L'Huffington Post

29/07/2015

 

Padre Paolo Dall'Oglio: due anni fa in Siria il rapimento del gesuita voce del dialogo interreligioso in Medio Oriente

di Antonella Napoli

 

Da 731 giorni non si hanno più notizie di padre Paolo dall'Oglio, fondatore della comunità interreligiosa di Deir Mar Musa al-Habashio in Siria. Il gesuita, impegnato contro il regime di Assad sin dall'inizio del conflitto siriano, nella notte tra il 28 e il 29 luglio del 2013 fu rapito da un gruppo di miliziani armati nei dintorni di Raqqa, città nelle mani dell'insurrezione.

Pochi giorni fa Papa Francesco lo ha ricordato auspicando un ''rinnovato impegno delle autorità locali e internazionali'' per la sua liberazione, come dei vescovi ortodossi e delle altre persone che, nelle zone di conflitto, sono state sequestrate. Il suo monastero di San Mosè l’Abissino, nel deserto a nord di Damasco, era l'esempio di come la fede, nelle sue diversità, potesse unire piuttosto che dividere.

Proprio questo fu uno dei punti centrali dell'audizione che il 17 luglio del 2012 padre Dall'Oglio tenne davanti alla Commissione Diritti umani del Senato, uno dei suoi ultimi interventi pubblici.

Le sue idee sulla Siria erano in contrasto con quelle espresse sia dalla Chiesa siriana, sia dal Papa. Aveva più volte criticato la posizione italiana, senza risparmiare l'allora ministro degli Esteri, Emma Bonino, definita 'capofila dell'ignavia europea, una ignavia irresponsabile nei confronti della rivolta del popolo siriano'. Da questo elemento iniziò la sua relazione evidenziando come, nell’ambito della discussione sulla crisi siriana, si tendesse ad una certa smemoratezza.

Padre Paolo raccontò ai senatori accorsi alla seduta per ascoltarlo di aver partecipato ad una riunione, di fatto clandestina, di oppositori di tutte le provenienze culturali, ideologiche ed anche religiose. Erano stati radunati da un avvocato alauita, quindi vicino al regime per tribù, al quale l’impegno a favore dei diritti umani era costato una prigionia di circa cinque anni. Accanto a lui sedeva un anziano che aveva trascorso nelle carceri del regime ben 23 anni. "Se si fosse fatta la somma degli anni di carcere comminata ai partecipanti a quell’incontro - disse con un sorriso amaro - si sarebbe facilmente raggiunto il secolo".

Padre Paolo voleva sottolineare così che il carattere autoritario del regime non era una novità e che le camere di tortura non erano un’invenzione recente, ma parte dell’organizzazione della vita politica, sociale ed economica quale mezzo sistematico per soverchiare ed umiliare l’umanità dei cittadini attraverso lo strapotere dei servizi segreti e di sicurezza. Nonostante sapesse che continuare a rivolgere accuse al governo siriano gli avrebbe impedito di tornare a Deir Mar Musa al-Habashi non poteva tacere.

Quella della repressione era stata la costante degli ultimi 40 anni in Siria. Padre Paolo parlava con dolore di quanto lo avesse deluso il presidente Assad, che durante il primo decennio al potere era visto da molti come colui che avrebbe potuto traghettare il Paese, emancipandolo da una situazione di arretratezza che lo caratterizzava sul piano culturale, istituzionale e dei diritti, per orientarlo verso una maturazione sociale e civile adeguata ad uno Stato moderno e democratico.

Questo era il desiderio ed auspicio a cui in tanti avevano creduto ma per concretizzarlo sarebbe stato necessario prosciugare la palude delle mafie criminali, dei commerci di armi, dello strapotere dei servizi segreti così come della strumentalizzazione degli estremismi musulmani teleguidati per obiettivi di potere.

Il gesuita aveva tracciato un quadro ben chiaro della situazione e auspicava che la comunità internazionale avesse la stessa consapevolezza. "Non si può immaginare una possibile pacificazione negoziale mettendo sullo stesso piano il regime e la resistenza siriana, il boia e il torturato. Compiremmo un errore. Non è possibile farlo anche moralmente, seppure nel concreto la soluzione non possa che essere negoziale, soprattutto con le forze regionali in campo come l’Iran e la Russia" fu uno dei passaggi più forti e sentiti dell'audizione di padre Paolo ben cosciente che all'interno dei movimenti di opposizione ad Assad erano presenti anche posizioni integraliste.

Credeva fermamente che la missione della comunità internazionale non fosse solo quella di pacificare la Siria, giungendo ad una qualche forma di armistizio, ma che si arrivasse a tale risultato attraverso un processo di maturazione democratica. Era questa, allora, la grande richiesta dei siriani. E padre Paolo, voce del dialogo, la portava avanti convintamente.

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