Questa incisione del 1867 mostra la manodopera necessaria per spostare una degli enormi tori alati, noto come Lamassu. |
Nella foto: I militanti hanno anche devastato le enormi statue dei tori alati con testa umana, del VIII secolo ac, che proteggevano l'ingresso a Ninive |
http://www.lintellettualedissidente.it 27 febbraio 2015
Cristo si è fermato a Ninive di Alessio Mulas
Mentre i jihadisti dello Stato islamico distruggono con furia iconoclasta l’arte e la storia preislamica dell’Iraq, i cristiani cacciati da Mosul si organizzano in milizie volontarie. Con scarso denaro, poche armi, molta fede.
«Stenderà la mano anche a settentrione e distruggerà Assur, farà di Ninive una desolazione, arida come il deserto» (Sof 2,13). Quando si parla di Medio Oriente, l’Antico Testamento è una fonte ricchissima di luoghi e figurazioni. Ninive, un tempo capitale dell’Assiria, è tra questi. Da secoli la città sul Tigri si chiama Mosul, nome arabo, e dallo scorso giugno è terra dello Stato islamico, che non la tratta certamente con guanti di velluto. Un video diffuso ieri da un account Twitter mostra alcuni miliziani intenti a distruggere statue e manufatti in un museo, mentre uno di loro spiega: «queste rovine dietro di me, sono quelle di idoli e statue che le popolazioni del passato usavano per un culto diverso da Allah. Il Profeta Maometto ha tirato giù con le sue mani gli idoli quando è andato alla Mecca. Il nostro Profeta ci ha ordinato di distruggere gli idoli e i compagni del Profeta lo hanno fatto quando hanno conquistato dei Paesi». Non importa il valore culturale o economico, precisa, gli idoli vanno abbattuti. Non sorprende la furia iconoclasta di Daesh, che già a fine gennaio ci aveva mostrato la distruzione dei resti delle mura di Ninive. I veri eredi dell’Impero romano, i bizantini, non furono da meno nella passione iconoclasta: sotto la dinastia isaurica promossero la distruzione di immagini sacre attraverso il Concilio di Hieria (754), in opposizione alla Chiesa di Roma – la quale d’altro canto dava copertura ideologica alle rivolte nei territori bizantini in Italia. Non è solo un fatto di purificazione del culto, perché l’unica mediazione sia data dalle autorità religiose. È obliterazione della storia: senza tracce, senza memoria. Quanti monumenti e librerie distrutti e dati alle fiamme, durante la Seconda guerra mondiale? Vedi martellare la pietra e pensi alle note di Ianva in Bora: «La dottrina supporta il livore, / la maniera per ben iniziare / pensan sia quella di cancellare / le tracce di Storia passata di qua». Ogni colpo del miliziano oggi è come una bomba angloamericana su Dresda e Zara ieri, perché cancella le identità. Se lo Stato islamico proseguirà nella distruzione, sarà più in rispetto alla furia del Dio giudaico-cristiano («lento all’ira, ma grande in potenza», Na 1,3) su Ninive, narrata dal profeta Naum, che in ordine al suo sacro Corano. Perché, per il Signore, Ninive è «città sanguinaria, piena di menzogne, colma di rapine» (Na 3,1). È puttana da svergognare, da esporre al ludibrio – sono le pagine sacre che parlano – la stessa derisione a cui è sottoposta la cancellazione dei resti di una civiltà, quella assiro-babilonese, che lo Spengler pose tra le otto grandi civiltà della storia universale. Da Mosul sono scomparsi i cristiani, cacciati dopo la conquista da parte dello Stato islamico, e con loro tutti gli infedeli, gli apostati e i relativi luoghi di culto. A luglio fu il turno, fra le tante, della moschea di Giona (Yunus, in arabo), profeta comune ai tre monoteismi. È nella decima sura coranica (la quale cita Giona) che l’Islam ha testimonianza di Ninive, unica città a sottomettersi immediatamente ad Allah, evitandone la furia. In Siria un anno fa sorse la milizia cristiana Sutoro, per combattere i jihadisti. Ieri dalle colonne del Corriere della Sera un articolo dell’inviato ad Al Qosh, Lorenzo Cremonesi, raccontava la nascita delle Unità di protezione della piana di Ninive, milizie cristiane irachene organizzate dal basso, nel numero di un migliaio di unità. I cristiani medio-orientali conoscono le parole del Vangelo («Non sono venuto a portare pace, ma una spada», si legge in Mt 10,34); sanno che «amate i vostri nemici» (Mt 5,44) riguarda l’inimicus, non l’hostis; l’echthros, non il polemios – il nemico privato, non quello pubblico, il quale invero va combattuto. Se i curdi, il cui pelo viene non a caso lisciato dall’Occidente, si richiamano al principio di autodeterminazione – corollario perfetto alla dottrina statunitense, mai rivendicata ma spesso applicata, del divide et impera – di fatto minando l’unità territoriale degli Stati sovrani di Siria e Iraq, i cristiani non mettono in dubbio l’importanza di tale unità in una convivenza pacifica di fedi e di culture. Per ora Cristo si è fermato a Ninive, mentre i suoi apostoli, nonostante la carenza di armi e denaro, preparano con fede la riconquista delle proprie case.
Aggiornamento: stando a quanto divulgato in tarda serata dall’emittente britannica Channel 4, secondo gli archeologi molte (ma non tutte) delle opere distrutte dai jihadisti sarebbero delle repliche. Il video potrebbe dunque essere di pura propaganda; purtuttavia rimangono reali le distruzioni di chiese e le violazioni di luoghi di culto da parte dello Stato islamico |