Haaretz

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05 nov 2015

 

La semplice verità sull’occupazione

di Carlo Strenger

 

Yeshayahu Leibowitz aveva ragione già da prima del 1967 quando avvertiva che Israele stava percorrendo una pericolosa china morale.

 

In questi giorni, quando i ministri del governo israeliano cercano di superarsi tra di loro principalmente rilasciando dichiarazioni più bellicose e scioviniste possibile, penso molto a Yeshayahu Leibowitz e alla sua limpidezza morale. Un ascetico uomo del Rinascimento con una vastità di conoscenze veramente incredibile, ha vestito i panni di un profeta dell’ira. Già dopo il massacro di Qibya nel 1953, durante il quale truppe comandate da Ariel Sharon hanno ucciso almeno 69 contadini palestinesi in un’azione di rappresaglia, Leibowitz ha iniziato ad avvertire che il Paese stava prendendo una pericolosa china morale. Subito dopo la Guerra dei Sei Giorni ha messo in guardia in merito alle terribili conseguenze dell’occupazione di milioni di palestinesi, della costituzione di un sistema di informatori che avrebbe lavorato contro il suo stesso popolo, dell’impatto che il servizio militare nei territori avrebbe avuto sui giovani soldati e il controllo sui territori avrebbe avuto sulla società israeliana nel suo complesso.

Rivedendo il documentario di Dror Moreh “The Gatekeepers [in italiano “I guardiani di Israele”. N.d.tr.] ci si rende conto di quanto Leibowitz avesse ragione. I sei ex capi del servizio di sicurezza, lo Shin Bet, intervistati a lungo da Moreh nel film parlano soprattutto del costo morale dell’occupazione e del perché Israele deve porvi fine per il bene e l’interesse del Paese stesso. Non sono ingenui pacifisti. Hanno fatto quello che dovevano per promuovere la sicurezza e proteggere Israele, ma facendolo non hanno mai perso la propria moralità.

In effetti i servizi di sicurezza di Israele hanno messo in guardia da anni sul fatto che l’attuale ondata di violenza sarebbe stata inevitabile se Israele non avesse offerto ai palestinesi un orizzonte politico. Conoscono la realtà quotidiana dell’occupazione e non pensano per un solo minuto che il cosiddetto “status quo” di strisciante annessione e costante umiliazione sia sostenibile – e molti di loro, parlando in privato, ammettono di essere atterriti dal prezzo morale dell’occupazione.

E’ proprio questa dimensione morale che si è persa nel dibattito pubblico israeliano, che sta raggiungendo livelli orwelliani di distorsione linguistica. Netanyahu, che distorce la verità persino riguardo all’Olocausto solo per ottenere risultati politici con la sua scellerata teoria secondo cui il Muftì [di Gerusalemme, principale autorità religiosa e politica palestinese negli anni ’30 e ’40. Nd.tr.] avrebbe inventato la Soluzione Finale, è solo l’ultimo esempio.

Sto scrivendo questo, persino mentre ci sono attacchi quotidiani contro vite israeliane, perché Leibowitz non ha mai detto che Israele dovrebbe porre fine all’occupazione per ottenere la pace. Era pessimista riguardo alla natura umana e non sarebbe probabilmente rimasto sorpreso dal violento caos che sta inghiottendo il Medio Oriente. Ha detto che noi dovevamo porre fine all’occupazione perché era immorale, perché controllare milioni di persone senza garantire loro diritti politici è moralmente insostenibile e corrompe la società che perpetua questa situazione.

Condivido il pessimismo di Leibowitz riguardo alla natura umana e sono anche molto pessimista sul prevedibile futuro del Medio Oriente, che è destinato ad essere caotico e violento indipendentemente dalle azioni di Israele. Non so neppure quando possa essere raggiunto un accordo finale con i palestinesi, perché sembrano incapaci di costruire una dirigenza coerente e unitaria.

Ma la continua realtà di espropriazione e umiliazione può e deve terminare con passi progressivi. Israele potrebbe smantellare le colonie più piccole che rendono miserabili le vite dei palestinesi. Potrebbe raggrupparle in modo da permettere al 98% dei palestinesi di vivere liberamente senza contatti con le forze di sicurezza israeliane – e ciò potrebbe essere fatto senza mettere in discussione le vitali esigenze di sicurezza di Israele. E potremmo porre fine ai quotidiani tentativi di intrusione della destra a Gerusalemme est. I dettagli esatti su come fare ciò sono stati disegnati dall’ex capo di stato maggiore ed ex ministro della Difesa Shaul Mofaz nel piano del 2011, su cui non c’è mai stato un dibattito pubblico.

Ma per fare ciò avremmo bisogno di politici che vogliano e siano capaci di usare il linguaggio della moralità e che dicano agli israeliani che l’unico modo di salvare il Paese dal degrado interno è prendersi il rischio insito nel disimpegno rispetto ai palestinesi, anche se non possiamo sapere se questo porterà alla pace. Devono semplicemente dire la verità: che persino in politica ci sono il bene e il male dal punto di vista morale, e che occupare un altro popolo è male.

 


Le opinioni espresse in questo articolo non riflettono necessariamente quelle della redazione della Near East News Agency