fonte: la Jornada Vivere nel caos e creare un mondo nuovo Viviamo in un tempo segnato da scenari di guerra tra stati e dentro gli stati stessi, poi c’è la “quarta guerra mondiale”, quella del capitale contro i popoli. Intanto il caos divampa ma è proprio nei periodi di instabilità e crisi che l’attività dei movimenti può incidere di più sulla ridefinizione del mondo. Nella storia, le grandi rivoluzioni sono nate nel mezzo di guerre e conflitti spaventosi, come reazione dal basso, quando tutto stava crollando. I popoli però non hanno mai aderito in massa alle alternative sistemiche. Prima lo faceva una famiglia, poi un’altra, e così via. Stiamo andando verso un mondo nuovo, in mezzo al dolore e alla distruzione. Quando il sistema-mondo inizierà a disintegrarsi, generando tsunami di caos, i popoli dovranno difendere la vita e ricostruirla. Crollo e creazione sono complementari. Dal 1994 conosciamo il movimento zapatista che, nei territori dove ha le basi, ha creato un mondo nuovo La geopolitica ci aiuta a comprendere il mondo in cui viviamo, in particolare in periodi turbolento come quelli attuali, la cui principale caratteristica è l’instabilità globale ed il continuo succedersi di cambiamenti e permanenti oscillazioni. Tuttavia la geopolitica presenta i suoi limiti quando si tratta di esaminare l’attività dei movimenti antisistemici. Ci offre una lettura dello scenario nel quale agiscono, il che non è poco, però non può costituire l’ispirazione centrale delle lotte di emancipazione. A mio modo di vedere, è stato Immanuel Wallerstein a spiegare nella maniera più precisa la relazione tra il caos nel sistema-mondo e la sua trasformazione rivoluzionaria attraverso i movimenti. Nel suo articolo più recente, “È doloroso vivere in mezzo al caos”, evidenzia come il sistema-mondo si stia autodistruggendo mentre coesistono 10-12 poteri con forza sufficiente per agire in forma autonoma. Ci troviamo in mezzo al passaggio da un mondo unipolare ad un altro multipolare: un processo necessariamente caotico. È proprio nei periodi di instabilità e di crisi che l’attività dei movimenti può incidere in forma più efficace sulla ridefinizione del mondo. È una finestra di opportunità necessariamente breve nel tempo. È durante questi periodi turbolenti e non nei periodi di calma che l’attività umana ha la possibiltà di modificare il corso degli eventi. Da qui l’importanza del periodo attuale. Alcuni dei lavori di Wallerstein pubblicati (in lingua spagnola, ndt) nella raccolta El Mundo del Siglo XXI, diretta da Pablo Gonzaléz Casanova, affrontano il rapporto tra il caos sistemico e le transizioni verso un nuovo sistema-mondo (Después del liberalismo e Impensar las ciencias sociales, Siglo XXI, 1996 y 1998). In Marx e il sottosviluppo, pubblicato in inglese nel 1985, trent’anni fa, Wallerstein metteva in guardia sulla necessità di “ripensare la nostra metafora relativa alla transizione”, poichè è dal XIX secolo che stiamo dibattendo sulle vie adatte per raggiungere il potere, quelle evolutive o quelle rivoluzionarie. Credo che il punto più polemico, e allo stesso tempo più convincente, sia quando dice che abbiamo ritenuto la transizione “un fenomeno che si può controllare” (La scienza sociale: come sbarazzarsene. I limiti dei paradigmi ottocenteschi, Milano, Il saggiatore, 1995.). Se la transizione, come fanno presente gli studiosi della complessità, si può verificare solo come conseguenza di una biforcazione all’interno di un sistema in situazione di caos, allora pretendere di dirigerla è sia illusione sia rischio di ri-legittimare l’ordine che si sta decomponendo, qualora si acceda al potere statale. Quanto sopra non vuol dire che non possiamo fare nulla. Tutto il contrario. Ha scritto Wallerstein nel testo citato, “Non