http://www.partinicolive.it/ L’arcivescovo di Aleppo: «In Siria la cosiddetta Primavera araba ha fatto danni enormi» Monreale, “SIA LA PACE” il discorso dell’Arcivescovo Jeanbart Mons. Jeanbart si è rivolto all’assemblea raccontando con evidente commozione la situazione politica, economica e religiosa dell’intera regione, rispondendo alla fine alle domande dei giornalisti. 25 gennaio 2015 «Ho accettato volentieri l’invito del vostro vescovo di venire in Sicilia, così vicina a me per via della sue tradizioni bizantine e arabe. Certo essa è tristemente nota per la mafia, almeno come l’hanno veicolata i tanti film famosi che l’hanno fatta conoscere in tutto il mondo. Mi piace la Sicilia, così al cuore del Mediterraneo, così impregnata di cultura greca, romana, bizantina e araba, proprio come la Siria e Aleppo in particolare.» «Chi sono i cristiani siriani? Sono proprio quelli di cui ci raccontano gli Atti degli Apostoli nel giorno di Pentecoste. Quindi in Siria è presente la Chiesa sin dalle origini, li è nata la Chiesa.» «Questa è la ragione principale per cui noi cristiani (300.000 su una popolazione di 2 milioni) non vogliamo in nessun caso lasciare la Siria, e a questo aggiungo con fermezza, io in quanto pastore di questa Chiesa non lascerò mai questo popolo, morirò ma non lascerò i miei fedeli. Sono infatti convinto che il Signore mi chiederà conto del mio impegno, del mio coraggio e della mia speranza per questa porzione del suo popolo che mi è stato affidato.» «Devo ammettere che c’è stato un momento, all’inizio della guerra in cui ho pensato di andare via, ma il Signore mi è stato vicino e oggi a 71 anni mi sento più giovane di almeno 15 anni, non temo la delusione e lo scoraggiamento, so che il Signore si prende cura di me e dei suoi fedeli.» «Aleppo, la più antica città, era il vanto di bellezza cultura e storia di tutta la Siria e per quanto io ne possa parlare con orgoglio non sarà mai abbastanza per quanto essa realmente meriti. La Siria era un mosaico di religioni e riti, più di 15 gruppi di appartenenza religiosa ed etnica che vi hanno convissuto per secoli, e il governo riusciva a garantire a tutti una certa libertà di espressione e condizioni economiche accettabili. Tutte le scuole pubbliche erano gratuite e tutti potevano permettersi una casa. Certo i poveri c’erano ma non c’era la miseria.» «Ad Aleppo c’è l’università statale che contava circa un milione e mezzo di allievi, con più di 150 mila studenti che erano accolti gratuitamente e ben 15 mila alloggiati nella città universitaria al costo di un euro al mese.» «L’arrivo di quella che i media occidentali hanno insegnato a chiamare la primavera araba, ha distrutto questo equilibrio. E per noi non è stata una primavera che voleva portare la democrazia. Certo anche noi speravamo, visto che vivevamo in un regime semi dittatoriale, in cui il potere era centrato nelle mani del presidente. Ma egli stesso è rimasto travolto nel desiderio di allargare gli spazi di democrazia, ma che i moti rivoluzionari hanno distrutto.» «La rivoluzione è contro chi? Contro se stessi! Quali sono i costi di questa democrazia?» «Aleppo era una città abituata a vivere nella convivialità fra tutte le culture. Non c’era il Canale di Suez ma era il porto di Aleppo l’incrocio di tutti gli scambi. C’erano colonie di italiani francesi tedeschi austriaci olandesi e inglesi, e il dialogo e il rispetto reciproco erano alla base delle leggi di convivenza. Adesso è tutto distrutto.» «Cos’è cambiato: In Siria si sono concentrati molti, tanti interessi, sia delle potenze economiche occidentali: Francia, Inghilterra, America, ecc., che orientali: quelle legate all’Islam o almeno ad un modo particolare di concepire l’Islam. Vi sono poi gli interessi di Israele e della Turchia che vagheggia un ritorno all’impero ottomano seppur in chiave moderna, degli Emirati Arabi per via del gasdotto che la potrebbe attraversare, ecc. » «I cristiani soffrono perché hanno perso le case, hanno perso i loro congiunti, hanno perso anche le loro chiese. Quella che era la classe media non ha più di che vivere. Tutto è stato corrotto, principalmente la stampa che non racconta la verità e mi pare che abbiano fatto a gara a costruire le torri di Babele, una vera azione