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This article was first published by huffingtonpost.com

https://www.middleeastmonitor.com

Wednesday, 21 October 2015

 

Gli egiziani dicono No alla propaganda di al Sisi

di Soumaya Ghannoushi

 

La rivoluzione egiziana di Gennaio è crollata per molte ragioni. Alcune hanno a che fare con la struttura del potere e del ruolo che i militari hanno nella vita politica. Altre con gli errori commessi dalle nuove forze, nella gestione delle crisi nelle fasi post rivoluzione, non riuscendo a superare le differenze ideologiche e a stringere forti alleanze per frenare il dominio dell'esercito e limitarne l’influenza. Mentre il campo pro-rivoluzione ha sprecato la sua energia in faide intestine e nell’imbracatura della colpa, la macchina contro-rivoluzionaria, oliata dai petrodollari delle monarchie del Golfo, si accinse a fare deglu egiziani una vita di ordinaria miseria. Attraverso il caos fabbricato, le manipolazioni dei prezzi del carburante e dei prodotti alimentari, le ostruzioni del governo da parte della vecchia burocrazia nei servizi giudiziari, amministrativi e di intelligence che supportano e sposano la SCAF e le vecchie oligarchie, gli egiziani sono convinti che il ??loro paese fosse in bilico sull'orlo della distruzione.

 

La salvezza arrivò nella persona del generale Sisi. Con una delle ironie più buie della storia, i fatti si sono invertiti e le condizioni spogliate di significato. Con l'usurpazione del potere, sono stati usurpati anche simboli, come piazza Tahrir, simbolo della rivolta popolare contro l'autoritarismo, è stata trasformata in un gigantesco teatro all'aperto in cui il ritorno del vecchio regime è stato salutato in modo euforico. Il brutale colpo di stato militare è stato un movimento correttivo della contro-rivoluzione ed è stato soprannominato niente meno che il "glorioso 30 giugno rivoluzionario". Il colpo di stato messo in scena contro un presidente democraticamente eletto, liberamente scelto dalla maggioranza del popolo, era in difesa della democrazia e incarnazione della volontà popolare.

 

Fin dall'inizio, Sisi è stato lanciato come un ministro della difesa nobilmente disinteressato all’aumento della chiamata al dovere per il bene della nazione. Era un servitore del popolo, che s’inchinava altruisticamente al volere popolare. La sua legittimità si basava su un mandato diretto dal popolo, che desiderava la salvezza, l'ordine e la stabilità. La sua era una "… responsabilità storica … Costruiremo una società egiziana, che forte e stabile, che non esclude uno qualsiasi dei suoi figli." Ha dichiarato. Due anni dopo questo discorso televisivo, l'Egitto non somiglia per niente a quella promessa di stabilità e coesione. Decine di egiziani sono stati uccisi da una polizia sempre più dilagante, condannati a morte in tribunali illegali, o in carcere in condizioni disumane in cui la tortura è di routine. Il dissenso non è tollerato, i media e la stampa sono ridotti al ruolo di propagandisti statali che cantano le lodi del generale, ripetendo a pappagallo le sue parole.

Al Sisi non è in grado di dare stabilità al paese. Con un'insurrezione nel Sinai, e attacchi nella stessa capitale, conflitto civile cresce di pari passo con la legge marziale. Le credenziali di Sisi sono così abissali come il suo record anti-democratico.

 

C'è da meravigliarsi allora, che i seggi elettorali siano stati abbandonati nel corso degli ultimi due giorni di elezioni parlamentari in Egitto?

In quello che gli osservatori hanno descritto come "le elezioni, senza elettori", dove, in alcuni seggi, l’affluenza alle urne è stata inferiore al 3%. In un movimento di opposizione di massa silenzioso, persone hanno sfidato la propaganda statale, che andava dalle preghiere agli appelli ferventi e appassionati, di sentimenti patriottici e fede religiosa, alle minacce velate e aperte, per gli astenuti, di multe e denunce per tradimento. Gli egiziani hanno semplicemente rifiutato di adeguarsi alla farsa progettata dall’investitura di al Sisi con un mantello democratico, che ancora ha un disperato bisogno di strofinare la macchia insanguinata del suo colpo di stato militare.