dobbiamo aver paura di una transizione che può assumere l’aspetto di crollo, di disintegrazione, che è disordinata, che in un certo modo può essere anarchica, ma non necessariamente disastrosa“. Poi aggiunge che le rivoluzioni possono fare il loro lavoro migliore nel promuovere il crollo del sistema. Questo sarebbe un primo modo di influire nella transizione: acutizzare il crollo, potenziare il caos. Come riconosce lo stesso Wallerstein, un periodo di caos è doloroso, però può anche essere fecondo. Di più: la transizione verso un nuovo ordine è sempre dolorosa, perchè siamo parte di ciò che sta crollando. Pensare a transizioni lineari e tranquille è un omaggio all’ideologia del progresso. Dopo il 1994 abbiamo cominciato a conoscere il secondo modo di incidere sulla transizione, quello che ci consente di arricchire le considerazioni precedenti. Si tratta della creazione, qui ed ora, di un mondo nuovo; non come immagine prefigurata ma come realtà concreta. Mi riferisco all’esperienza zapatista. Ritengo che entrambi i modi di influire (crollo e creazione) siano complementari. Nei territori dove ha le sue basi, lo zapatismo ha creato un mondo nuovo. Non è “il” mondo che avevamo immaginato nella nostra vecchia metafora della transizione: uno Stato-nazione dove si costruisce una totalità simmetrica a quella capitalista e che pretende di essere la sua negazione. Però, se ho imparato qualcosa di quanto ci hanno insegnato nelle basi di appoggio durante la escuelita, in questo mondo ci sono tutti gli ingredienti del mondo nuovo: dalle scuole agli ospedali fino alle forme autonome di governo e di produzione. Nel momento in cui il caos sistemico si approfondisce, questo nuovo mondo creato dallo zapatismo sarà un punto di riferimento ineludibile per quelli che stanno in basso. Molti non credono che il caos sistemico possa diventare più profondo. Tuttavia, abbiamo davanti uno scenario di guerre tra stati e all’interno degli stati stessi, alle quali si aggiunge la “quarta guerra mondiale” in corso, quella del capitale contro i popoli. Queste sono alcune delle situazioni caotiche che intravediamo e che possono coincidere, in uno stesso periodo, con il caos climatico e al “caos sanitario”, secondo la previsione dell’Oms di una prossima e ineluttabile perdita di efficacia degli antibiotici. Nella storia, le grandi rivoluzioni hanno avuto luogo nel mezzo di guerre e conflitti spaventosi, come reazione dal basso, quando tutto stava crollando. Durante la guerra fredda si era diffusa l’ipotesi che le potenze rivali non avrebbero usato armi nucleari per evitare la reciproca distruzione. Oggi sono pochi quelli che scommetterebbero in tal senso. Davanti a noi sta nascendo una nuova metafora della transizione possibile: quando il sistema-mondo inizierà a disintegrarsi generando tsunami di caos, i popoli dovranno difendere la vita e ricostruirla. Nel farlo, è probabile che adottino il tipo di costruzioni create dagli zapatisti. Questo è accaduto nelle lunghe transizioni dall’antichità al feudalesimo e dal feudalesimo al capitalismo. In mezzo al caos, i popoli sono soliti puntare su principi di ordine, come fanno alcune comunità indigene dei giorni nostri. Qualcosa di tutto questo sta già accadendo. Alcune famiglie priístas (del PRI Partito Rivoluzionario Istituzionale messicano, ndt) ricorrono ai presìdi sanitari dei caracoles e altre cercano attraverso le juntas del buen governo una soluzione giusta ai loro conflitti. Mai i popoli hanno aderito in massa alle alternative sistemiche. Un giorno è una famiglia a farlo, poi un’altra, e così via. Stiamo andando verso un mondo nuovo, in mezzo al dolore e alla distruzione. titolo originale: Caos sistémico y transiciones en curso
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