto negativa verso il patrimonio da parte di molti siriani.

 

In che modo si potrebbe impedire la distruzione di questo sito?

Mi scuso, ma non ho niente da dire su questo punto, perché so che non verrà fatto nulla, come avviene di fatto da cinque anni. Più di 12 milioni ii siriani necessitano di aiuti umanitari di base: si tratta della metà della popolazione prima della guerra, più di 7 milioni sono sfollati interni, più di 4 milioni sono profughi, più di 300 mila sono sotto assedio in 40 aree in tutta la Siria e 300 siti archeologici sono stati danneggiati negli ultimi quattro anni.

Ho perso la speranza, e confesso che io, da essere umano e da archeologa che un tempo mi consideravo abbastanza libera per sentire ogni luogo del mondo come la mia terra, ora con fatica nascondo l’odio verso tutto, patrimoni internazionali inclusi, e i “due pesi e due misure” a seconda dei casi.

 


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