 

Mentre le nuove forze che improvvisamente salgono al potere all'indomani della rivoluzione, senza alleanze, si sono dimostrate incapaci di superare i possenti ostacoli lungo la strada, la controrivoluzione guidata dai militari è in crisi anche oggi. Nonostante tutta la repressione e le persecuzioni, la vecchia guardia non è stata in grado di plasmare il paesaggio egiziano come meglio credevano, ne di dettare il corso degli eventi. Una protesta per le loro regole è in corso e in espansione, assumendo forme aperte e silenziose. Da manifestazioni settimanali di sfida in diverse parti del paese, agli elettori che restano in casa e risolutamente si astengono dalla votazione.

Prima o poi, Sisi dovrà, senza dubbio rendersi conto che la sua magica ricetta di oppressione e di anestesia di massa attraverso i media e la propaganda religiosa non lo trasformerà in un odierno Nasser. La verità è che non è né un eroe, né un salvatore nazionale, ma uno spericolato avventuriero militare, leader di una controrivoluzione che può durare per alcuni anni, ma alla fine si estinguerà.

 


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Wednesday, 21 October 2015

 

Egyptians say No to Sisi's propaganda

By Soumaya Ghannoushi

 

Egypt's January Revolution collapsed for many reasons. Some are to do with the structure of power and role of the military in political life. Others with mistakes committed by the new forces in the management of crises in the post revolution phase, failing to rise above ideological differences and forge strong alliances to curb the army's dominance and limit its influence. While the pro-revolution camp spent its energy in internecine feuding and blame slinging, the counter-revolutionary machine, oiled with the Gulf monarchies' petrodollars, set about making ordinary Egyptians' lives a misery. Through manufactured chaos, manipulations of fuel and food prices, obstructions of government by the old bureaucracy in the judiciary, administration and intelligence services and a media wedded to SCAF and the old oligarchs, Egyptians were convinced their country was teetering on the verge of destruction.

Salvation came in the person of General Sisi. In one of history's darkest ironies, facts were reversed and terms stripped of meaning. With the usurpation of power, symbols were also usurped, as Tahrir Square, emblem of popular revolt against authoritarianism, was turned into a gigantic open air theatre where the old regime was euphorically greeted back. The brutal military coup was a "corrective movement" and the counter-revolution was dubbed the "glorious June 30th revolution," nothing less. The coup staged against a democratically elected president, freely chosen by a majority of the people, was in defence of democracy and an embodiment of the people's will.

From the outset, Sisi was cast as a selfless defence minister nobly rising to the call of duty for his nation's sake. He was a servant of the people, altruistically bowing to the popular will. His legitimacy rested on a direct mandate from the people, who yearned for salvation, order and stability. His was a "historic responsibility" he declared. "We will build an Egyptian society that is strong and stable, that will not exclude any one of its sons."

Two years after this televised address, Egypt looks nothing like this promised heaven of stability and cohesiveness. Scores of Egyptians have been murdered by an ever more rampant police, sentenced to death in kangaroo courts, or jailed in the most inhumane conditions where torture is routine. Dissent is not tolerated, with the media and the press reduced to the role of state propagandists singing the General's praises and parroting his words.

Neither was Sisi's tyrannical rule able to yield stability, with an insurgency in Sinai, attacks in the capital itself, sustained civil conflict and martial law. Sisi's security credentials have been as abysmal as his democratic record.

Is it any wonder then, that voting stations have been deserted over the last two days of Egypt's parliamentary polls?

In what observers have described as "elections without voters," turnout has been as low as 3% in some polling stations. In a movement of mass silent opposition, people defied a state propaganda which ranged from passionate entreaties and fervent appeals to patriotic sentiments and religious faith, to veiled and open threats to abstainers of fines and denunciations for treason. Egyptians have simply refused to be part of the farce designed to drape Sisi in a democratic cloak he still desperately needs to rub away the stain of his blood-drenched military coup.

While the new forces that suddenly rose to power in the revolution's aftermath, without forging common alliances, proved incapable of surmounting the mighty obstacles on the way, the counter-revolution spearheaded by the military is in crisis today too. In spite of all the repression and persecution, the old guard have been unable to mould the Egyptian landscape as they see fit or dictate the course of events. Protest to their rule is ongoing and expanding, taking on open and silent forms. From defiant weekly demonstrations in different parts of the country, to voters staying in and resolutely abstaining from polling en masse.

Sooner or later, Sisi will no doubt come to realize that his magical recipe of oppression and mass anaesthesia through media and religious propaganda will not transform him into a present-day Nasser. For beyond his self-aggrandising illusions, the truth is that he is neither a hero nor a national saviour, but a reckless military adventurer and the leader of a counterrevolution that may last for a few years, but will eventually wither away.

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