di disinformazione.» «Ma se alla fine saremo liberi di pensare, se saremo liberi di esistere in una pluralità, in una convivialità di differenze, allora penso che il prezzo che abbiamo pagato fino ad oggi, ne sarà valsa la pena, perché potremmo di nuovo ritornare a pensare insieme, per stare insieme.» «Quando le potenze d’occidente volevano inizialmente mettere mano alle armi per affrontare la questione siriana è stato il Papa Francesco a riaprire il tavolo del dialogo svelando il sottile complotto di sgombrare i cristiani dal Medioriente. Una situazione complessa in cui i cristiani rappresentano una sorta di spina nel fianco. Perché i cristiani sono gli unici che hanno un certo tipo di rapporto con l’Occidente e sono in grado di svelare il grande imbroglio che sta sotto questa guerra e i tanti interessi che si vogliono tutelare. E non si pensi solo al petrolio dell’Arabia Saudita, ma anche a tutti i luoghi santi, in cui l’industria del turismo religioso ha interessi economici molto elevati, e a cui nessuno intende rinunciare, anzi, preferisce accaparrarseli.» «La religione centra solo perché alcuni hanno tentato di coprire gli interessi economici con quelli presunti religiosi, ma questo non corrisponde alla realtà. Io ho rapporti con tantissimi esponenti religiosi anche autorevoli e di essi, nessuno è convinto che in nome di Dio si possa uccidere. È la violenza di pochi che prevale sulla volontà alla pace di molti.» «Ecco ciò che rimane: una Chiesa rinnovata e giovane che rinasca dalla speranza cristiana che mai sarà delusa, perché il suo sacrifico è anche il prezzo del suo riscatto. Ripeto mi sono messo nelle mani del Signore, sento chiaramente in ciò un forte richiamo missionario, apostolico per mantenere la presenza della Chiesa lì dove è nata nel giorno di Pentecoste.» «Abbiamo messo in campo alcune iniziative umanitarie per sostenere la popolazione nei bisogni primari quali il costo dell’energia, dei generi alimentari e dell’educazione. In particolare abbiamo fatto di tutto per non far chiudere le scuole cattoliche che esistevano e abbiamo istituito specifiche borse di studio.» «450 padri di famiglia ricevono dalla diocesi l’equivalente di mezzo salario che avevano prima dell’inizio della guerra e questo già da tre anni; ogni mese sono distribuiti 1600 cesti con beni alimentari di prima necessità; Il freddo invernale mette a dura prova la popolazione, la diocesi ha instaurato 1000 contratti di sovvenzioni per fornire il gasolio pagando metà del prezzo necessario; abbiamo assicurato a 4 scuole e 3 istituti cattolici lo stipendio per gli insegnanti per continuare a ricevere gli alunni; abbiamo istituito 600 borse di studio per assicurare la retta di iscrizione visto che solo le scuole statali hanno delle agevolazioni mentre quelle cattoliche devono reggersi da sole.» «Attendiamo con speranza che finisca la guerra e ci stiamo preparando a questo momento creando le risorse umane necessarie per la futura ricostruzione. Abbiamo per questo iniziato un movimento ecclesiale che si intitola “Costruire per restare” cioè per non abbandonare il paese. È un movimento che raduna tutti i cristiani da ogni situazione e ha come scopo quello di creare scuole professionali legate all’edilizia, perché sarà certamente il settore economico che ripartirà per primo.» E rivolgendosi ai sacerdoti presenti: «Oggi visitando la vostra cattedrale ho capito che voi con il vostro vescovo vedete già il cielo mentre siete ancora sulla terra e mi è venuta voglia di portare qui i miei sacerdoti per un corso di esercizi spirituali e magari potremmo organizzare un gemellaggio fra i presbiteri. Perché proprio la guerra ci ha resi sempre più uniti, solidali e capaci di conciliare le differenti visioni sociali affinché possiamo essere veramente un elemento di speranza vera per i fedeli che guardano a noi come punto di riferimento per ridare speranza e coraggio.» Alla fine mons. Pennisi ha comunicato che quest’anno, la Quaresima in Diocesi sarà l’occasione per una raccolta fondi per la Chiesa di Aleppo, poiché «siamo chiamati come Chiesa a vivere una solidarietà che passa attraverso il volto familiare del fratello in quanto figli dell’unico Padre.»
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