Il Manifesto

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settembre 4, 2015

 

Terror Act, sarà terrorismo sventolare la bandiera palestinese

di Michele Giorgio

 

La nuova legge antiterrorismo, voluta dalla ministra della giustizia Ayelet Shaked, è stata approvata in prima lettura dalla Knesset. Se approvata renderà reato qualsiasi forma di opposizione palestinese, anche non violenta, all’occupazione militare israeliana

 

Gerusalemme, 4 settembre 2015, Nena News

 

Nuovo “successo” della ministra israeliana della giustizia, Ayelet Shaked, esponente di punta della destra più radicale. Il suo “Terror Act” è stato approvato in prima lettura mercoledì sera dalla Knesset. La notizia è giunta mentre si discuteva del via libera che il premier Netanyahu intende dare all’allentamento ulteriore delle regole di ingaggio per i militari israeliani in modo che possano sparare subito in caso di lancio di pietre e bottiglie incendiarie. Cosa che in verità già si vede tante, troppe volte in giro per i Territori occupati ma che si vuole ammantare di legalità. Shaked, dopo aver ottenuto l’inasprimento delle pene fino a 20 anni di carcere per coloro – i palestinesi – che lanciano sassi, ora sta per mettere a disposizione delle autorità una serie di strumenti punitivi eccezionali. Coloro che saranno condannati per “terrorismo” – un reato dai contorni molto larghi in Israele dove, appunto, include anche il lancio di pietre – dovranno affrontare condanne fino a 30 anni di reclusione. Verranno inoltre legalizzate le “detenzioni amministrative” – arresti preventivi eseguiti senza alcuna prova concreta che prevedono il carcere senza processo per sei mesi e per più volte consecutive – mentre i “sostenitori del terrorismo”, categoria nella quale saranno inclusi anche quelli che sventoleranno la bandiera palestinese, rischiano di rimanere in prigione per tre anni.

Il disegno di legge definisce il terrorismo in base a tre elementi: la motivazione, l’obiettivo e il danno. La motivazione può essere ideologica, diplomatica, nazionalista o religiosa. L’obiettivo sarebbe quello di creare panico o di spingere il governo israeliano a prendere una determinata decisione o impedire che possa farlo. Il danno è verso la persona o per la sicurezza nazionale, verso proprietà e infrastrutture o siti e figure religiose. In sostanza qualsiasi atto di opposizione all’occupazione militare israeliana, anche il semplice sventolio della bandiera palestinese, sarà considerato terrorismo e punito severamente punito.

L’obiettivo non pare proprio quello di «combattere la violenza». Con questi nuovi “strumenti” un giudice israeliano, ad esempio, potrebbe considerare “atto di terrorismo” una protesta a Gerusalemme Est contro la confisca o la demolizione di una casa, perchè, a suo giudizio, mette a rischio la sicurezza pubblica e crea “panico” nel resto della popolazione. E potrebbe essere inquadrata come “atto di terrorismo” anche l’azione di una settimana fa a Nabi Saleh di una madre e di altre donne palestinesi che hanno liberato un ragazzino tenuto stretto da soldato israeliano, intenzionato ad arrestarlo per il lancio di sassi. In quella scena diversi esponenti del governo e della Knesset hanno visto non un ragazzino preso per il collo da un adulto armato di mitra, ma una «aggressione gravissima» a danno del militare. Il “Terror Act” di Ayelet Shaked, se approvato, rappresenterà l’inclusione nell’ordinamento giuridico israeliano di una repressione legalizzata, riconosciuta, di ogni forma di dissenso o di reazione da parte dei palestinesi all’occupazione.

Tuttavia attribuire il “Terror Act” solo all’impegno incessante della ministra Shaked sarebbe un errore. Perchè a preparare la prima bozza della nuova legge antiterrorismo è stata in realtà l’ex ministra della giustizia, Tzipi Livni, considerata una “pacifista” in Israele, con l’appoggio della sua lista elettorale, Campo Sionista, controllata dal Partito laburista. Alla Knesset non sono mancate le proteste ma non paiono destinate a raggiungere risultati. Di fatto a contestare queste misure, lontane anni luce da un sistema democratico, sono solo la sinistra sionista (Meretz) e la Lista Araba Unita. Nena News

 

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settembre 3, 2015

 

Netanyahu: “Sparare subito a chi attacca i nostri soldati

 

Tel Aviv studia la possibilità di aprire il fuoco sui palestinesi che lanciano sassi durante i raid dell’esercito nelle loro città. Una possibilità che, secondo le organizzazioni per i diritti umani, è già una realtà

 

Roma, 3 settembre 2015, Nena News –

 

Sparare a chi lancia sassi ai soldati israeliani. E’ una delle possibilità al vaglio del governo di Tel Aviv, che in queste ore esaminerà ed emenderà le regole d’ingaggio dell’esercito nei Territori Occupati: la parola d’ordine, stando alle dichiarazioni del premier israeliano Benjamin Netanyahu, è “tolleranza zero” sia per il lancio di pietre contro i suoi militari che per “gli atti di terrorismo”.

Netanyahu ha confermato ieri che “sarà esaminata una modifica degli ordini sull’apertura del fuoco per quanto riguarda il lancio di pietre e bombe incendiarie”: stessa cosa avverrà per l’imposizione delle “pene minime” per gli autori dei suddetti crimini. Pene inasprite giusto un mese fa, quando la Knesset ha passato un emendamento che punisce con un massimo di 20 anni di prigione chi lancia pietre contro i soldati, contro le auto israeliane e contro le pattuglie di stanza nei Territori occupati. La pena scende a un massimo di 10 anni quando il sospettato riesce a dimostrare – per assurdo – che l’obiettivo del lancio non era quello di danneggiare cose o persone.

Le attuali regole di ingaggio consentono a soldati e poliziotti di aprire il fuoco vivo solo in caso di pericolo imminente per la propria vita o per il pubblico, e solo dopo una serie di colpi di avvertimento. Eppure le cronache parlano di decine di palestinesi colpiti da proiettili dell’esercito israeliano anche quando “disarmati” o non partecipanti alle proteste contro le forze d’occupazione: durante le manifestazioni del giorno della Nakba 2014, ad esempio, le telecamere a circuito chiuso ripresero l’uccisione di due giovani palestinesi a Beitunia lontano dal luogo in cui si svolgeva una protesta contro l’esercito israeliano. In un episodio simile, le pallottole sparate dai militari hanno raggiunto e ucciso Jihad al-Jaf’ari sul tetto della sua casa nel campo profughi di Dheisheh, vicino Betlemme.

Le “nuove regole d’ingaggio” del governo israeliano arrivano a pochi giorni dalla diffusione del video, diventato virale, sul brutale tentativo di arresto da parte dei soldati di un ragazzino palestinese con un braccio ingessato durante le proteste di venerdì scorso nel villaggio di Nabi Saleh. Un militare è stato assalito dalla madre del ragazzo e da altre donne del villaggio, che hanno liberato il giovane. “Una vera e propria aggressione”, come è stata descritta da non pochi utenti dei social network in Israele, contro la quale il soldato avrebbe dovuto “usare il fucile”.

Il governo israeliano è inoltre impegnato nell’aumento delle pattuglie a Gerusalemme: l’ufficio di Netanyahu ha infatti dichiarato di aver dispiegato altre due unità di polizia di frontiera (circa 300 soldati) e altri 400 poliziotti nella città occupata. In particolare, le unità militari saranno rafforzate lungo la Strada 443, una grande arteria che collega Gerusalemme a Tel Aviv e attraversa per diversi chilometri la Cisgiordania. Tutto perché, secondo quanto dichiarato dal portavoce della polizia israeliana Luba Samri, sarebbero in aumento “gli attacchi nazionalistici da parte dei palestinesi a Gerusalemme est”.

Se è vero – come riporta il portale Middle East Online – che nell’ultimo mese si sono verificati alcuni attacchi da parte di palestinesi contro pattuglie israeliane o contro le auto dei coloni, è anche vero che la tensione è salita alle stelle tra i palestinesi  dall’uccisione del piccolo Ali Dawabsheh, 18 mesi, bruciato vivo nella sua casa di Kafr Douma da un incendio appiccato da coloni israeliani. In quel caso tutto il mondo condannò l’attacco, definito “di natura nazionalistica” e le autorità israeliane fecero a gara a chi pronunciava con più veemenza la frase “tolleranza zero contro gli estremisti”.

A un mese di distanza, gli assassini di Ali e di suo padre Saad sono ancora a piede libero, mentre invece Tel Aviv studia la possibilità di aprire il fuoco sui ragazzi palestinesi che lanciano sassi durante i raid dell’esercito nelle loro città. Una possibilità che però è già realtà: secondo i dati diffusi dall’associazione per i diritti umani B’Tselem, nel 2014 i minori uccisi dal fuoco dell’esercito israeliano nei Territori occupati sono stati 12. Almeno quattro di loro, secondo quanto dichiarato dai soldati, avrebbero lanciato pietre. Nena News